Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 gennaio 2022, n. 2654

Rapporto di lavoro, Sanzione disciplinare, Sospensione dal
servizio e dal trattamento economico, Tempestività della contestazione

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Reggio Calabria, con la
sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva
annullato la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dal
trattamento economico per giorni tre comminata a F. N., con nota del 27 aprile
2016, dalla datrice di lavoro Banca M.P.S. Spa;

2. la Corte – in sintesi – ha condiviso la tesi del
primo giudice secondo cui era stato violato il principio di immediatezza e
tempestività della contestazione disciplinare avvenuta il 1° febbraio 2016
rispetto a fatti già noti in seguito all’audizione del lavoratore del febbraio
2015;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso la società con unico motivo; ha resistito con controricorso il M.;

4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti,
unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale;

la società ha depositato memoria;

 

Considerato che

 

1. con il motivo si denuncia: “Violazione o
falsa applicazione dell’art. 7
L. n. 300 del 1970 in relazione all’art. 1175
e 1375 cc e dei principi in materia di
relatività del concetto di tempestività della contestazione (in relazione all’art. 360, co. 1. n. 3 c.p.c.)”; si critica la
motivazione impugnata per non aver tenuto conto del fatto che nella specie
veniva in considerazione una sanzione conservativa e non una sanzione
espulsiva, il che avrebbe imposto di modulare diversamente la concretizzazione
del concetto giuridico indeterminato della tempestività della contestazione
disciplinare; in ogni caso la Corte territoriale avrebbe pretermesso del tutto
la regola secondo la quale il requisito di tempestività in questione deve
essere inteso in senso relativo, considerando anche la complessità
organizzativa e strutturale del datore di lavoro;

2. la censura è inammissibile;

l’assunto in base al quale il principio della
immediatezza della contestazione disciplinare dovrebbe essere diversamente
valutato nell’ipotesi di sanzione conservativa rispetto all’ipotesi di sanzione
espulsiva non è adeguatamente supportato in diritto ed è contrario alla
giurisprudenza di questa Corte secondo cui, anche per le sanzioni conservative,
il datore deve procedere alla contestazione non appena abbia acquisito una
compiuta e meditata conoscenza dei fatti oggetto di addebito, atteso che il
ritardo nella contestazione lede il diritto di difesa del lavoratore e, in
particolare, il suo affidamento sulla mancanza di rilievo disciplinare
attribuito dal datore di lavoro alla condotta inadempiente (tra tante, Cass. n.
29627 del 2018 che ha ritenuto tardiva una contestazione inflitta a distanza di
tre mesi dall’accertamento);

inoltre, per consolidata giurisprudenza qui
condivisa, “la valutazione della tempestività della contestazione
costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente
motivato” (Cass. n. 34532 del 2019; Cass. n. 1247 del 2015; Cass. n. 5546 del 2010; Cass. n. 29480 del 2008; Cass. n. 14113 del 2006); il principio è stato
ancora di recente confermato, anche sotto il profilo della valutazione delle
ragioni che possono cagionare il ritardo: “in tema di licenziamento
disciplinare, l’immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo,
dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo (quali il
tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura
organizzativa dell’impresa), con valutazione riservata al giudice di merito ed
insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e
priva di vizi logici” (Cass. n. 16841 del
2018; conf. a Cass. n. 281 del 2016);

nella specie, la Corte territoriale, perfettamente
consapevole dei principi su esposti, ha adeguatamente argomentato il suo
convincimento conforme a quello del primo giudice, anche in ordine alla prova
di circostanze che giustificassero il ritardo, sicché la doglianza, sebbene
formulata ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c.,
involge ineluttabilmente apprezzamenti di merito, in ogni caso preclusi in una
ipotesi di cd. “doppia conforme”;

ancora di recente le Sezioni unite hanno ribadito
l’inammissibilità di censure che “sotto l’apparente deduzione del vizio di
violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e
di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà
verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti
storici da cui è originata l’azione”, così travalicando “dal modello
legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art.
360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa
ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass. SS. UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass.
SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.U U. n. 25950 del 2020);

3. conclusivamente il ricorso va dichiarato
inammissibile, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da
dispositivo, con attribuzione all’Avv. R.I. antistatario;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti
processuali di cui all’art. 13, c .
1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, L. n. 228 del 2012
(Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte
ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 3.000,00, oltre
euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%, con
attribuzione.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello
stesso art. 13, se dovuto.

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