Ai fini del computo della formazione nell’orario di lavoro, è irrilevante il luogo in cui la stessa è stata svolta

Nota a Corte di Giustizia dell’Unione europea, 28 ottobre 2021, C-909/19

Fabrizio Girolami

L’art. 2, punto 1, della Direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che il lasso di tempo durante il quale un lavoratore segue una formazione professionale impostagli dal suo datore di lavoro, che si svolge al di fuori del suo luogo di lavoro abituale, nei locali del prestatore dei servizi di formazione, e durante il quale egli non esercita le sue funzioni abituali, costituisce a tutti gli effetti “orario di lavoro”, ai sensi di tale disposizione.

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione europea, con sentenza 28 ottobre 2021, C-909/19, in relazione alla vicenda di un pubblico dipendente rumeno impiegato dall’amministrazione comunale di appartenenza nel servizio volontario per situazioni di emergenza. Il lavoratore, ai fini della valutazione del suo rendimento, su iniziativa dell’amministrazione comunale aveva svolto 160 ore di formazione professionale. Di queste, ben 124 ore erano state espletate al di fuori dell’orario di lavoro e in luogo diverso rispetto a quello abituale (ovverosia nei locali dell’impresa di formazione professionale).

Il lavoratore aveva citato in giudizio il datore al Tribunale superiore di Vaslui al fine di ottenere, in particolare, la condanna della medesima amministrazione al pagamento di tali 124 ore a titolo di lavoro straordinario. Perso il primo grado di giudizio, il lavoratore rumeno aveva proposto appello alla Corte d’appello di Iaşi.

Il giudice di appello aveva sospeso il giudizio, devolvendo alla Corte di Giustizia UE la seguente principale questione pregiudiziale: “se le disposizioni di cui all’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE, debbano essere interpretate nel senso che costituisce «orario di lavoro» il lasso di tempo durante il quale un lavoratore segua i corsi di formazione professionali imposti, dopo la conclusione del normale orario di lavoro, presso la sede del prestatore di servizi di formazione, al di fuori del suo luogo di lavoro e senza svolgere funzioni di servizio”.

La CGUE ha risolto la questione pregiudiziale sulla base delle seguenti considerazioni:

  • la direttiva 2003/88/CE sull’orario di lavoro “persegue l’obiettivo di fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante un ravvicinamento delle normative nazionali riguardanti, in particolare, la durata dell’orario di lavoro. Tale armonizzazione (…) è intesa a garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo godere a questi ultimi periodi minimi di riposo – in particolare giornaliero e settimanale – e periodi di pausa adeguati, e prevedendo un limite massimo per la durata settimanale del lavoro”;
  • l’art. 2 della Direttiva 2003/88, al punto 1, definisce l’“orario di lavoro” come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali” e, al successivo punto 2, il “periodo di riposo” come “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro”;
  • ciò posto, ai fini della sussistenza degli elementi caratteristici della nozione di «orario di lavoro» è rilevante il fatto che il lavoratore è stato costretto a essere fisicamente presente sul luogo designato dal datore di lavoro e a rimanere ivi a disposizione di quest’ultimo al fine di poter fornire direttamente i propri servizi in caso di necessità. Inoltre, il luogo di lavoro deve essere inteso come “qualsiasi luogo in cui il lavoratore è chiamato a svolgere un’attività su ordine del suo datore di lavoro, anche quando tale luogo non sia il posto in cui egli esercita abitualmente la propria attività professionale”;
  • ne consegue che quando un lavoratore riceve dal suo datore di lavoro istruzioni di seguire una formazione professionale per poter esercitare le funzioni da lui svolte, durante i periodi di formazione professionale tale lavoratore “si trova a disposizione del suo datore di lavoro”;
  • è altresì irrilevante la circostanza che i periodi di formazione si svolgano, in tutto o in parte, al di fuori del normale orario di lavoro, dal momento che, ai fini della nozione di “orario di lavoro”, la direttiva “non distingue a seconda che tale lavoro sia svolto o meno nell’ambito delle normali ore di lavoro”;
  • una diversa interpretazione della nozione di “orario di lavoro”, ai sensi dell’art. 2, punto 1, della Direttiva, che non consenta di includere i periodi di formazione professionale svolti dal lavoratore su iniziativa del suo datore di lavoro “sarebbe tale da consentire a quest’ultimo di imporre al lavoratore – che è la parte debole del rapporto di lavoro obblighi di formazione al di fuori del normale orario di lavoro, con pregiudizio del diritto del lavoratore a un riposo adeguato”.
La formazione professionale obbligatoria seguita su iniziativa datoriale costituisce orario di lavoro
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