Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 gennaio 2022, n. 1746

Rapporto di lavoro subordinato, Sussistenza, Violazione
delle norme sul collocamento, Sanzione amministrativa

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Trento, con la sentenza n.
108/2019, in parziale riforma della pronuncia n. 65/18 del Tribunale di
Rovereto e in accoglimento del gravame incidentale proposto dalla Provincia
Autonoma di Trento, ha respinto l’originaria opposizione presentata da G.T., in
proprio e nella qualità di legale rapp.te della C. srl, avverso l’ordinanza con
la quale gli era stato ingiunto il pagamento di euro 172.804,80 a titolo di
sanzione amministrativa per le violazioni ivi riportate ed accertate.

2. I giudici di seconde cure hanno ritenuto corrette
le valutazioni delle risultanze istruttorie operate dal primo giudice
relativamente alle posizioni dei lavoratori C.E., N.E., O.G., G.C., R.R.,
Z.G.G., oggetto di censura da parte del T.; hanno, invece, rilevato l’erroneità
della valutazione, da parte del Tribunale, con riferimento agli elementi
probatori relativi ai lavoratori C.F. e G.P., nei cui riguardi l’opposizione
era stata accolta, sottolineando, di contro, che era stato dimostrato lo
svolgimento dell’attività lavorativa per il periodo in contestazione.

3. Per la cassazione ricorre, in proprio e nella
suddetta qualità, G.T. con tre motivi, cui resiste con controricorso la
Provincia Autonoma di Trento.

4. La proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo parte ricorrente denuncia, ai
sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione
dell’art. 2909 cc e dei principi che regolano
l’istituto del giudicato riflesso, per avere la Corte territoriale erroneamente
negato alla sentenza del 24.11.2015, emessa tra i lavoratori C. e G. e la C.
srl, secondo cui gli stessi erano stati assunti ed avevano svolto attività di
lavoro subordinato solo dall’1.12.2013 al 31.3.2014, l’efficacia di giudicato
anche nei confronti della Provincia Autonoma di Trento solo perché quest’ultima
non aveva partecipato al relativo giudizio.

3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c., l’omesso esame circa
un fatto decisivo (in relazione all’art. 11 della legge n. 689/81
e agli artt. 19 D.lgs. n. 276/2003,
39 D.l. n. 112/2008; 5 legge 4/1953, 3 d.l. n. 12/2002, 18 bis D.lgs. n. 66/2003) per il
giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e la violazione dell’art. 115 co. 1 c.p.c., per asserita ma inesistente
contestazione di un fatto nonché la nullità della sentenza e del procedimento,
per avere la Corte territoriale affermato il contrario di quanto dichiarato dal
Tribunale relativamente alla contestazione, contenuta nel ricorso in opposizione,
secondo cui “gli opponenti” si sarebbero uniformati sulle statuizioni
in punto di durata del rapporto di lavoro contenute nella sentenza resa dallo
stesso Tribunale a seguito della vertenza promossa dai due lavoratori nei
confronti della C. srl.

4. Con il terzo motivo parte ricorrente si duole, ai
sensi dell’art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c., della
violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cc,
115 e 116 c.p.c.,
anche in relazione agli artt. 421 e 437 c.p.c. e di ogni altra regola in materia di
prove, l’omessa motivazione su un punto decisivo oggetto di discussione tra le
parti nonché la nullità della sentenza e del procedimento, perché la Corte di
merito, pur avendo rilevato un quadro probatorio non univoco, non aveva
ritenuto procedere alla assunzione delle prove articolate, ritenendole
superflue, e non aveva esercitato i propri poteri istruttori di ufficio.

5. Il primo motivo è infondato.

6. La Corte territoriale ha correttamente escluso
ogni rilevanza al giudicato rappresentato dalla pronuncia indicata nella
censura attenendosi ai principi di legittimità (Cass.
n. 11539/2020 e Cass. n. 23045/2019), applicabili anche all’ipotesi di
controversia di diritto tra datore di lavoro e dipendenti, secondo cui tra il
giudizio avente ad oggetto il pagamento di contributi previdenziali e quello
avente ad oggetto l’opposizione avverso ordinanza ingiunzione irrogativa di
sanzioni amministrative per violazione delle norme sul collocamento
relativamente ai medesimi lavoratori, entrambi presupponenti l’accertamento
della natura subordinata dei rapporti di lavoro, non sussiste rapporto di
pregiudizialità, atteso che l’efficacia riflessa del giudicato nei confronti
dei terzi rimasti estranei al processo presuppone che tali soggetti non siano
titolari di un rapporto autonomo rispetto a quello su cui è intervenuto il
giudicato, mentre tra potestà accertativa dell’Ispettorato del lavoro e diritti
ed obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato sussiste un reciproco
rapporto di autonomia, che fa qualificare come “res inter alios acta”,
rispetto a ciascuna delle due posizioni, il giudicato intervenuto nel giudizio
inerente all’altro rapporto.

7. Il secondo motivo è inammissibile.

8. Invero, l’accertamento della sussistenza di una
contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro
dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è
funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di
motivazione. Ne consegue che, ove il giudice abbia ritenuto
“contestato” uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva
deduzione al riguardo, abbia proceduto all’ammissione ed al conseguente
espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all’accertamento del fatto
stesso, la successiva allegazione di parte, diretta a far valere l’altrui pregressa
“non contestazione”, diventa inammissibile (Cass. n. 27490/2019).

9. Il terzo motivo non è parimenti meritevole di
accoglimento.

10. E’, infatti, inammissibile nella parte in cui
vengono censurati l’accertamento di fatto e la pertinenza delle prove
articolate che costituiscono facoltà rimesse all’apprezzamento discrezionale
del giudice di merito ed il mancato esercizio di tale potere, al pari di quello
riconosciuto al giudice del lavoro di disporre d’ufficio dei mezzi di prova,
involgendo un giudizio di merito, non può formare oggetto di censura in sede di
legittimità, soprattutto se vi sia stata adeguata motivazione, come nel caso in
esame (per tutte Cass. n. 10371/1995).

11. Inammissibile è anche la dedotta violazione
dell’art. 421 c.p.c. (mancato esercizio dei
poteri officiosi da parte del giudice) perché occorreva che la parte avesse
investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando
anche i relativi mezzi istruttori e sollecitandone l’esercizio (Cass. n.
22534/2014; Cass. n. 25374/2017).

12. Inammissibile è pure la asserita violazione
dell’art 2697 cod. civ. che si ha,
tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere
della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione
di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle
acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata
avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento
sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di
cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. n.
17313/2020).

13. Al riguardo va evidenziato che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012,
conv. in I. n. 134 del 2012, ha introdotto
nell’ordinamento un vizio specifico denunciarle per cassazione, relativo
all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire
che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio
di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in
causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la
sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n.
27415/2018; Cass. 19881/2014).

14. Con riguardo al suddetto motivo è opportuno,
inoltre, ribadire che, in materia di procedimento civile, il controllo di
legittimità sulle pronunzie dei giudici di merito demandato alla Corte Suprema
di Cassazione non è configurato come terzo grado di giudizio, nel quale possano
essere ulteriormente valutate le istanze e le argomentazioni sviluppate dalle
parti ovvero le emergenze istruttorie acquisite nella fase di merito, ma è
preordinato all’annullamento delle pronunzie viziate da violazione di norme
sulla giurisdizione o sulla competenza o processuali o sostanziali, ovvero
viziate da omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione, e che le parti
procedano a denunziare in modo espresso e specifico, con puntuale riferimento
ad una o più delle ipotesi previste dall’art. 360,
primo comma, cod. proc. civ., nelle forme e con i contenuti prescritti
dall’art. 366, primo comma n. 4, cod. proc. civ.
(per tutte Cass. n. 1317/2004).

15. Infine, in tema di ricorso per cassazione, una
censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta
dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a
base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio
al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo
prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come
facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova
soggetti invece a valutazione: ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in
esame (Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014;
Cass. n. 20867/2020).

16. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve
essere rigettato.

17. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.

18. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 gennaio 2022, n. 1746
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: