Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 novembre 2021, n. 37291

Cessione di ramo d’azienda, CCNL, Mantenimento dei diritti
dei lavoratori in caso di cambiamento dell’imprenditore, Applicabilità art.
2112 cc

Rilevato che

 

1. La Corte d’appello di Cagliari ha accolto
l’appello di M.M. s.p.a. e di M. s.p.a. e, in riforma della pronuncia di primo
grado, ha respinto la domanda dei lavoratori indicati in epigrafe volta alla
declaratoria di illegittimità e inefficacia degli accordi o contratti collettivi
stipulati da M.M. s.p.a. a partire dall’1.3.2010, nelle parti difformi dal CCL
M. s.p.a. D.T., nonché al risarcimento dei danni patiti per effetto
dell’illegittimo trasferimento delle posizioni lavorative da M. s.p.a. a M.M.
s.p.a.

2. La Corte territoriale ha premesso (richiamando
anche sentenze del Tribunale sulla cessione del ramo “aviation” da M.
s.p.a. alla controllata E. s.p.a.) come non sia ostativa alla fattispecie di
cessione di ramo d’azienda, di cui all’art. 2112 cod. civ., la circostanza che
la società cedente sia controllante della cessionaria ed inoltre che non possa
considerarsi in frode alla legge la volontà di regolare i rapporti di lavoro
dei dipendenti ceduti in base ad un contratto collettivo ad essi
complessivamente più sfavorevole, effetto invece consentito dall’art. 2112 cod.
civ.

3. Ha ritenuto che la cessione oggetto di causa
fosse riconducibile alla previsione dell’art. 2112, comma 5, cod. civ., in
quanto risultava “ceduta tutta la struttura manutentiva in essere presso
la società, comprendente personale, dotazioni tecniche ed immobiliari e dunque
tutta l’organizzazione finalizzata a realizzare il -servizio finito- della
manutenzione degli aeromobili”.

4. Ha richiamato l’orientamento di legittimità
(Cass. n. 11614 del 2011; n. 5882 del 2010; n. 2609 del 2008) che esclude la
sopravvivenza del contratto collettivo della cedente nel caso in cui la
cessionaria applichi un altro contratto, realizzandosi l’effetto sostitutivo a
parità di livello della contrattazione collettiva in vigore presso cedente e
cessionaria; ha giudicato tale orientamento conforme all’art. 2112 cod. civ. e
alla Direttiva 77/87, come riscritta dalla direttiva 2001/23. Ha accertato che
nel caso di specie non vi era alcuna differenza di livello poiché il contratto
applicato da M. s.p.a. aveva portata e natura nazionale, e poteva essere
sostituito dal contratto nazionale del settore metalmeccanico applicato presso
la cessionaria. Ha rilevato che il CCNL del settore metalmeccanico non era
stato di fatto mai applicato dalla cessionaria, che aveva stipulato con le
OO.SS. un primo accordo del 7.5.2010, un secondo accordo del 3.8.2000 ed un
terzo accordo del 19.1.2011, quest’ultimo certamente migliorativo rispetto al
contratto collettivo, applicabile, del settore metalmeccanico; che se anche
l’accordo del 2011 fosse stato peggiorativo rispetto al contratto collettivo in
vigore presso la cedente M. s.p.a., lo stesso doveva considerarsi idoneo ai
fini dell’effetto sostitutorio di cui all’art. 2112 cod. civ. in quanto di pari
livello, ed applicabile unilateralmente dall’azienda anche ai lavoratori
dissidenti; che i dipendenti ceduti avevano tratto sostanziale vantaggio
dall’applicazione dell’accordo del 2011, e degli accordi precedenti, in quanto
migliorativi rispetto al contratto collettivo applicabile del settore
metalmeccanico, con conseguente carenza di interesse dei medesimi rispetto alla
pretesa di inapplicabilità degli accordi del 2010 e 2011.

5. Avverso tale sentenza i lavoratori indicati in
epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi. M.M.
s.p.a. e A. s.p.a. (già M. s.p.a.) hanno resistito con unico controricorso.

6. M.M. s.p.a. e A. s.p.a. hanno depositato memoria.

I ricorrenti hanno depositato atto di nomina di
nuovo difensore (avv. M.T.) in sostituzione dei precedenti, con allegata
procura speciale.

 

Considerato che

 

7. Nel controricorso le società hanno
preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso, in relazione agli artt.
365 e 366, comma 1, cod. proc. civ., per invalidità della procura speciale;
l’improcedibilità del ricorso ex art. 369, comma 2, n. 2 cod. proc. civ., per
mancata indicazione della notifica della sentenza impugnata e mancato deposito
della stessa; l’inammissibilità del ricorso per violazione degli artt. 360 bis
n. 1, 366, comma 1 n. 4 e 375, n. 5, cod. proc. civ.

8. L’invalidità della procura è dedotta sul rilievo
che le firme apposte dai ricorrenti, ai fini del rilascio della procura
speciale per il ricorso in cassazione, siano illeggibili e tali che non possa
neanche verificarsi se risultino presenti le firme di tutti i 42 ricorrenti.

9. L’eccezione non merita accoglimento. Questa Corte
ha affermato (v. Cass. n. 17693 del 2011; n. 16264 del 2004) che “la
procura speciale alle liti ex art. 83 terzo comma, cod. proc. civ., ove
sottoscritta con firma illeggibile, è nulla solo quando dall’intestazione o dal
contesto dell’atto o dalla procura stessa non emerga il nome del mandante, in
quanto, se questa indicazione emerge, l’atto è comunque idoneo a realizzare il
suo scopo tipico, che è quello di fornire alla controparte la certezza
giuridica della riferibilità dell’attività svolta dal difensore al
sottoscrittore, in proprio o quale rappresentante di un ente”. Nel caso di
specie, il ricorso per cassazione reca nell’intestazione puntuale indicazione
delle generalità di ciascun ricorrente.

10. L’improcedibilità del ricorso ex art. 369, comma
2, n. 2 cod. proc. civ., è eccepita in ragione della mancata indicazione della
notifica della sentenza impugnata (avvenuta il 30.1.2015) e del mancato
deposito di copia autentica della stessa, con relata di notifica.

11. Anche tale eccezione è infondata poiché la parte
ricorrente ha depositato copia autentica della sentenza impugnata, con relata
di notifica, e non ha rilievo l’omessa indicazione espressa nell’intestazione
del ricorso dell’avvenuta notifica della sentenza impugnata.

12. La residua eccezione preliminare (di violazione
degli artt. 360 bis n. 1, 366, comma 1 n. 4 e 375, n. 5, cod. proc. civ.) è
esaminata unitamente ai singoli motivi di ricorso.

13. Con il primo motivo di ricorso è dedotta
violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 434 e 436 bis cod. proc. civ.,
in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte di
merito omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità dei ricorsi in
appello (poi riuniti), sollevata dai lavoratori ivi convenuti, che viene quindi
riproposta.

14. Con il secondo motivo è denunciata violazione o
falsa applicazione degli artt. 112, 414 nn. 3 e 4 e 434 cod. proc. civ., in
relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per avere la Corte
di merito omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità e nullità
dei ricorsi in appello “per plateale contraddizione e autosmentita di
quanto sostenuto in primo grado”, sollevata dai lavoratori ivi convenuti,
che viene quindi riproposta.

15. Con il terzo motivo è dedotta violazione o falsa
applicazione degli artt. 112, 345, 414 n. 4 e 434 cod. proc. civ., in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.. per avere la Corte di merito
omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità e nullità dei ricorsi
in appello “per modifica delle conclusioni e, in subordine, sulla
richiesta di presa d’atto della avvenuta avversa limitazione della domanda, con
richiesta di declaratoria di passaggio in giudicato delle questioni su cui non
vi era stata domanda di riforma”, sollevata dai lavoratori ivi convenuti,
che viene quindi riproposta. Si afferma, riportando estratti della memoria di
costituzione in appello dei lavoratori, che le società in primo grado si erano
limitate a chiedere il rigetto delle domande e solo nei ricorsi in appello
avevano chiesto di dichiarare la legittimità, validità ed efficacia della
cessione di ramo d’azienda e, per l’effetto, “la validità ed efficacia nei
confronti di tutti i signori indicati in epigrafe del CCL 19 gennaio 2011 di
M.M. s.p.a. a far data dal Io marzo 2010”. Si fa valere il vizio di
ultrapetizione della decisione d’appello in quanto ha respinto integralmente le
domande dei ricorrenti in primo grado travolgendo anche i capi della decisione
del Tribunale non oggetto di impugnativa e su cui si era formato il giudicato,
ed esattamente quelli concernenti “l’inefficacia nei confronti dei
ricorrenti – dipendenti trasferiti da M. s.p.a. a M. M. s.p.a. – degli accordi
collettivi stipulati da M. M. s.p.a. dall’1.3.2010 in poi, nelle parti difformi
dal CCL M. s.p.a. dipendenti di terra, operante fino a tale data”, con
diritto degli stessi all’applicazione, per il periodo successivo all’1.3.2010,
delle condizioni economiche dei CCL in vigore fino alla data suddetta (fatto
salvo l’accordo del 19.1.2011, oggetto dei ricorsi in appello, ove non
dichiarati inammissibili sul punto, in accoglimento dei primi due motivi del
ricorso per cassazione).

16. I primi tre motivi di ricorso, che possono
trattarsi congiuntamente in quanto pongono questioni connesse, sono
inammissibili per più profili.

17. Sulla violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
sollevata nei primi due motivi, deve ribadirsi che il mancato esame da parte
del giudice, su sollecitazione della parte, di una questione puramente
processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronuncia, configurabile solo
in caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni
pregiudiziali di rito (Cass. n. 25154 del 2018; n. 13649 del 2005).

18. Riguardo al vizio (dedotto nei primi tre motivi)
di violazione degli artt. 414, 434, 436 bis e 345 cod. proc. civ., da
riqualificare ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., l’inammissibilità
deriva dal mancato rispetto degli oneri previsti dall’art. 366 c.p.c., comma 1,
n. 6, e dall’art. 369, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. (v. Cass. SU, n.
8077/2012; SU 11/4/2012, n. 5698; Cass. SU 3/11/2011, n. 22726); le censure
mosse dai ricorrenti investono atti processuali del giudizio di merito (in
particolare, i ricorsi in appello) di cui si assume l’inammissibilità e che non
sono né trascritti, almeno nelle parti di interesse in questa sede, né
depositati unitamente al ricorso per cassazione.

Per la stessa ragione risulta inammissibile il terzo
motivo di ricorso nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 345 cod.
proc. civ., in quanto l’apprezzamento di novità delle domande o eccezioni
formulate in appello presuppone che siano trascritti, almeno nelle parti
rilevanti, il contenuto delle memorie di costituzione in primo grado delle
società e dei successivi ricorsi in appello, oltre che le statuizioni adottate
sugli specifici punti dalla sentenza di primo grado. Tale adempimento è stato del
tutto omesso, al pari del deposito dei suddetti atti processuali in allegato al
ricorso in esame.

19. Col quarto motivo si censura la decisione
d’appello per violazione o falsa applicazione degli artt. 1344, 2112 e 2697
cod. civ. e degli artt. 112, 115, comma 1, cod. proc. civ., in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.. Si assume la violazione degli
artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ. per avere la Corte di merito accolto
l’appello pur in mancanza di prova, di cui erano onerate le società, dei
requisiti necessari ai fini dell’art. 2112 cod. civ., cioè la alterità dei
soggetti tra cui è avvenuta la cessione del ramo d’azienda e la preesistenza di
un autonomo ramo d’azienda relativo alla manutenzione degli aeromobili, con
conseguente violazione o falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ.. Si
sostiene che esistevano nel caso in esame numerosi indici significativi della
sostanziale unicità del centro di imputazione dei rapporti giuridici,
costituito dalle due società, e dell’essere l’operazione di cessione del ramo
d’azienda non genuina, bensì finalizzata alla riduzione unilaterale del costo
del lavoro e così in frode alla legge e ai diritti dei lavoratori.

20. Il motivo è infondato nella parte in cui
pretende di considerare ostativo, ai fini dell’art. 2112 cit., l’esistenza di
un collegamento societario tra cedente e cessionario.

21. Come si ricava dall’orientamento consolidato di
questa Corte, l’esistenza di un collegamento economico-funzionale tra imprese
gestite da società del medesimo gruppo non è idoneo, di per sé, a far venire
meno l’alterità dei soggetti giuridici e a configurare un unico centro di
imputazione dei rapporti di lavoro, occorrendo a tal fine altri requisiti,
individuati in indici di simulazione o preordinazione in frode alla legge del
frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento
economico (v. Cass. n. 4418 del 1997; n. 3136 del 1999; n. 6707 del 2004; n.
11107 del 2006; più recentemente, Cass. n. 3482 del 2013; n. 26346 del 2016; n.
13809 del 2017; n. 19023 del 2017) oppure nella mera apparenza della pluralità
di soggetti giuridici a fronte di un’unica sottostante organizzazione di
impresa, intesa come unico centro decisionale (v. Cass. n. 11275 del 2000; n.
4274 del 2003; n. 5496 del 2006; n. 25270 del 2011; n. 7704 del 2018). La Corte
di Giustizia (sentenza C- 458/12) ha escluso che “l’indipendenza del
cessionario nei confronti del cedente costituisse un presupposto per
l’applicazione della direttiva stessa” (punto. 47) ed ha affermato che
“Nulla giustifica che, ai fini dell’applicazione della citata direttiva
(2001/23), l’unità del comportamento tenuto sul mercato dalla capogruppo e
dalle consociate prevalga sulla separazione formale tra queste società aventi
personalità giuridiche distinte. Infatti, una soluzione del genere, che
porterebbe ad escludere daH’ambito di applicazione della direttiva in parola ì
trasferimenti tra società di uno stesso gruppo, si porrebbe precisamente in
contrasto con l’obiettivo di tale direttiva, che è di garantire, per quanto
possibile, il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento
dell’imprenditore, consentendo loro di rimanere al servizio del nuovo
imprenditore alle stesse condizioni pattuite con il cedente (sentenza Alien e
a., cit., punto 20)” (punto 49).

22. Per il resto, le censure mosse col motivo in
esame si rivelano inammissibili, in quanto attengono alla valutazione dei
legami tra le due società, allo scopo di dimostrare l’esistenza di un unico
centro di imputazione dei rapporti di lavoro, senza tuttavia che sia allegata e
documentata la proposizione di una domanda in tal senso nel ricorso
introduttivo del giudizio e negli atti di appello e senza che si faccia valere
l’omesso esame di un fatto decisivo, specificamente allegato.

23. Inammissibile è anche la censura mossa in ordine
alla mancanza del requisito di preesistenza del ramo ceduto, in quanto la
dedotta violazione di legge (art. 2112 cod. civ.) è formulata sulla base di una
ricostruzione in fatto diversa da quella accertata nella sentenza d’appello.
Questa ha ritenuto dimostrato il requisito della preesistenza del ramo
osservando (pag. 10 e 11) che “…la cessione costituiva il primo
passaggio per la creazione di un centro di eccellenza per la manutenzione degli
aeromobili, con un progetto che coinvolgeva una pluralità di
operatori…risulta ceduta tutta la struttura manutentiva in essere presso la
società, comprendente personale, dotazioni tecniche ed immobiliari e dunque
tutta l’organizzazione finalizzata a realizzare il -servizio finito- della
manutenzione degli aeromobili…Ed allora è evidente che si è in presenza di
una struttura che preesisteva ed era concretamente individuata alla data della
cessione e che in esito ad essa, ed alla contemporanea cessione del ramo
-aviation-, M. si è spogliata di ogni attività operativa”. Le critiche
mosse dai ricorrenti presuppongono un diverso accertamento in fatto, e ciò
preclude la configurabilità del vizio di violazione e falsa applicazione di
norme di diritto (v. Cass. n. 3340 del 2019; n. 640 del 2019; n. 10320 del
2018; n. 24155 del 2017; n. 195 del 2016).

24. Con il quinto motivo si deduce violazione o
falsa applicazione degli artt. 132 n. 4 e 115, comma 1, cod. proc. civ., degli
artt. 1352, 1373 e 2697 cod. civ., dell’art. 45 CCL M. s.p.a., in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., nonché omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.. I ricorrenti premettono che
M. s.p.a. aveva un proprio contratto collettivo aziendale che, all’art. 45,
prevedeva il rinnovo tacito in caso di mancata disdetta da farsi mediante
raccomandata a.r. almeno tre mesi prima della scadenza e, comunque, anche in
caso di tempestiva disdetta, una clausola di ultrattività fino alla
sostituzione con un nuovo CCL e che la parte denunciante aveva obbligo di
presentare lo schema del contratto collettivo entro un mese dalla data di
scadenza del termine di denuncia; rilevano che, pur in difetto di prova degli
elementi appena riportati, e con motivazione assolutamente carente, la Corte
d’appello ha ritenuto che M. s.p.a. avesse disdettato il contratto collettivo
con la comunicazione del 18.9.2009 fatta ai sensi dell’art. 47, I. n. 428 del
1990, in tal modo violando anche gli artt. 1352 cod. civ. e 45 del CCL cit..
Sostengono, inoltre, che ove pure scaduto (in assenza di disdetta) e ferma
l’ultrattività di cui all’art. 45 cit., il CCL M. s.p.a. doveva considerarsi
vigente in quanto trasformato in contratto a tempo indeterminato.

25. Il motivo di ricorso è inammissibile. Le censure
si fondano sul contenuto (delle clausole del contratto collettivo aziendale
che, tuttavia, non è stato, depositato, in violazione dell’art. 369, comma 4,
cod. proc. civ.. Secondo l’indirizzo consolidato, nel giudizio di cassazione,
l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di
improcedibilità del ricorso, dall’art. 369, comma 2, n. 4, c. p. c. – può dirsi
soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto
collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di
cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto
dall’art. 1363 c. c.; né, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero
richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di
merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli
atti (cfr. Cass. n. 6255 del 2019; n. 4350 del 2015).

26. Neppure ricorre alcuna anomalia motivazionale
denunciarle in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 132 cit., secondo i
limiti tracciati dalla sentenza delle S.U. n. 8053 del 2014. Si è infatti in
presenza di una motivazione certamente esistente, priva di intrinseche
illogicità e che solo attraverso un riesame fattuale, inammissibile in questa
sede, potrebbe essere rimessa in discussione.

27. Con il sesto motivo è dedotta violazione o falsa
applicazione degli artt. 1321, 1324, 2103 e 2112 cod. civ., degli artt. 112 e
115, comma 1, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod.
proc. civ., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.
5 cod. proc. civ.. Si afferma che, ove anche ritenuta legittima la cessione del
ramo d’azienda, non si sarebbe potuto produrre alcun effetto sostitutorio del
contratto collettivo della cedente con quello della cessionaria in quanto
quest’ultima, una new-co, non applicava alcun contratto collettivo e, comunque,
il CCNL metalmeccanici non era applicabile ai rapporti di lavoro degli attuali
ricorrenti perché tecnici che certificavano la regolarità e sicurezza degli
aerei, inoltre per il diverso livello dei contratti collettivi, nazionale
quello dei metalmeccanici, aziendale quello sottoscritto da M. s.p.a.
(contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello). Infine, dai
documenti prodotti dalle società, risultava che in sede di cessione le parti si
erano vincolate al mantenimento in capo ai lavoratori ceduti del trattamento
economico e dei livelli retributivi di cui godevano al momento della cessione.
Si aggiunge che l’erronea qualificazione come nazionale del CCL M. s.p.a. e la
affermata sostituzione di tale contratto col CCNL metalmeccanici ha consentito
alla Corte d’appello di ritenere applicabili gli accordi aziendali di maggio e
agosto 2010 e di gennaio 2011 in quanto migliorativi rispetto al citato CCNL,
là dove dalla invocata inapplicabilità agli attuali ricorrenti del contratto
collettivo metalmeccanici derivava l’inapplicabilità anche dei citati accordi
del 2010 e 2011.

28. Anche questo motivo è inammissibile per il fatto
che le censure presuppongono l’esame dei contratti collettivi citati, del cui
carattere aziendale o nazionale si discute, nonché di altri documenti, come il
contratto di cessione di ramo d’azienda, e nessuno di essi risulta trascritto,
almeno nelle parti rilevanti in questa sede, e depositato unitamente al ricorso
per cassazione, in violazione del disposto degli artt. 366 e 369 cod. proc.
civ. cit.

29. Con il settimo motivo è dedotta violazione o
falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ., dell’art. par. 3 della direttiva
CE 12.3.2001, n. 23, degli artt. 11 e 117 Cost., in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 3 cod. proc. civ.. Si censura l’interpretazione data dai giudici di
appello all’art. 2112 cod. civ., in base alla quale il contratto collettivo
adottato dalla cedente continua ad applicarsi, nel periodo successivo alla
cessione, solo nel caso in cui la cessionaria non applichi alcun contratto
collettivo, in quanto contraria alla direttiva 2001/23 come interpretata dalla
Corte di Giustizia, essendo dimostrato nel caso di specie, mediante apposite
tabelle prodotte nei giudizi di merito, ed essendo incontestato, il
peggioramento retributivo e normativo che gli attuali ricorrenti hanno subito a
seguito del trasferimento d’azienda.

30. La decisione d’appello è sul punto conforme
all’indirizzo di questa S.C.

che, nell’interpretare l’art. 2112, comma 3, cod.
civ., ha ritenuto applicabile ai dipendenti ceduti il contratto collettivo in
vigore presso la cessionaria, anche se più sfavorevole, atteso il loro
inserimento nella nuova realtà organizzativa e nel mutato contesto di regole,
anche retributive, potendo trovare applicazione l’originario contratto
collettivo nel solo caso in cui presso la cessionaria i rapporti di lavoro non
siano regolamentati da alcuna disciplina collettiva (v. Cass. n. 19303 del
2015; n. 10614 del 2011; n. 5882 del 2010, a proposito di fusone o
incorporazione di società; v. anche Cass. n. 20918 del 2020 in materia di
pubblico impiego contrattualizzato).

31. Al riguardo occorre precisare, anzitutto, che
l’art. 3 n. 3 della direttiva 2001/23 (secondo cui “Dopo il trasferimento,
il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto
collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente fino alla data
della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in
vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo”), come interpretato
dalla Corte di Giustizia, “mira ad assicurare il mantenimento di tutte le
condizioni di lavoro conformemente alla volontà delle parti contraenti del
contratto collettivo e ciò nonostante il trasferimento di impresa. Per contro
questa stessa disposizione non è idonea a derogare alla volontà di dette parti
così come manifestata nel contratto collettivo. Di conseguenza, se le parti
contraenti hanno stabilito di non garantire talune condizioni di lavoro oltre
una determinata data, l’art. 3 n. 3 della direttiva 2001/23 non può imporre al
cessionario l’obbligo di rispettarle posteriormente alla data convenuta di
scadenza del contratto collettivo, giacché, al di là di questa data, il
contratto collettivo di cui trattasi non è più in vigore. Ne consegue che
l’art. 3 n. 3 non impone al cessionario di garantire il mantenimento delle
condizioni di lavoro stabilite con il cedente oltre la data della scadenza del
contratto collettivo (v. sentenza Corte Giustizia del 27.11.2008, C-396/07,
punti 33 e 34). Nel caso in esame, la sentenza d’appello ha accertato
l’intervenuta disdetta del contratto collettivo da parte della cedente, M.
s.p.a., con la comunicazione del 18.9.2009, il che rende comunque non esigibile
la protratta applicazione di tale contratto ai rapporti di lavoro ceduti, e le
censure sollevate dai ricorrenti sulla validità della disdetta e sulla pretesa
ultrattività del contratto M. sono risultate inammissibili.

32. Nella sentenza del 6.9.2011, C-108/10 (Ivana
S.), la Corte di Giustizia ha ribadito che “73. la norma prevista
dall’art. 3, n. 2, secondo comma, della direttiva 77/187 (ndr., coincidente con
l’art. 3 n. 3 direttiva 2001/23) non può privare di contenuti il primo comma
del medesimo numero. Pertanto, questo secondo comma non osta a che le condizioni
di lavoro enunciate in un contratto collettivo che si applicava al personale
interessato prima del trasferimento cessino di essere applicabili al termine di
un anno successivo al trasferimento, se non addirittura immediatamente alla
data del trasferimento, quando si realizzi una delle ipotesi previste dal primo
comma di detto numero, ossia la risoluzione o la scadenza di detto contratto
collettivo oppure l’entrata in vigore o l’applicazione di un altro contratto
collettivo (v. sentenza 9 marzo 2006, causa C-499/04, Werhof, Racc. pag.
1-2397, punto 30, nonché, in tema di art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23,
sentenza 27 novembre 2008, causa C-396/07, Juuri, Racc. pag. 1-8883, punto 34).
74. Di conseguenza, la norma prevista dall’art. 3, n. 2, primo comma, della
direttiva 77/187, ai sensi della quale «il cessionario mantiene le condizioni
di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da
quest’ultimo per il cedente, fino alla data (…) [di] applicazione di un altro
contratto collettivo», dev’essere interpretata nel senso che il cessionario ha
il diritto di applicare, sin dalla data del trasferimento, le condizioni di
lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle
concernenti la retribuzione”.

33. Peraltro, deve rilevarsi che, in base alla
sentenza sul caso S. e tenuto conto dello scopo della direttiva, la
comparazione tra le condizioni di lavoro presso la cedente e quelle in essere
presso il cessionario deve essere eseguita considerando il trattamento
complessivo e, da questo punto di vista, il motivo di ricorso difetta di
specificità. L’assunto formulato dagli attuali ricorrenti, di un contrasto tra
la decisione d’appello e l’interpretazione dell’art. 2112 cit. in conformità
alla direttiva e alle pronunce della Corte di Giustizia, in ragione del
peggioramento retributivo e normativo subito dai medesimi a seguito del
trasferimento d’azienda e per effetto del contratto collettivo applicato dal
cessionario, poggia sul riferimento ad “apposite tabelle prodotte nei
giudizi di merito”, non trascritte e non depositate unitamente al ricorso
per cassazione, non potendosi ritenere esaustiva al riguardo la statuizione
della sentenza d’appello (pagg. 14 e 15) secondo cui “all’esito della
cessione la spa M.M. ben poteva applicare il CCNL del settore metalmeccanico,
anche se ciò comportava un trattamento peggiorativo per i dipendenti”, di
carattere generico e, peraltro, superata dall’accertata applicazione presso la
cessionaria degli accordi migliorativi, del 2010 e 2011, al posto del CCNL
metalmeccanico.

34. Anche il settimo motivo di ricorso risulta
quindi infondato.

35. Con l’ottavo motivo si deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 11, comma 2 preleggi e dell’art. 112 cod. proc. civ.; in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte
d’appello giudicato applicabile l’accordo del gennaio 2011, cioè il CCL M.M.,
sin dalla data della cessione e quindi anche per il periodo anteriore alla
stipulazione del contratto medesimo, in violazione del principio di
irretroattività di cui all’art. 11 delle Preleggi. Si assume che l’eccezione
sollevata sul punto dai lavoratori nella memoria di costituzione in appello
(trascritta a pag. 64 del ricorso per cassazione) non sia stata esaminata dalla
Corte di merito, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.

36. Il motivo è infondato. Non ricorrono gli estremi
di una omessa pronuncia poiché la sentenza d’appello (pag. 15) ha statuito sul
punto precisando che il contratto del 2011 avesse “inglobato” quelli
del 2010, in tal modo implicitamente respingendo il rilievo di applicazione
retroattiva.

37. Col nono motivo si denuncia violazione o falsa
applicazione degli artt. 1321, 1372, 1344, 2103 cod. civ., degli artt. 112 e
115, comma 1, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., nonché
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc.
civ.. Si premette che i lavoratori, nel ricorso introduttivo della lite,
avevano contestato l’applicabilità nei propri confronti degli accordi
collettivi (CCL M.M.) di marzo e maggio 2010 e gennaio 2011, contenenti
condizioni economico-normative difformi rispetto al CCL M. s.p.a. applicato
fino al febbraio 2010, in quanto non iscritti alle OO.SS. firmatarie; inoltre
perché l’accordo di maggio non era stato approvato in sede di referendum dei
lavoratori e quelli successivi (di agosto 2010 e gennaio 2011) erano
sostanzialmente corrispondenti a quello bocciato dal referendum; le stesse
OO.SS. firmatarie, con nota del 23.10.2012, avevano formalizzato la risoluzione
di tutti gli accordi stipulati dal 6 maggio 2010 in poi, per inadempimento di
M.M.. Si assume che la Corte di merito abbia omesso di pronunciare sulla domanda
di disapplicazione e risoluzione dei citati accordi collettivi. Si denuncia la
violazione degli artt. 1321 e 1372 cod. civ. per avere la sentenza impugnata,
là dove ha accolto gli appelli e respinto le domande dei lavoratori,
legittimato l’applicabilità dei citati accordi agli attuali ricorrenti, che non
erano rappresentati dalle OO.SS. firmatarie ed erano anzi dissenzienti. Si
denuncia la violazione degli artt. 1453 e 1344 cod. civ. per avere la Corte
d’appello omesso di dichiarare la risoluzione dei citati accordi e permesso a
M.M. di frodare la volontà espressa dai lavoratori nei referendum, essendo
peraltro documentati i peggioramenti economici e normativi derivanti da tali
accordi rispetto al contratto M. s.p.a.

38. Le censure sono inammissibili poiché non sono
trascritti né depositati gli accordi collettivi, il CCL M. spa, la nota del
23.10.12, la documentazione sul peggioramento economico e normativo, la diffida
alle OO.SS. citata a pag. 66 del ricorso rilevante ai fini del dedotto
dissenso. Neppure è trascritta, nei suoi esatti termini e con riferimento ad
entrambi i gradi di merito, la domanda di disapplicazione e risoluzione dei
citati accordi collettivi che si assume oggetto di omessa pronuncia.

39. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere
respinto.

40. La regolazione delle spese segue il criterio di
soccombenza.

41. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R.
n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di
lite che liquida in € 6.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per
esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per
legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma
del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 novembre 2021, n. 37291
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