Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 dicembre 2021, n. 39700

Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, Apertura di
una procedura concorsuale, Insolvenza del datore di lavoro, Corresponsione
del T.f.r.

Fatto

 

1. Con sentenza del 13 maggio 2019, la Corte
d’appello di Milano rigettava l’appello di G. G. avverso la sentenza di primo
grado, di reiezione della sua domanda di accertamento del diritto a fruire
delle prestazioni del Fondo di Garanzia, ai sensi dell’art. 2 I. 297/1982, in
relazione al rapporto di lavoro dirigenziale dal 10 marzo 2011 al 25 giugno
2013 con E. Consulting s.r.I., fallita nel 2014 e di condanna dell’Inps al
pagamento di € 6.800,20 a titolo di T.f.r.

2. In esito alle scrutinate risultanze istruttorie,
essa escludeva la prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con
la società, presupposto per l’intervento del fondo di Garanzia, non potendo il
diritto alla prestazione ex se derivare dall’ammissione del suo credito allo
stato passivo del Fallimento, inopponibile all’Inps per la sua limitata
efficacia endoconcorsuale.

3. Con atto notificato il 7 novembre 2019, il
lavoratore ricorreva per cassazione con tre motivi, cui l’Inps resisteva con
controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.

4. La causa era quindi rimessa, per la ravvisata
necessità di un chiarimento nomofilattico della questione posta, all’odierna
pubblica udienza di discussione.

5. Il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma
dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da I. conv. 176/20, nel senso del
rigetto del ricorso.

6. Entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi
dell’art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 I. 297/82, per la gestione dall’Inps
di un rapporto di assicurazione sociale obbligatoria in relazione a prestazioni
lavorative, rispetto alle quali, se è vero che non sono ad esso automaticamente
opponibili per effetto delle risultanze dello stato passivo fallimentare,
l’istituto non ha tuttavia la titolarità di un autonomo potere accertativo.

2. Esso è infondato.

3. E’ nota l’istituzione presso l’Inps, in
attuazione della Direttiva 987/80/CEE (concernente il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati
in caso di insolvenza del datore di lavoro), del Fondo di Garanzia per il
trattamento di fine rapporto, con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro
in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento previsto dall’art.
2120 c.c., spettante ai lavoratori o loro aventi diritto (art. 2, primo comma
I. 297/1982). Sicché, due sono i presupposti di questo intervento del Fondo di
Garanzia: a) la sostituzione del “datore di lavoro” in caso di
“insolvenza”; b) il pagamento del “trattamento di fine
rapporto”.

E la sua ratio è il fine sociale che ne sorregge
l’intervento e circoscrive l’ambito della tutela mediante il riferimento
“a crediti non pagati relativi ad un periodo determinato”: con ciò
fissando la nozione di “bisogno socialmente rilevante”, che è tale
perché collocato all’interno di un ambito temporale definito (Cass. 19 luglio
2018, n. 19277, p.to 29 in motivazione, con richiamo di giurisprudenza della
Corte di Giustizia; Cass. 26 settembre 2018, n. 23047, p.to 38 in motivazione).

4. In tale prospettiva, occorre allora individuare
il “datore di lavoro attuale insolvente” del lavoratore, ossia che
sia tale, e versi in una condizione d’insolvenza, al momento di
“cessazione del rapporto di lavoro”.

4.1. La condizione di insolvenza può essere
pubblicamente sancita dall’apertura di una procedura concorsuale (come si
evince in particolare dall’art. 2, secondo e quarto comma I. 297/1982, in
attuazione dell’art. 2 della Direttiva 987/80/CEE), se il datore di lavoro sia
assoggettabile al fallimento ovvero, qualora non lo sia, risultare dalla
completa o parziale insufficienza delle sue garanzie patrimoniali
all’adempimento del trattamento dovuto al lavoratore, constatata a seguito di
un’esecuzione forzata individuale (art. 2, quinto comma I. cit.), esperita dal
predetto in modo serio e adeguato, ancorché infruttuoso, salvo che emerga
l’esistenza di altri beni aggredibili con l’azione esecutiva (Cass. 11 luglio
2003, n. 10953; Cass. 1 luglio 2010, n. 15662; Cass. 20 novembre 2017, n.
27467).

4.2. L’attualità della qualità datoriale del
soggetto alle dipendenze del quale cessi il rapporto del lavoratore rileva poi
sotto il duplice profilo del soggetto tenuto, rispetto al quale il Fondo di
Garanzia esercita il proprio ruolo sostitutivo e, prima ancora, perché soltanto
al momento della cessazione del rapporto si realizza, come noto, l’esigibilità
(idest: l’insorgenza) del trattamento di fine rapporto, secondo il chiaro e
inequivoco tenore letterale dell’art. 2120, primo comma c.c.

Ciò comporta rilevanti conseguenze applicative,
particolarmente in materia di decorrenza della prescrizione (Cass. 23 aprile
2009, n. 9695; Cass. 18 febbraio 2010, n. 3894; Cass. 6 febbraio 2018, n. 2827;
Cass. 23 novembre 2020, n. 26598) e in tema di nullità della rinuncia prima di
detta cessazione, non potendo il lavoratore in servizio disporre di un diritto
non ancora entrato nel suo patrimonio (Cass. 7 marzo 2005, n. 4822; Cass. 11
novembre 2015, n. 23087; Cass. 28 maggio 2019, n. 14510); ma anche in materia
concorsuale: non potendo essere ammesso, neppure con riserva in via
condizionata (per il principio di tipicità che ne connota la tipologia), allo
stato passivo dell’amministrazione straordinaria alle cui dipendenze abbia
continuato a prestare la propria attività un lavoratore, il terzo che si sia
reso cessionario del suo credito per T.f.r., in quanto allo stato futuro per
detta ragione (Cass. 20 febbraio 2020, n. 4336); e analogamente il lavoratore,
che abbia continuato a rendere la prestazione alle dipendenze del cessionario
dell’azienda trasferita, non può essere ammesso allo stato passivo del
fallimento del suo precedente datore cedente, per il credito da T.f.r., poiché
esso matura progressivamente in ragione dell’accantonamento annuale divenendo esigibile
solo al momento della cessazione definitiva del rapporto di lavoro (Cass. 27
febbraio 2020, n. 5376).

5. Alla luce degli illustrati requisiti, questa
Corte ha così qualificato la natura del “diritto del lavoratore di
ottenere dall’Inps, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la
corresponsione del T.f.r. a carico dello speciale fondo di cui all’art. 2 I.
297/1982” quale “diritto di credito ad una prestazione previdenziale
… distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore
di lavoro, … ” che “si perfeziona non con la cessazione del
rapporto di lavoro ma al verificarsi dei presupposti previsti da detta
legge”; sicché, “il Fondo di garanzia costituisce attuazione di una
forma di assicurazione sociale obbligatoria, con relativa obbligazione
contributiva posta ad esclusivo carico del datore di lavoro, con la sola
particolarità che l’interesse de/lavoratore alla tutela è conseguito mediante
l’assunzione da parte dell’ente previdenziale, in caso d’insolvenza del datore
di lavoro, di un’obbligazione pecuniaria il cui quantum è determinato con
riferimento al credito di lavoro nel suo ammontare complessivo”; e
pertanto, “il diritto alla prestazione del Fondo nasce … non in forza
del rapporto di lavoro, ma del distinto rapporto assicurativo – previdenziale,
in presenza dei già ricordati presupposti previsti dalla legge … “(Cass.
19 luglio 2018, n. 19277, p.ti da 5 a 7 in motivazione con richiamo di
precedenti).

5.1. Nell’evoluzione del delineato percorso
giurisprudenziale, si è così affermata, sulla base della sempre più nitida
distinzione dei due ambiti retributivo e previdenziale e per le illustrate
finalità, una progressiva emancipazione dell’Inps (Cass. 19 luglio 2018, n.
19277, p.to 18 in motivazione; Cass. 26 settembre 2018, n. 23047, p.to 17 in
motivazione; Cass. 14 novembre 2018, n. 29363, p.to 11 in motivazione; Cass. 28
novembre 2018, n. 30804, p.to 9 in motivazione) dalle risultanze dello stato
passivo del fallimento datoriale (Cass. 17 aprile 2015, n. 7877; Cass. 13 novembre
2015, n. 23258; Cass. 28 gennaio 2020, n. 1886).

6. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha
ritenuto, con accertamento in fatto congruamente motivato (dal penultimo
capoverso di pg. 3 al terzo di pg. 4 della sentenza), la carenza di prova dell’esistenza
di un rapporto di lavoro, requisito originario per la maturazione del credito
per T.f.r.: ciò evidentemente comporta a fortiori la mancata integrazione del
requisito di “cessazione del rapporto di lavoro”, costitutivo
dell’intervento del Fondo di Garanzia (per le ragioni esposte al superiore
punto 4.2.).

7. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce
nullità della sentenza per violazione degli artt. 101, 115, 251 ss., 257bis
c.p.c., per la ravvisata inesistenza di un rapporto di lavoro in base a
risultanze istruttorie prive di efficacia probatoria, in difetto di
sottoposizione a contraddittorio tra le parti.

8. Esso è inammissibile sotto un duplice ordine di
ragioni.

9. Sotto un primo profilo, è infatti sostanzialmente
nuova la questione giuridica, implicante anche un accertamento in fatto, non
trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, né avendo il ricorrente che
l’ha proposta in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità
per novità della censura, assolto l’onere non solo di allegare l’avvenuta
deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il
principio di specificità del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto
del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare
ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la
censura stessa (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28480; Cass. 13 dicembre 2019, n.
32804): ciò non risultando adeguatamente dalle censure formulate in appello
(riportate da pg. 12 a pg. 14 del ricorso), nell’insufficienza del parziale
riferimento pertinente al tema (al penultimo capoverso di pg. 13 del ricorso).

9.1. Sotto un secondo profilo, la censura si appunta
nella critica del più ampio ragionamento probatorio svolto dalla Corte milanese,
in virtù di una diversa ricostruzione del fatto, prospettante una rivisitazione
del merito insindacabile, in quanto congruamente argomentato (come ritenuto al
superiore punto 6.), nell’odierna sede di legittimità (Cass. s.u. 27 dicembre
2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987).

10. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce omesso
esame di un fatto decisivo, quale l’inadeguata valorizzazione della deposizione
della curatrice del fallimento, sentita come teste.

11. Anch’esso è inammissibile.

12. Non si configura l’omesso esame (anzi avvenuto)
di un fatto storico, tuttavia neppure tale, consistendo la censura nella
contestazione della valutazione di una risultanza istruttoria (Cass. s.u. 7
aprile 2014, n. 8053; Cass. 8 novembre 2019, n. 28887).

13. Dalle argomentazioni sopra svolte discende il
rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese di giudizio secondo il
regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella
ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n.
23535).

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; condanna il lavoratore alla
rifusione, in favore del controricorrente, delle spese de giudizio, che liquida
in € 200,00 per esborsi e € 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso
per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 dicembre 2021, n. 39700
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