Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 febbraio 2022, n. 4410

Rapporto di lavoro, Trasferimento, Illegittimità,
Accertamento, Demansionamento, Successivo licenziamento, Interesse ad agire
– Tutela reintegratoria

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Potenza, con sentenza n.
566 del 3 gennaio 2012, in accoglimento dell’appello proposto da C.D. nei
confronti della V. Italia Spa, dichiarò l’illegittimità sia del trasferimento
del lavoratore disposto dalla società da Potenza a Pozzuoli sia del conseguente
licenziamento intimato in data 12 gennaio 2005, ordinando la reintegrazione del
dipendente nel posto di lavoro e nelle mansioni svolte o in altre equivalenti;

2. la società, in esecuzione del comando giudiziale,
ripristinò il rapporto di lavoro con il D. presso la sede di Pescara a
decorrere dal 23 luglio 2012;

3. con ricorso ex art. 414 c.p.c. il D. convenne
innanzi al Tribunale di Pescara la società V. per sentire accogliere le
seguenti conclusioni: 1) dichiarare inefficace, nullo, comunque illegittimo
l’impugnato “trasferimento” del ricorrente presso la sede della società
convenuta in Pescara, anche previo accertamento e declaratoria, eventualmente
pure in via incidentale, della mancata ottemperanza alla sentenza n. 566/2011
della Corte d’Appello di Potenza nonché dell’intervenuto demansionamento nella
sede di destinazione del lavoratore; 2) per l’effetto, ordinare alla convenuta
di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e nelle mansioni già svolte o
in mansioni equivalenti presso la sede di Potenza; 3) in via subordinata,
nell’eventualità che l’adito giudice avesse respinto le ragioni di invalidità
del trasferimento, accertato e dichiarato l’intervenuto demansionamento (presso
la sede di Pescara), dichiarare il diritto del ricorrente all’assegnazione alle
mansioni da ultimo espletate nella sede di provenienza (Potenza) o in mansioni
equipollenti ed ordinare alla società convenuta di provvedere immediatamente a
detta assegnazione;

4. nelle more di tale giudizio, con sentenza n.
28791 del 30 novembre 2017, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della
Corte d’Appello di Potenza che aveva dichiarato l’illegittimità del
trasferimento e del conseguente licenziamento del D.;

5. con sentenza del 6 giugno 2019, la Corte
d’Appello di L’Aquila, in “parziale riforma” della pronuncia del Tribunale di
Pescara che aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere, ha
dichiarato “il sopravvenuto difetto di interesse ad agire di D. Cosimo”;

6. i giudici d’appello – in sintesi – hanno
considerato che, con la Cassazione della sentenza della Corte d’Appello di
Potenza, era venuto meno “l’interesse dell’appellante ad ottenere una pronuncia
(anche solo di accertamento)” che dichiarasse “la legittimità o meno delle
modalità di attuazione della reintegra adottate dalla società appellata stante
che una pronuncia sul punto non può prescindere dalla reintegrazione come
disposta dalla sentenza, poi cassata, stante che la legittimità del primo
trasferimento presso la sede di Pozzuoli e il successivo licenziamento sono
tuttora sub judice”; secondo la Corte distrettuale pertanto “deve pronunciarsi
sentenza di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse ad agire
dell’appellante con riguardo alle domande di accertamento della illegittimità
del trasferimento presso la sede di Pescara e dell’intervenuto demansionamento
con riassegnazioni delle mansioni da ultimo espletate nella sede di provenienza
ovvero equivalenti (sia pure espunte delle correlate richieste reintegratorie)
indipendentemente dall’ originaria fondatezza o meno di dette domande”;

7. per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso il soccombente con unico articolato motivo; ha resistito con
controricorso la società intimata;

8. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è
stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza
camerale; parte ricorrente ha formulato istanza di riunione con altro giudizio
pendente e la società ha comunicato memoria;

9. con ordinanza interlocutoria n. 20730 del 20
luglio 2021, il Collegio della Sesta sezione civile – Lavoro di questa Corte ha
disposto la trasmissione del procedimento alla corrispondente sezione ordinaria
“per la valutazione in ordine alla eventuale trattazione congiunta o riunione
col proc. R.G. n. 27369/2020”, avente ad oggetto la sentenza n. 207/2019
pronunciata dalla Corte di Appello di Potenza in seguito al rinvio disposto con
la sentenza n. 28791/2017 di questa Corte;

10. la causa è stata fissata per la trattazione
congiunta nella medesima adunanza camerale con il procedimento R.G. n.
27369/2020 tra le stesse parti, in prossimità della quale la società ha
depositato memoria;

 

Considerato che

 

1. con l’unico motivo, ai sensi del n. 3 dell’art.
360 c.p.c., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
24 e 111 Cost. e dell’art. 100 c.p.c.; si lamenta che la Corte distrettuale
abbia negato la persistenza di un interesse ad agire rispetto all’azione di
accertamento della illegittimità del trasferimento e del demansionamento subito
dal D. presso la sede di Pescara, nel periodo in cui vi era stato un effettivo
ripristino del rapporto di lavoro in seguito all’ordine giudiziale, rispetto al
quale non produceva effetto caducatorio il successivo annullamento del
licenziamento e della reintegrazione; si deduce che l’interesse ad ottenere la
pronuncia tendente a rimuovere uno stato di incertezza, anche dopo la
sopravvenienza in corso di causa, era riconoscibile anche sulla base della
esplicita riserva, formulata sin dall’atto introduttivo del giudizio, di
proporre “azione, nei confronti della società datrice, anche di natura
risarcitoria, conseguente pure alle domande (e relative pronunce) qui avanzate
…” (“ricorso primo grado pag. 25”);

2. occorre preliminarmente disattendere le eccezioni
di inammissibilità sollevate dalla parte controricorrente in quanto la censura
in esame non attiene ad una diversa ricostruzione dei fatti storici che hanno
dato origine alla controversia, bensì allo svolgimento del processo, sicché non
è neanche opponibile la preclusione da cd. “doppia conforme”;

ciò posto, il motivo è fondato nei sensi espressi
dalla motivazione che segue;

opportuno rammentare che la fictio iuris in base
alla quale la declaratoria di legittimità del licenziamento, a seguito della
riforma della sentenza resa in prime cure, determina l’effetto della
risoluzione ex tunc del rapporto di lavoro, non può valere a porre nel nulla
l’eventuale condotta illecita tenuta dal datore di lavoro nell’arco temporale
coincidente con il periodo in cui il rapporto è stato riattivato (cfr. Cass. n.
14637 del 2016, secondo cui il demansionamento del lavoratore, temporaneamente
riammesso in servizio a seguito di pronuncia dichiarativa dell’illegittimità
del licenziamento, costituisce fatto illecito suscettibile di tutela risarcitoria
anche quando la pronuncia venga successivamente riformata in sede di gravame);

ciò premesso, requisiti per l’attribuzione alla
parte del potere di agire in giudizio sono la concretezza e l’attualità
dell’interesse di cui all’art. 100 c.p.c., a presidio di un uso responsabile
del processo (Cass. n. 16626 del 2016);

necessaria presenza, dunque, della possibilità di
conseguire un risultato concretamente rilevante, non altrimenti ottenibile se
non mediante il processo e l’intervento necessario di un giudice; la
concretezza dell’interesse all’agire processuale è misurata dall’idoneità del
provvedimento richiesto a soddisfare l’interesse sostanziale protetto, da cui
il primo muove, e in tale aspetto l’interesse ad agire è manifestazione del
principio di economia processuale; nella medesima prospettiva si pone la
risalente e ricorrente affermazione dell’indispensabilità di un interesse
attuale, coordinato ad una posizione giuridica già sorta in capo
all’interessato e tale che la sua effettiva esistenza escluda il carattere
meramente potenziale della lesione, onde evitare che la tutela venga richiesta
in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (cfr., ex plurimis, Cass.
n. 487 del 1980; Cass. n. 6177 del 1985; Cass. n. 1897 del 1988; Cass. n. 10062
del 1998; Cass. n. 13293 del 1999; Cass. n. 5635 del 2002; Cass. n. 24434 del
2007);

avuto poi riguardo alle azioni di mero accertamento,
secondo un cospicuo orientamento (tra le altre: Cass. n. 12893 del 2015; Cass.
n. 16262 del 2015; Cass. n. 24653 del 2015; Cass. n. 13556 del 2008; Cass. n.
17026 del 2006; Cass. n. 4496 del 2008), il requisito dell’attualità
dell’interesse ad agire viene temperato, essendo difficile negare che la
certezza giuridica sia un bene cui ogni parte possa aspirare, sempre con il
limite dell’inammissibilità di azioni autonome di mero accertamento di fatti
giuridicamente rilevanti, perché solo l’intera fattispecie, una volta
perfezionatasi, può nella sua interezza costituire oggetto di accertamento (ex
aliis, Cass. n. 10039 del 2002; più di recente: Cass. n. 2051 del 2011; Cass.
n. 18511 del 2017); è pacifico, poi, che l’interesse ad agire, in quanto
condizione dell’azione, deve sussistere sino al momento della decisione (cfr.
fra le tante Cass. n. 6130 del 2018; Cass. n. 11204 del 2017; Cass. SS.UU. n.
25278 del 2006), per cui vanno apprezzati anche i fatti sopravvenuti
all’esercizio dell’azione o alla proposizione del gravame, che possono
determinare il venir meno dell’interesse, pur originariamente sussistente,
ogniqualvolta, a fronte del mutato contesto fattuale e giuridico, la pronuncia
o la sua rimozione sarebbero improduttive di conseguenze (da ultimo: Cass. n.
20250 del 2020);

tuttavia, questa Corte ha già affermato che, qualora
l’attore abbia chiesto l’accertamento di un diritto e la conseguente condanna
del convenuto ad un fare, la circostanza che nel corso del giudizio sia
divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione non determina la cessazione
della materia del contendere né fa estinguere l’interesse ad agire (Cass. n.
28100 del 2017; Cass. n. 23476 del 2010); più specificamente è stato affermato
che, nel caso in cui il lavoratore richieda l’accertamento dell’illegittimità
della destinazione ad altre mansioni e del diritto alla conservazione di quelle
in precedenza svolte, costituendo il suddetto accertamento la premessa logica e
giuridica per ulteriori domande di tipo risarcitorio, l’interesse ad ottenere
la pronuncia permane anche dopo l’estinzione del rapporto di lavoro (vedi Cass.
n. 12844 del 2003; Cass. n. 9808 del 2006); l’estinzione del rapporto di
lavoro, pertanto, può incidere soltanto sull’eventuale domanda di condanna alla
reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza, risultando estinta la
relativa obbligazione del datore di lavoro a far data dalla cessazione del
rapporto di lavoro, fermo restando l’accertamento che tale obbligo sussisteva
fino al verificarsi del detto evento, accertamento in relazione al quale resta
inalterato l’interesse ad agire (Cass. n. 19009 del 2010);

ciò posto, non può negarsi il perdurante interesse
del D. ad ottenere non l’accertamento di un mero fatto bensì una pronuncia che
accerti se gli atti compiuti dalla V. Italia Spa, quale datore di lavoro,
successivamente all’ordine giudiziale contenuto nella sentenza della Corte di Appello
di Potenza e prima della caducazione della stessa siano o meno lesivi di
diritti soggettivi del lavoratore, anche in considerazione della esplicita
riserva di azione di risarcimento del danno contenuta nell’atto introduttivo
del giudizio che, proprio per il suo carattere di “riserva”, non rendeva
necessarie ulteriori specificazioni; il verificare, poi, se tali illeciti
denunciati si fossero consumati o meno è – questa sì – questione di merito
successiva, erroneamente preclusa dalla decisione della Corte di Appello che ha
dichiarato, in limine litis, il sopravvenuto difetto di interesse ad agire;

3. conclusivamente il ricorso deve essere accolto,
con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in
dispositivo che si uniformerà a quanto statuito e provvederà anche a liquidare
le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in
relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di L’Aquila, in
diversa composizione, anche per le spese.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 febbraio 2022, n. 4410
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