Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 dicembre 2021, n. 38659
Malattia professionale, Asbestosi, Malattia tabellata,
Presunzione del nesso di causalità, Indennità, Eredi, Diritto
Rilevato che
la Corte d’appello di Genova, confermando la sentenza
del Tribunale della stessa città, ha rigettato il ricorso di D.L., quale erede
di P. G., dipendente della società I. di Genova Cornigliano dal 1964 al 1992,
inizialmente della Cooperativa C.F. la C., e poi dipendente di I.V. s.p.a. (ex
I.) con mansioni di operatore di magazzino refrattari e ricevitore materiali,
deceduto nel 2011 con diagnosi di “Adenocarcinoma polmonare in soggetto
esposto ad asbesto”, rivolto alla declaratoria del proprio diritto in
quanto erede, a beneficiare della rendita ai superstiti ex art. 75 del Testo
Unico n. 1124 del 1965, attesa la dipendenza della malattia polmonare contratta
dal de cuius a causa dell’attività lavorativa svolta;
disposta la CTU medico legale, la Corte territoriale
ha stabilito che la malattia contratta dal G. rientrava per il 29% nel rischio
da esposizione ad amianto, dunque non era stata raggiunta quella probabilità
qualificata richiesta nel caso di patologia multifattoriale;
la considerazione dell’uso di sigarette da parte del
lavoratore concorre, inoltre, secondo la stessa Corte d’appello, a costituire
una condizione esterna idonea ad abbassare la soglia dell’esposizione ritenuta
significativa ai fini dell’esistenza del nesso causale tra la patologia
tumorale e l’esposizione all’amianto.
la cassazione della sentenza è domandata da D. L.
sulla base di tre motivi di ricorso, illustrati da successiva memoria;
l’I.N.A.I.L. ha depositato tempestivo controricorso.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360,
co.1, n. 3 cod. proc. civ., la ricorrente deduce l’erroneità dell’affermazione
secondo la quale la malattia contratta dal lavoratore non rientra fra le
malattie cd. tabellate per le quali sussiste la presunzione in merito alla
sussistenza del nesso causale con l’attività lavorativa svolta;
col secondo motivo, sempre formulato ai sensi
dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., denuncia l’erroneità della sentenza
nel punto in cui, avendo accertato la sussistenza di concorrenti fonti di
rischio (risalente abitudine al fumo), ha escluso la rilevanza del nesso
causale tra amianto e tumore polmonare, violando il principio dell’equivalenza
delle condizioni posto dall’art. 41 cod. pen., sebbene entrambi i consulenti
avessero escluso che il fumo di tabacco aveva costituito un fattore extra lavorativo
di per sé idoneo a causare la malattia;
col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360,
co.1, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., contesta la violazione dei criteri legali
che disciplinano l’accertamento del nesso causale, segnatamente in merito al rapporto
fra cancro ed asbestosi e in materia di esposizione cumulativa quale fattore
determinante la patologia (inteso come rapporto tra il tempo di esposizione e
la concentrazione di fibre di amianto nel luogo di lavoro), risultato di molto
inferiore rispetto al valore considerato significativo nell’ambito dei criteri
di Helsinky;
lamenta inoltre, l’illogicità della motivazione per
mancata indicazione degli elementi idonei ad identificare in modo adeguato
l’iter logico argomentativo che ha condotto la Corte d’appello a ritenere
inesistente il nesso causale tra l’attività a rischio e la neoplasia tabellata;
il primo motivo merita accoglimento;
questa Corte ha affrontato con plurimi arresti la
complessa materia, stabilendo taluni principi di diritto che vanno considerati
nella risoluzione della controversia in esame;
anzitutto, ha affermato che nel caso di malattia
tabellata, la prova dell’eziologia professionale delle malattie contratte
nell’esercizio delle lavorazioni morbigene (anch’esse tabellate) si raggiunge
applicando un criterio di presunzione legale; che tuttavia, tale criterio non
può esplicare la sua efficacia nell’ipotesi di malattia ad eziologia
multifattoriale, in cui il nesso di causalità non può essere oggetto di
semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma
necessita di concreta e specifica dimostrazione – quanto meno in via di
probabilità – in relazione alla concreta esposizione al rischio ambientale e
alla sua idoneità causale alla determinazione dell’evento morboso (in tal senso
cfr. Cass. n. 21360 del 2013);
dall’inclusione nelle apposite tabelle, sia della
lavorazione che della malattia deriva, quindi, l’applicabilità della
presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta
dall’assicurato, con il conseguente onere di prova contraria a carico
dell’I.N.A.I.L., che si concretizza, in particolare, nell’offrire la prova
della dipendenza dell’infermità o da una causa extra lavorativa oppure
dall’accertamento che la lavorazione non si è rivelata sufficientemente idonea
a cagionare la malattia;
ciò comporta di conseguenza che, per escludere la
tutela assicurativa va accertato, rigorosamente ed inequivocabilmente, che vi
sia stato l’intervento di un fattore patogeno diverso dalla causa
professionale, che da solo o in misura prevalente, ha cagionato o concorso a
cagionare la patologia;
dalla malattia tabellata si differenzia la patologia
dichiarata ad eziologia multifattoriale: in tal caso, l’applicazione del
criterio presuntivo, sì come desunto da ipotesi tecniche teoricamente
possibili, subisce un’attenuazione, nel senso che la prova del nesso causale
non può basarsi su presunzioni semplici, ma è data per raggiunta sol quando la
parte interessata al riconoscimento della tutela, abbia concretamente e
specificamente offerto la dimostrazione, quanto meno in via di probabilità,
della idoneità della esposizione al rischio a causare l’evento morboso;
ancora diverso è il caso in cui la malattia ad
eziologia multifattoriale 0.4 include una patologia tumorale la quale, secondo
la scienza medica, ha o può avere origine professionale; in tal caso si
determina una qual reviviscenza della presunzione legale quanto all’origine
professionale della patologia, sicché, l’assenza del nesso causale della cui
rilevanza probatoria è gravato l’ente assicuratore, resta ulteriormente
circoscritto alla prova che la patologia tumorale, per la sua rapida
evoluzione, non è ricollegabile all’esposizione alla sostanza morbigena, perché
questa cessata da lungo tempo (Così Cass. n. 23653 del 2016);
quanto alle censure prospettate da parte ricorrente
col primo motivo, si rileva che effettivamente, nel provvedimento gravato, non
si ritrova nessun riferimento al raggiungimento in giudizio della prova,
gravante sull’I.N.A.I.L., del collegamento del tumore polmonare a un fattore
patogeno (precedenti patologie, abitudine al fumo…) diverso dalla prolungata
esposizione all’amianto; circa poi l’esito probatorio della durata temporale
(ventennale) dell’esposizione, esso viene riferito soltanto attraverso un
astratto richiamo alla dose/soglia di attenzione fissata sia dai cd.criteri di
Helsinky che dall’ordinamento italiano (art. 24 del d.lgs. n. 277 del 1991);
in altri termini, la Corte territoriale,
riportandosi alla sentenza della stessa Corte d’appello di Genova n.109 del
2016, riguardante analoga fattispecie, si limita a “sterilizzare” la
causa del tumore polmonare dall’agente patogeno “azione di fibre di asbesto”, la cui associazione è,
invece, pacificamente accolta dalla scienza medica (voce 57 della Tabella D.M.
9.04.2008), trincerandosi dietro la qualificazione della malattia come ad
eziologia multifattoriale, con l’esito di ribaltare l’onere della prova del
nesso causale in capo al lavoratore;
di contro, attuando i principi affermati da questa
Corte, nel caso di morte del lavoratore per tumore, il criterio della
presunzione legale della natura professionale dell’evento morbigeno, che, come
si è già detto, subisce un “temperamento” sul piano probatorio solo
nelle patologie a causa multifattoriale, in tal caso rivive, quanto meno nel
senso che sarà l’ente assicuratore onerato ad offrire, in concreto,la prova che
la patologia, per la sua rapida evoluzione, non è ezioiogicamente ricollegabile
alla sostanza nociva, in quanto l’esposizione ad essa è cessata da lungo tempo;
il secondo motivo, concernente l’equivalenza causale
delle condizioni che hanno provocato l’evento, va parimenti accolto;
in proposito, questa Corte ha stabilito che in
materia d’infortuni sul lavoro e malattie professionali, trova applicazione la
regola dell’art. 41 cod. pen., con la conseguenza che il rapporto causale tra
l’evento e il danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni; secondo tale
principio va riconosciuta efficienza causale a ogni antecedente che abbia
contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento,
con esclusione del nesso eziologico richiesto dalla legge solo qualora possa
essere ravvisato con certezza l’intervento di un fattore estraneo all’attività
lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità e tale da far
degradare altre evenienze a semplici occasioni ( Così Cass. n. 27952 del 2018);
nel caso in esame, l’intervento del suddetto fattore
estraneo all’attività lavorativa, ossia l’abitudine al fumo del lavoratore è
oggetto di un mero richiamo, in motivazione, alle valutazioni della consulenza
tecnica, ove sono astrattamente riportati gli studi scientifici sull’effetto
sinergico tra fumo di tabacco e amianto nell’indurre il tumore polmonare,
seguìto dalla precisazione, formulata ancora in via generale, che tale effetto
si verifica soltanto nel caso di esposizione significativa all’amianto, ossia
quando il valore – soglia supera il livello medio di 25 fibre/m1 – anni;
nel caso in esame, afferma la Corte territoriale,
non essendosi determinata un’esposizione significativa all’amianto, il concorso
della fonte di rischio esterna (assunzione di tabacco) non può aver prodotto
quell’effetto sinergico tale da far dichiarare sussistente il nesso eziologico
tra l’attività lavorativa e l’insorgere della malattia;
quanto contenuto in sentenza conferma che, in
definitiva, la Corte territoriale ha escluso la sussistenza del collegamento
causale tra esposizione all’amianto e malattia tumorale senza, peraltro, aver
valutato se l’intervento del fattore estraneo all’attività lavorativa
(abitudine al fumo) avesse potuto da solo causare la malattia, sì da far
concludere che la prolungata esposizìone all’amianto aveva costituito una
semplice occasione e non invece la causa determinante del tumore polmonare; in
ragione dell’accoglimento dei primi due motivi, il terzo deve ritenersi
assorbito;
in definitiva, accolti il primo e il secondo motivo
di ricorso e assorbito il terzo, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata
va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Genova in diversa
composizione, la quale statuirà anche sulle spese del giudizio di legittimità;
in considerazione dell’esito del giudizio, si dà
atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e
rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione, la
quale deciderà anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.