Il fallimento di un’impresa non comporta lo scioglimento del rapporto di lavoro ed il datore di lavoro è tenuto al pagamento dei contributi previdenziali a favore del lavoratore licenziato illegittimamente anche in caso di inadempimento retributivo del datore di lavoro totale o parziale e anche se la originaria obbligazione si sia trasformata in altra di natura risarcitoria.

Nota a Cass. 13 dicembre 2021, n. 39699

Giuseppe Catanzaro

Due rilevanti principi sono ribaditi dalla Corte di Cassazione (13 dicembre 2021, n. 39699, parz. difforme da App. Bari 16 ottobre 2018) relativamente al licenziamento di un dirigente da parte di una società dichiarata fallita che aveva cessato ogni attività d’impresa.

La Corte ribadisce che:

A) “il fallimento non può determinare ex se lo scioglimento del rapporto di lavoro, per coordinamento con l’art. 72 L. fall., rimanendo sospeso in attesa della dichiarazione del curatore, il quale può scegliere di proseguirlo, così esercitando una legittima facoltà di subentro nel rapporto, attivandone la prosecuzione con l’obbligo di adempimento per entrambe le parti delle prestazioni corrispettive; ovvero di sciogliersi da esso, nel rispetto delle norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi, non essendo in alcun modo sottratto ai vincoli propri dell’ordinamento lavoristico perché la necessità di tutelare gli interessi della procedura fallimentare non esclude l’obbligo del curatore di rispettare le norme in generale previste per la risoluzione dei rapporti di lavoro e potendo il lavoratore reagire al recesso intimato dal curatore con gli ordinari rimedi impugnatori” (tra tante, Cass. n. 14503/2019 e Cass. n. 19405/2011).

Persiste inoltre (in caso di fallimento dell’impresa datrice di lavoro) l’interesse del lavoratore in precedenza licenziato alla reintegrazione nel posto di lavoro, previa dichiarazione giudiziale dell’illegittimità del licenziamento ai fini sia del concreto ripristino della prestazione di lavoro (in caso di ripresa del lavoro nelle ipotesi di esercizio provvisorio, cessione in blocco dell’azienda, o ripresa della sua amministrazione da parte del fallito a seguito di concordato fallimentare), sia dell’ammissione a benefici previdenziali, quali l’indennità di cassa integrazione, di disoccupazione, di mobilità (v. Cass. n. 522/2018, in q. sito con nota di G. CATANZARO).

Nel caso, invece, di disgregazione definitiva dell’azienda (come accertato dalla Corte di merito nella fattispecie in esame), l’eventuale intimazione di un licenziamento difforme dl modello legale non può condurre alla ripresa effettiva del rapporto di lavoro (il principio opera anche nell’ipotesi di imprenditore in bonis: v.  n. 29936/2008).

B) In caso di licenziamento illegittimo ai sensi dell’art. 18 Stat. Lav., il lavoratore ha diritto ad ottenere la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali, accessoria a quella al risarcimento del danno, giustificata dalla continuità del rapporto di lavoro e da liquidare in riferimento al numero delle mensilità di retribuzione oggetto della condanna risarcitoria (Cass. n. 3905/2002). Nel regime di stabilità reale previsto dall’art. 18 Stat. Lav., rimangono in vita (nel lasso temporale compreso tra la data dell’illegittimo licenziamento e quella della pronuncia giudiziale contenente l’ordine di reintegrazione del lavoratore) sia il rapporto assicurativo previdenziale che il corrispondente obbligo del datore di lavoro di versare all’ente previdenziale i contributi assicurativi (Cass. n. 4261/2005) “dovuti, indipendentemente dalla erogazione della retribuzione (Cass. SU. n. 15143/2007), tanto per la quota a suo carico quanto per quella a carico dei lavoratori, alla stregua dell’art. 23, L. n. 218/1952: esso, trasferendo l’obbligo di pagare una parte dei contributi da uno ad altro soggetto, introduce una pena privata giustificata dall’intento del legislatore di rafforzare il vincolo obbligatorio attraverso la comminatoria, per il caso di inadempimento, del pagamento di un importo superiore all’ammontare del mero risarcimento del danno” (Cass. n. 8800/2008).

In particolare, l’obbligazione contributiva non è esclusa dall’inadempimento retributivo del datore di lavoro, neanche ove questo sia solo parziale e sebbene la originaria obbligazione sia trasformata in altra di natura risarcitoria ( Cass. n. 7987/2012 e Cass. n. 26078/2007) ed il lavoratore ha la facoltà di chiedere in giudizio l’accertamento dell’obbligo contributivo del datore di lavoro allo scopo di ottenere la condanna al versamento dei contributi (che sia ancora possibile giuridicamente versare) nei confronti dell’ente previdenziale (Cass. n. 19398/2014; Cass. n. 14853/2019).

Fallimento, licenziamento e contribuzione previdenziale
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