Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 gennaio 2022, n. 1759

Rapporto di lavoro, Mancato versamento dei contributi,
Regolarizzazione, Risarcimento danni

 

Rilevato che

 

1. la Corte di Appello di Catania, con sentenza
pubblicata in data 11.2.2019, ha respinto il gravame interposto da G.F., N.F.,
S.F., M.L.R., quali eredi di A.F., nei confronti del Consorzio Irriguo S.B.,
avverso la pronunzia del Tribunale di Caltagirone, resa il 3.5.2016, con la
quale era stata rigettata la domanda dei predetti eredi di A.F., guardiano
manutentore degli impianti di distribuzione dell’acqua alle dipendenze del
Consorzio, diretta ad ottenere la declaratoria del rapporto di lavoro svolto
dal dipendente quale rapporto di lavoro a tempo indeterminato ai sensi degli artt. 19 e 20 del CCNL di
settore e, per l’effetto, la condanna del Consorzio al pagamento della
complessiva somma di Euro 300.000,00 (a titolo di differenze retributive,
tredicesima mensilità, lavoro straordinario, indennità sostitutiva delle ferie
non godute, indennità di percorso e TFR) ed alla regolarizzazione contributiva
o, comunque, al risarcimento del danno, pari ad Euro 75.000,00 per il mancato
versamento dei contributi;

2. per la cassazione della sentenza G.F., in qualità
di erede di A.F., ha proposto ricorso affidato a quattro motivi; il Consorzio
Irriguo S.B. ha resistito con controricorso;

3. la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi
dell’art. 380-bis del codice di rito.

 

Considerato che

 

4. con il primo motivo di ricorso, testualmente, si
deduce: «Art. 360 n. 3. Violazione e falsa
applicazione art. 21 CCNL ed
art. 115 c.p.c.», per avere «la Corte di
Appello errato nel non ritenere provato un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato agricolo e in particolare nell’interpretazione dell’art. 21 del CCNL Agricoltura»;

5. con il secondo motivo di ricorso, testualmente,
si censura: «Art. 360 n. 3 c.p.c.. Violazione e
falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 421 c.p.c.»,
per errata valutazione della documentazione prodotta;

6. con il terzo motivo si deduce testualmente: «art. 360 n. 4 c.p.c.. Nullità della sentenza per
omessa valutazione della prova documentale»;

7. con il quarto motivo si lamenta testualmente: «Art. 360 n. 3 c.p.c. Violazione e falsa
applicazione dell’art. 92 c.p.c.», per avere
«la Corte di Appello altresì errato nel condannare alle spese legali,
nonostante abbia accolto il primo motivo di appello, dimostrando di fatto come
lo stesso dovesse essere proposto per il motivo pregiudiziale illegittimamente
accolto in primo grado»;

8. Il primo motivo è inammissibile per violazione
dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., non
essendo stato prodotto, né indicato tra i documenti offerti in comunicazione
unitamente al ricorso di legittimità, il CCNL Agricoltura, del quale si
denunzia la violazione relativamente all’art. 21. Inoltre, le doglianze
sollevate non evidenziano sotto quale profilo le norme censurate sarebbero
state incise, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c., che esige che
il vizio della sentenza previsto dall’art. 360,
primo comma, n. 3, del codice di rito, debba essere dedotto, a pena di
inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni
asseritamente violate, ma, altresì, con specifiche argomentazioni intese
motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto,
contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le
disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse
fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte,
Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009).
Infine, in ordine alla dedotta violazione dell’art.
115 del codice di rito, valgano le considerazioni svolte, recentemente, da
Cass. n. 25394/2020, alle quali, ai sensi dell’art.
118 Disp. att. c.p.c., si rinvia, in quanto del tutto condivise dal
Collegio;

9. il secondo ed il terzo motivo – da trattare
congiuntamente per ragioni di connessione – sono inammissibili, poiché, nella
sostanza, si censura la valutazione delle prove effettuata dalla Corte di
Appello. In ordine alla valutazione degli elementi probatori, posto che la
stessa è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non
sindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità della
motivazione del relativo apprezzamento, alla stregua dei costanti arresti
giurisprudenziali di questa Suprema Corte, qualora il ricorrente denunzi, in
sede di legittimità, l’omessa o errata valutazione di prove testimoniali, ha
l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione,
ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi, al fine di consentire il
vaglio di decisività che avrebbe eventualmente dovuto condurre il giudice ad
una diversa pronunzia, con l’attribuzione di una differente valutazione alle
dichiarazioni testimoniali relativamente alle quali si denunzia il vizio (cfr.,
ex multis, Cass. nn. 17611/2018; 13054/2014; 6023/2009).
E, laddove, invece, si contesti l’omesso esame di un documento, si ha l’obbligo
di produrlo o, almeno, di trascriverlo; la qual cosa, nel caso di specie, non è
avvenuta, in violazione del disposto dell’art. 366,
primo comma., n. 6, c.p.c.. Pertanto, la contestazione, peraltro del tutto
generica, sulla pretesa errata valutazione, da parte dei giudici di seconda
istanza, delle risultanze istruttorie – e sul mancato esercizio dei poteri
istruttori ex art. 421 c.p.c. – si risolve in
una inammissibile richiesta di riesame di elementi di fatto (cfr. Cass. nn.
24958/2016; 4056/2009), finalizzata ad ottenere una nuova pronunzia sul merito,
certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione
(cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013;
Cass. n. 14541/2014);

10. il quarto motivo è inammissibile in quanto si
asserisce che la Corte di merito avrebbe errato «nel condannare alle spese
legali, nonostante abbia accolto il primo motivo di appello», mentre la Corte
ha respinto l’appello e, correttamente, ha applicato il principio della
soccombenza (il primo motivo di appello atteneva esclusivamente «all’eccezione
di decadenza ex art. 21 del CCNL,
in relazione alla domanda di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato e alle conseguenze patrimoniali derivanti da tale
trasformazione», sollevata dagli appellanti, «avendo il primo giudice trascurato
di considerare che il loro dante causa era deceduto il 22 aprile 2002»; ma,
l’accoglimento di tale motivo non ha rilievo sul merito, come correttamente
osservato dai giudici di seconda istanza che hanno motivatamente e
condivisibimente rigettato, appunto nel merito, il gravame);

11. per le considerazioni svolte, il ricorso va
dichiarato inammissibile;

12. le spese del presente giudizio, liquidate come
in dispositivo, seguono la soccombenza;

13. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui
all’art. 13, comma 1 – quater, del
d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del
2012, secondo quanto specificato in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il
ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre
spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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