Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 novembre 2021, n. 35671

INAIL, Nesso di causalità tra attività lavorativa e patologia
lamentata, Malattia professionale, Indennizzabilità

Fatti di causa

1. A seguito di rinvio disposto da Cass. 4 novembre
2010, n. 22441 in punto di nesso di causalità tra attività lavorativa
(banconista) e patologia lamentata (artrosi e varici agli arti inferiori) da
F.D.R., la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 10603 del 2014 ha accolto,
in adesione alle conclusioni rassegnate dall’ausiliare officiato in giudizio,
la domanda di riconoscimento di tecnopatia condannando l’INAIL al pagamento
della rendita in conto capitale, nella misura dell’8 per cento, dei ratei
arretrati e degli interessi.

2. Avverso tale sentenza ricorre l’INAIL con un
motivo, ulteriormente illustrato con memoria, cui resiste, con controricorso,
D.R.F., ulteriormente illustrato con memoria.

3. Il Procuratore Generale, nelle conclusioni
scritte, ha chiesto accogliersi il ricorso con decisione, nel merito, di
rigetto della domanda.

 

Ragioni della decisione

 

4. Con il motivo di ricorso si denuncia violazione
degli artt. 66, 74 del d.P.R. n. 1124 del 1965
e dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del
2000 in ragione del fatto che trattandosi di malattia professionale
denunciata con domanda amministrativa (del 15 gennaio 1999) antecedente
all’entrata in vigore della nuova disciplina dettata dall’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000,
le menomazioni dovevano essere valutate alla stregua dell’art. 74 d.P.R. n.1124 del 1965
(indennizzabilità delle menomazioni superiori al 10 per cento) e non già alla
stregua dell’art. 13 n. 2, lett. a)
del d.lgs. n. 38 del 2000 (indennizzabilità, in capitale, delle menomazioni
di grado pari o superiore al 6 per cento ed inferiore al 16 per cento, e in
rendita, dal 16 per cento, nella mìsura indicata nell’apposita tabella di
indennizzo del danno biologico).

5. Il ricorso è da accogliere.

6. In riferimento a domanda amministrativa di
riconoscimento di tecnopatia del 15 gennaio 1999, la Corte di appello ha
riconosciuto l’indennizzabilità dell’inabilità permanente al di sotto della
soglia legale (10 per cento) applicabile ratione temporis (v. Corte cost., 19 dicembre 2006, n. 426).

7. Si richiama, per tutte, Cass. 5 maggio 2011, n.
9956, secondo cui in tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, il
nuovo regime introdotto dall’art. 13
del d.lgs. n. 38 del 2000 al fine del riconoscimento dell’indennizzo
in  capitale del danno biologico per
menomazioni superiori al 6 per cento e sino al 16 per cento, subìto dal
lavoratore si applica unicamente per i danni conseguenti ad infortuni sul
lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati successivamente
all’entrata in vigore del d.m. 12 luglio 2000
recante le tabelle valutative del danno biologico.

8. Conseguentemente, in caso di malattia (o
infortunio) denunciata dall’interessato, come nella specie, prima dell’entrata
in vigore del D.M. 12 luglio 2000, la stessa
deve essere valutata in termini d’incidenza sull’attitudine al lavoro del
richiedente, ai sensi dell’art.
74 del d.P.R. n. 1124 del 1965, e può dar luogo ad una rendita per
inabilità permanente solo in caso di riduzione di tale attitudine in misura
superiore al 10 per cento (v. fra le altre, Cass. 8 ottobre 2020, n. 21743 ed
ivi ulteriori precedenti).

9. Il decreto
legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13 ha introdotto un nuovo sistema
di liquidazione del danno conseguente agli infortuni sul lavoro e alle malattie
professionali, prevedendo, per la prima volta, la liquidazione del danno
biologico (pertanto indipendentemente da una riduzione della capacità di
produzione di un reddito da parte del lavoratore colpito), in capitale, in caso
di menomazioni di grado pari a 6 per cento e inferiore a 16 per cento e
mediante una rendita, per le menomazioni di grado superiore e aggiungendo, in
quest’ultimo caso, una ulteriore quota di rendita per le conseguenze
patrimoniali, commisurata al grado di menomazione, alla retribuzione
dell’assicurato e sulla base di una apposita nuova tabella dei coefficienti; in
precedenza, la disciplina relativa alla materia degli infortuni sul lavoro e
sulle malattie professionali, stabilita dal D.P.R.
n. 1124 del 1965, prevedeva, viceversa, un indennizzo dei postumi
permanenti rappresentati da una riduzione della capacità lavorativa del
dipendente oltre la soglia del 10 per cento, secondo quanto stabilito dall’art. 74 del decreto
presidenziale citato, superata anche in caso dì aggravamento successivo
dipendente dal medesimo infortunio o malattia professionale (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 83,
comma 8).

10. Tale diversità di disciplina giustifica la
disposizione della L. n. 38 del
2000, art. 13 secondo la quale il nuovo sistema è applicabile unicamente
per “i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie
professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di entrata in
vigore del decreto ministeriale di cui al comma 5”, (poi emanato il 12
luglio 2000), laddove la locuzione “verificatisi o denunciati” si
riferisce chiaramente agli infortuni e alle malattie professionali, che sono
oggetto della denuncia di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 52
e 53 e non i danni che superino la soglia indicata dalla legge, accettabili
unicamente a posteriori anche quanto alla decorrenza degli stessi
(diversamente, del resto, ne deriverebbe l’impossibilità di stabilire a priori
i criteri con cui operare la valutazione in caso di aggravamento successivo dei
danni da malattia professionale insorta o denunciata prima della nuova disciplina
(fra tante, Cass. n. 9956 del 2011).

11. Va inoltre richiamato il consolidato
orientamento per il quale, nel caso in cui la malattia professionale in atto
non sia indennizzabile per l’inesistenza di una infermità inabilitante nella
misura richiesta dalla legge, la sola prospettazione del rischio di
aggravamento dell’infermità, suscettibile di una eventuale futura
valorizzazione, non giustifica di per sé la richìesta di emissione di una
sentenza di mero accertamento.

12. Ciò perché, come già precisato da questa Corte
(fra tante, Cass. n. 25551 del 2016), nel caso
di malattia professionale in atto non indennizzabile per l’inesistenza di una
infermità inabilitante nella misura richiesta, non è possibile una pronuncia di
mero accertamento, con efficacia di giudicato, dell’infermità stessa in vista
di eventuali futuri aggravamenti, per non essere al riguardo configurabile –
diversamente dalle azioni in cui siano contestate l’esistenza di un rapporto di
lavoro subordinato, l’inclusione dell’attività svolta nella tabella delle
lavorazioni morbigene o l’esposizione al rischio – una questione pregiudiziale,
della quale ai sensi dell’art. 34 cod. proc. civ.
possa chiedersi l’accertamento, con efficacia di giudicato, indipendentemente
dall’esito della domanda principale, trattandosi di uno degli elementi
costitutivi del diritto alla rendita, oggetto della cognizione del giudice solo
come fondamento della relativa pretesa fatta valere in giudizio, non di per sé
e per gli effetti futuri eventualmente ricavabili da tale accertamento.

13. Il controricorso, privo di motivi, non è
qualificabile come ricorso incidentale e va dichiarato, al riguardo, il non
luogo a provvedere.

14. La sentenza impugnata che non si è attenuta ai
predetti principi va, pertanto, cassata e, per non essere necessari ulteriori
accertamenti in fatto, la causa va decisa con il rigetto dell’originaria
domanda.

15. L’esito complessivo del giudizio di merito e del
precedente giudizio di legittimità giustifica la compensazione delle spese di
lite.

16. All’accoglimento del ricorso segue coerente la
condanna della controparte alle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda; spese compensate del
giudizio di merito e del precedente giudizio di legittimità; condanna la parte
controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali,
oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento.

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