Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 dicembre 2021, n. 38209

Licenziamento, Deposito del ricorso in forma cartacea,
Nullità, Obbligo di deposito degli atti per via telematica

Rilevato che

 

1. M.R. impugnò davanti al giudice del lavoro il
licenziamento intimatogli dalla R.B.C. Italia s.r.l. (d’ora in poi R. s.r.l.)
in data 6 maggio 2016.

2. Il Tribunale di Pescara, in sede sommaria e poi a
seguito di opposizione della società, accertò l’illegittimità del licenziamento
ordinò la reintegrazione del R. nel posto di lavoro in precedenza occupato e
condannò la società al pagamento di una indennità risarcitoria quantificata in
dodici mensilità di retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali
ed assistenziali dal licenziamento all’effettiva reintegrazione.

3. La Corte di appello di L’Aquila, investita del
reclamo da parte della società e di reclamo incidentale da parte del R. li ha
rigettati entrambi.

3.1. In primo luogo la Corte di merito ha ritenuto
infondata la censura con la quale era stata dedotta l’inammissibilità
dell’opposizione proposta dalla società avverso l’ordinanza resa all’esito
della fase sommaria. Ha osservato infatti che era ammissibile il deposito del
ricorso in forma cartacea e che una eventuale nullità – conseguente all’obbligo
di deposito degli atti per via telematica introdotto con l’art. 16 bis della
legge 24 dicembre 2012 n. 228 – era stata comunque sanata. In assenza di una
disposizione di legge che preveda l’inammissibilità di tale modalità di
deposito degli atti ed in virtù del principio di libertà delle forme, dettato
dall’art. 121 cod.proc.civ., e di raggiungimento dello scopo dell’atto nullo,
ai sensi dell’art. 156 cod.proc.civ., l’atto aveva raggiunto il suo scopo senza
pregiudizio per la parte opposta.

3.2. Ha poi rigettato la doglianza con la quale era
ribadita l’intempestività della contestazione e la conseguente nullità del
licenziamento rammentando che l’immediatezza della contestazione va valutata
tenendo conto delle ragioni oggettive che possono concretamente ritardare la
percezione o il definitivo accertamento dei fatti contestati, tenuto conto
della loro complessità e della necessità di valutarli unitariamente.

3.3. Dopo aver ricostruito la complessa vicenda,
poi, ha confermato la sentenza nella parte in cui ha accertato l’illegittimità
del recesso in relazione all’accertata insussistenza del fatto contestato al
lavoratore.

3.4. Ha ritenuto insussistente la prova dell’aliunde
perceptum, non surrogabile con la richiesta di esibizione avanzata.

3.5. Ha ritenuto incompatibili col rito Fornero gli
accertamenti funzionali all’esame della domanda volta ad ottenere la
rinnovazione dell’ordine di reintegrazione asseritamente eluso dalla società e
di rimborso delle maggiori spese sostenute dal lavoratore reiterata con il
reclamo incidentale.

3.6. Ha rigettato il motivo dell’incidentale con il
quale era stata reclamata l’erronea identificazione della misura della
retribuzione da porre a parametro per il calcolo dell’indennità risarcitoria
riconosciuta evidenziando ancora una volta l’incompatibilità degli accertamenti
necessari con il rito Fornero e, comunque, relativi a fatti costitutivi diversi
e successivi rispetto al licenziamento oggetto del giudizio, introdotti solo
nella fase di opposizione con alterazione della regola dell’obbligatorietà
della fase sommaria desumibile dall’art. 1 comma 48 della legge n. 92 del 2012.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso la R.B.C. Italia s.r.l. (R. s.r.l.) affidato a tre motivi. M.R. ha
resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale autonomo
affidato a tre motivi e ricorso incidentale condizionato con due motivi. La
società R. s.r.l ha opposto difese con controricorso. M.R. ha depositato
memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis.1. cod. proc. civ.

 

Considerato che

 

5. Il ricorso principale:

5.1. Con il primo motivo è denunciata la violazione
e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. in relazione all’art.
360 primo comma n.3 cod.proc.civ.. Deduce la società R. s.r.l. che il fatto
oggetto della contestazione disciplinare non era stato contestato e che,
pertanto, avrebbe dovuto essere considerato provato. Sostiene la ricorrente che
la sentenza, non tenendone conto e trascurando il tenore testuale della
contestazione e della lettera di licenziamento, sarebbe incorsa nella
violazione denunciata. Afferma che dell’ autorizzazione a praticare sconti era
stata fatta menzione solo nel provvedimento di licenziamento per replicare alle
giustificazioni del lavoratore e che contraddittoriamente la Corte di merito
non avrebbe tenuto conto, ai fini della valutazione di legittimità del recesso,
dell’inadempimento principale del lavoratore pur avendo ritenuto accertati i
fatti.

5.2. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata
la violazione dell’art. 115 cod.proc.civ. sostenendosi che i fatti posti a
fondamento del recesso erano stati trascurati dalla sentenza che non dà conto
della consapevolezza da parte del ricorrente e del suo superiore gerarchico e
del mancato rispetto della policy aziendale sugli sconti, anche con riguardo
alle necessarie autorizzazioni la cui esistenza era nota a tutti i dipendenti.
Deduce che pertanto il R., che si era sottratto al rispetto di tali regole nel
concedere gli sconti che neppure il suo superiore poteva autorizzare, non
poteva essere ritenuto in buona fede.

5.3. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2105, 2109 c.c. e 18 legge n.
300/1970 e ss.mm.. La società ricorrente deduce che al lavoratore era stato contestato
di aver commesso “irregolarità dell’applicazione della politica
commerciale” aziendale accordando “un prezzo netto minimo di cessione
(…) inferiore a quello previsto dalla società”. Che il fatto in sé era
pacifico ed integrava, in sé, una giusta causa di licenziamento a maggior
ragione se valutato insieme alla ripetuta violazione degli obblighi di
diligenza, correttezza, buona fede e fedeltà evincibile dalla totale noncuranza
degli interessi aziendali tenuto conto dell’idoneità della condotta a porre in
dubbio la correttezza dei futuri adempimenti. Sostiene la R. s.r.l. che
l’affermazione della Corte che imputa al diretto superiore gerarchico la
responsabilità dei fatti sarebbe incoerente e contraddittoria. Erroneamente la
Corte di appello si sarebbe preoccupata di verificare se la condotta del R. era
assistita dalla consapevolezza della violazione commessa ed oggetto di
contestazione, imputando alla società la mancanza di specifiche direttive sulle
autorizzazioni, ma trascura di considerare le ripetute email inviate dalla
società ai suoi dipendenti e fraintende il contenuto della contestazione di
addebito e le ragioni della lesione del vincolo fiduciario, ravvisabile anche
nel non aver portato a conoscenza della società le irregolarità, continuando a
commetterle.

6. Le censure da esaminare congiuntamente non
possono essere accolte.

6.1. Come più volte affermato da questa Corte, non
può porsi una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e
116 cod.proc.civ. laddove ci si dolga sia, nella sostanza, di una erronea
valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma,
rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base
della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di
fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo
prudente apprezzamento, delle prove legali, o ancora abbia considerato come
facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova
soggetti invece a valutazione (cfr. tra le altre Cass. 27/12/2015 n. 27000 e
17/01/2019 n. 1229).

6.2. In tema di valutazione delle prove, il
principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116
cod.proc.civ., opera infatti interamente sul piano dell’apprezzamento di
merito, insindacabile in sede di legittimità. Ne consegue che la denuncia della
violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura
un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile
nella fattispecie di cui all’art. 360 primo comma n. 4 cod.proc.civ., bensì un
errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma
normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art.
360 primo comma n. 5 cod.proc.civ. come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83
del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. 12/10/2017 n.
23940). L’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito e che
investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del
fatto che si intende provare non è mai sindacabile in sede di legittimità. Solo
l’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo
della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di
discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4
cod.proc.civ. per violazione dell’art. 115 del medesimo codice, norma che vieta
di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà
mai offerte (cfr. Cass. 12/04/2017 n. 9356).

6.3. Salvi questi principi, dai quali non vi è
ragione di discostarsi, allora, nel caso in esame ciò che viene denunciato è
una non condivisibile e condivisa ricostruzione e valutazione dei fatti senza,
peraltro, che nella specie sia stato neppure evidenziato un vizio di
motivazione, pur nei limiti in cui è possibile dedurlo.

7. Venendo all’esame del ricorso incidentale
proposto in via autonoma, restando evidentemente assorbito quello condizionato
dal rigetto del ricorso principale, ritiene il Collegio che il secondo motivo
sia fondato e debba essere accolto mentre il primo ed il terzo motivo debbano
essere rigettati.

7.1. Con il primo motivo è denunciata la nullità
della sentenza, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4 cod. proc. civ., per
avere la Corte violato l’art. 1 commi 47, 48, 57 e 60 della legge n. 92 del
2012, l’art. 112 cod.proc.civ. e l’art. 111 primo comma Cost., per avere la
Corte di merito trascurato di considerare, con riguardo all’inadempimento
dell’ordine di reintegra, che questo è connaturato al processo di accertamento
dell’illegittimità del licenziamento. Con il terzo motivo di ricorso si duole,
in relazione alle medesime disposizioni, del mancato riconoscimento del maggior
danno sofferto per effetto della reintegra in un luogo diverso da quello
dovuto.

7.2. Al riguardo si osserva che l’inadempimento
della società all’ordine di reintegrazione, eseguito in luogo diverso (Milano e
non Pescara), ed il maggior danno asseritamente sofferto quale conseguenza di
tale inadempimento, rappresentato dalle spese sostenute per effetto di tale
illegittima modifica del luogo della reintegrazione, costituiscono fatti del
tutto diversi rispetto a quelli oggetto del procedimento di verifica della
legittimità del licenziamento. Un loro esame, sebbene si tratti di eventi
occasionati proprio dal processo la cui sentenza si assume essere stata
malamente eseguita con le conseguenze dannose derivate, comporterebbe un
ampliamento del tema decisorio non compatibile con le esigenze di
concentrazione e celerità che caratterizzano il rito c.d. Fornero.

7.3. L’ ottemperanza del datore di lavoro all’ordine
giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità
dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino
della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività
lavorativa deve quindi avvenire nella sede precedentemente assegnata e nelle
mansioni originariamente rivestite salvo che il datore di lavoro non intenda
disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, purché il
mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche,
organizzative e produttive. Ove tali condizioni manchino è configurabile una
condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale
provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un’eccezione di
inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., sia sulla base del rilievo che
gli atti nulli non producono effetti (cfr. Cass. 16/05/2013 n. 11927,
30/12/2009 n. 27844 e 07/01/1998 n. 77 ). Tuttavia tale verifica non è
funzionale, in maniera immediata e diretta, all’accertamento della legittimità
del licenziamento ed alla sua tutela.

7.4. Va rammentato che ai sensi dell’art. 1, comma 48
della legge n. 92 del 2012, con il rito «Fornero» possono essere proposte,
oltre alle domande relative all’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi
regolate dall’art. 18 Stat. lav. anche quelle che siano fondate su fatti
costitutivi già dedotti. Così sono state ritenute ammissibili domande di
pagamento del t.f.r. e dell’indennità di preavviso sul rilievo che – poiché
scaturiscono dalla cessazione del rapporto, e sono fondate su fatti costitutivi
già dedotti – il loro esame non comporti un indebito ampliamento del tema
sottoposto a decisione, e consenta di evitare un frazionamento dei processi e
delle pronunce in mero rito, permettendo, al contrario, che un’unica vicenda
estintiva del rapporto di lavoro dia luogo ad un unico processo (cfr. Cass.
12/08/2016 n. 17091, 16/08/2016 n. 17107). Del pari è stata ritenuta
ammissibile l’estensione dell’indagine all’esistenza di una giusta causa o
della giustificatezza del recesso nel caso di impugnazione di licenziamento
ritenuto discriminatorio o, ancora, per il caso di comporto breve in luogo di
quello prolungato (cfr. Cass. 04/04/2019 n. 9458). Ugualmente si è ritenuta
compatibile con il rito Fornero la domanda volta al pagamento della
retribuzione dovuta ai sensi dell’art. 2126 cod.civ. nell’arco temporale compreso
tra il provvedimento espulsivo e la sua esecuzione (cfr. Cass. n. 7586 del
2018) anch’essa fondata su identici fatti costitutivi dedotti nel processo di
impugnazione del licenziamento nullo e dunque compatibile con le esigenze del
rito speciale introdotto dalla I. n. 92 del 2012 (v. anche Cass. 08/10/2019 n.
25169 e 10/09/2018 n. 21959 sull’ accertamento natura giuridica rapporto e
soggetto datore di lavoro e Cass. n. 5993 del 2019 con riguardo alla deduzione
in fase di opposizione di una modulazione del rapporto subordinato diversa da
quella prospettata nella fase sommaria).

7.5. In tutti i casi ricordati l’ammissibilità della
domanda è conseguenza dell’identità dei fatti costitutivi posti a fondamento
della pretesa principale, circostanza che al contrario, nella specie, non è
ravvisabile atteso che i fatti dai quali il ricorrente fa derivare
l’illegittimità della reintegrazione ed il danno sono del tutto differenti e
risultano semmai originati proprio dall’accertamento della illegittimità del
licenziamento e riferiti ad una fase successiva, attuativa dei rimedi.

8. Dalle considerazioni più sopra esposte, se deriva
il rigetto del primo e del terzo motivo di ricorso, consegue, invece,
l’accoglimento del secondo motivo atteso che già nei gradi di merito era stato
dedotto che la retribuzione parametro per l’indennità non era quella riportata
nella busta paga prodotta dalla società ma quella superiore di € 5.813,80 della
quale si era sollecitato il giudice a tenerne conto. Emerge con chiarezza dalla
censura, al riguardo adeguatamente specifica, che il lavoratore preso atto del
fatto che il Tribunale aveva adottato parametri errati di liquidazione
dell’indennità risarcitoria dovuta, sebbene tutti gli elementi fossero stati
puntualmente allegati siri dal primo grado, aveva puntualmente censurato la
sentenza chiedendone la riforma. Erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che
in tal modo si sarebbe verificato un ingiustificato e non consentito
ampliamento della materia del contendere incompatibile con ¡1 rito speciale. La
corretta individuazione della misura dell’indennità risarcitoria, conseguente
all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento, è questione che origina
dalla cessazione del rapporto, fondata su fatti costitutivi già dedotti, e non
comporta alcun ampliamento indebito del tema sottoposto a decisione, che è e
resta quello dell’accertamento della illegittimità o meno del recesso e
dell’individuazione, nel primo caso, della esatta individuazione delle
conseguenze anche di tipo risarcitorio. Accertamento quest’ultimo che passa
attraverso l’individuazione della misura dell’indennità che non può
prescindere, in funzione della possibilità di porre in esecuzione il
dispositivo della sentenza, dalla corretta individuazione della misura della
retribuzione da prendere a base per la sua quantificazione ove al giudice siano
tempestivamente offerti elementi di valutazione in tal senso. Unificazione
necessaria e funzionale per evitare frazionamenti dei processi o pronunce in
mero rito, permettendo, al contrario, come si è più sopra ricordato, che
un’unica vicenda estintiva del rapporto di lavoro dia luogo ad un unico processo.

9. All’accoglimento della censura consegue la
cassazione sul punto della sentenza ed il rinvio alla Corte di appello di
L’Aquila, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del
giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso
incidentale condizionato. Accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale
autonomo, rigettati gli altri. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto
e rinvia alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, che
provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.p.r. n.
115/2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento. da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 dicembre 2021, n. 38209
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