Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 febbraio 2022, n. 4547

Revoca pensione d’anzianità, Insussistenza requisiti minimi
di contribuzione relativi all’attività lavorativa prestata in Italia, Regime
di “totalizzazione” internazionale, Ripetibilità di indebito
pensionistico

 

Rilevato che

 

Nel novembre 2003, l’INPS revocò ad I.S. la pensione
di anzianità di cui godeva dal marzo 1990, avendo accertato una carenza di
copertura assicurativa e contributiva presso l’Assicurazione Generale
Obbligatoria nei periodi dal 20 settembre 1962 al 31 agosto 1964 e dal 16
luglio 1971 al 31 gennaio 1975.

Il pensionato ricorse al giudice del lavoro,
deducendo l’illegittimità della revoca e domandando che fosse dichiarato il suo
diritto a percepire la pensione di anzianità, con condanna dell’INPS al
pagamento dei ratei indebitamente trattenuti, oltre accessori, sul presupposto
che nei predetti periodi aveva lavorato in Germania come bracciante agricolo e
che il requisito contributivo era integrato in ragione dei contributi versati
all’istituzione previdenziale tedesca.

Il Tribunale di Agrigento accolse la domanda,
dichiarando il diritto del ricorrente a percepire la predetta pensione con
decorrenza dal 31 dicembre 1990 e condannando l’INPS al pagamento dei ratei non
erogati, oltre interessi.

La Corte di appello di Palermo, in parziale
accoglimento del gravame dell’INPS, sul presupposto della insussistenza del
diritto dell’appellato alla pensione di anzianità, lo ha condannato a
restituire all’istituto i ratei di pensione percepiti dal 14 luglio 1994 al 31
maggio 2004, compensando le spese del grado.

La Corte territoriale ha fondato la decisione sui
seguenti rilievi.

Per un verso, il diritto vantato dal pensionato
doveva ritenersi insussistente (e, correlativamente, il provvedimento di revoca
emesso dall’istituto doveva ritenersi legittimo), atteso che i periodi di
contribuzione all’estero avrebbero dovuto essere posti a fondamento di una
specifica domanda amministrativa di pensione di anzianità in regime di
totalizzazione internazionale, ma non potevano essere assunti a presupposto
costitutivo del diverso diritto a pensione di anzianità nazionale, la cui
integrazione esigeva la sussistenza di requisiti contributivi minimi relativi
all’attività lavorativa svolta in Italia; del resto, una consimile domanda, sia
pure sotto l’erronea qualificazione di istanza di “ricostituzione”,
il pensionato aveva presentato nell’anno 2005, dando origine ad un nuovo
procedimento amministrativo di costituzione di beneficio previdenziale.

Per altro verso, tuttavia, il primo atto di messa in
mora comunicato dall’INPS al debitore recava la data del 13 luglio 2004,
sicché, in accoglimento dell’eccezione sollevata da quest’ultimo, doveva
ritenersi maturata la prescrizione sui ratei di credito restitutorio acquisiti
anteriormente al 14 luglio 1994.

Avverso questa decisione propone ricorso per
cassazione I.S. sulla base di due motivi. Risponde l’INPS con controricorso.
Non sono state depositate memorie.

 

Considerato che

 

1. Il primo motivo (con cui si deduce il vizio di
violazione di legge, ai sensi dell’art.360 n. 3
c.p.c.) si articola in due sub-motivi, il primo volto a denunciare la
violazione dell’art. 5 del
d.P.R. n. 488 del 1968 (in tema di “ricostituzione” della
pensione), il secondo volto a denunciare la violazione delle norme in tema di
ripetibilità degli indebiti pensionistici (artt. 1 I. n. 669 del 1996, 38 I. n. 448 del 2001, 52 I. n. 89
del 1988).

1.1. Con il primo sub-motivo il ricorrente critica
la sentenza impugnata per avere omesso di riconoscere il diritto alla pensione
di anzianità sulla scorta dei contributi totalizzati (cumulando quelli versati
in Italia con quelli versati in Germania) e in virtù di una domanda di
“ricostituzione” da lui debitamente presentata nel 2005. Tale
riconoscimento avrebbe dovuto essere compiuto in applicazione della disciplina
recata dall’art. 5 del d.P.R.
n. 488 del 1968, ai sensi del quale la finalità della
“ricostituzione” sarebbe proprio quella di ricomprendere nella
pensione contributiva tutti i contributi, anche in convenzione internazionale,
versati o accreditati in precedenza, con effetto dalla decorrenza originaria.
In proposito, il ricorrente richiama anche la giurisprudenza di legittimità
formatasi sul tema della ricostituzione della pensione a seguito della domanda
di trasferimento in Italia dei contributi versati nei periodi di lavoro in
Svizzera.

Questo sub-motivo è infondato.

1.1. a. Anzitutto, il presupposto della
“riliquidazione” della pensione con effetto dalla decorrenza
originaria, ai sensi dell’art.
5 del d.P.R. n. 488 del 1988, consiste nella circostanza che
successivamente alla decorrenza della pensione, siano versati contributi
relativamente a periodi anteriori alla decorrenza medesima; l’ultimo comma
dell’art. 5 in parola
prevede, infatti, che «ove dopo la consegna del certificato di pensione allo
interessato sia richiesto il riconoscimento di contributi figurativi, siano
presentate tessere assicurative o versati contributi dell’assicurazione per
l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, per periodi anteriori alla data di
decorrenza della pensione, entro i termini stabiliti dalle disposizioni in
vigore, la pensione medesima è riliquidata con effetto dalla data di decorrenza
originaria, secondo le norme in base alle quali essa è stata calcolata». Si
tratta, quindi, di un presupposto di fatto del tutto diverso da quello
verificatosi nella vicenda in esame, in cui invece il ricorrente ha chiesto di
tenere conto, ai fini del suo diritto a pensione di anzianità, dei contributi
accreditati presso l’istituzione tedesca in epoca anteriore alla decorrenza
della pensione, sicché non si integra la fattispecie cui l’ordinamento
ricollega la disciplina di cui all’invocato art. 5 del d.P.R. n. 488 del 1988.

1.1. b. In secondo luogo, e soprattutto, deve
tenersi conto dell’oggetto della domanda proposta in giudizio da I.S.

Al riguardo deve evidenziarsi che egli non si era doluto
né del diniego di una domanda amministrativa di “riliquidazione”
della pensione di anzianità né del diniego di una domanda amministrativa di
liquidazione della stessa in regime di “totalizzazione”
internazionale, ma si era doluto del provvedimento di revoca della pensione di
anzianità nazionale di cui era titolare, chiedendo che fosse dichiarato il suo
diritto a percepire il suddetto beneficio.

Avuto riguardo all’oggetto della domanda, del tutto
legittimamente la Corte di appello ha escluso la sussistenza del predetto
diritto, sulla base dell’accertamento dell’insussistenza dei necessari
requisiti minimi di contribuzione relativi all’attività lavorativa prestata in
Italia, che di esso costituivano presupposti necessari e che non potevano
essere surrogati da quelli maturati in ragione della contribuzione versata
all’estero.

Tale contribuzione, infatti, in cumulo con quella
versata in Italia, avrebbe dovuto essere posta a fondamento di una specifica
domanda amministrativa di pensione di anzianità in regime di
“totalizzazione” internazionale, ai sensi degli artt. 45 e 46 del Regolamento (CEE) n.
1408 del 1971, ma non poteva essere invocata al fine di ottenere il
riconoscimento del diverso diritto a pensione di anzianità nazionale, fondato
su distinti presupposti costitutivi.

Dei contributi accreditati e giacenti presso
istituzioni previdenziali straniere, si sarebbe potuto tenere conto, ai fini
della liquidazione della pensione in prò rata internazionale solo ove
l’interessato avesse proposto specifica domanda in tal senso; e della mancata
considerazione di tale contribuzione il pensionato avrebbe potuto dolersi in
giudizio solo se una simile domanda amministrativa fosse stata indebitamente
rigettata.

Nella presente controversia, invece, non si discute
dell’indebito rigetto di una domanda amministrativa di
“totalizzazione” o di “riliquidazione”, ma della
legittimità o meno della revoca di una pensione di anzianità nazionale;
rispetto a tale specifico diritto, la cui integrazione esigeva la sussistenza
di requisiti contributivi minimi relativi all’attività lavorativa svolta in
Italia, la riscontrata carenza contributiva non può essere sanata dalla
contribuzione versata all’estero, che costituisce invece il presupposto del
diverso istituto della “totalizzazione”.

Indebitamente, dunque, il ricorrente ha introdotto
nel presente giudizio il tema della ricostituzione della pensione, tema che
costituisce oggetto – secondo le incontroverse allegazioni delle parti – di un
distinto e separato procedimento amministrativo, iniziato nel 2005 con una
domanda qualificata come istanza di ricostituzione ma interpretata dall’INPS
come istanza di liquidazione della pensione di vecchiaia in regime di
“totalizzazione” internazionale, avuto riguardo alla contribuzione
accreditata presso l’istituzione tedesca.

1.1. c. Del tutto non pertinente, infine, è il
richiamo alla giurisprudenza di legittimità formatasi sul tema della
ricostituzione della pensione a seguito della domanda di trasferimento in
Italia dei contributi versati nei periodi di lavoro in Svizzera (in
particolare, Cass., Sez. lav., 12 maggio 2006, n.
11024 e, in precedenza, Cass., Sez. lav., 24 dicembre 1997, n. 13027).

Nelle fattispecie contemplate da tali pronunce,
infatti, la ricostituzione della pensione trovava fondamento nella domanda di
trasferimento in Italia dei contributi versati nei periodi di lavoro in
Svizzera, in ragione della speciale convenzione stipulata con questo Stato.

La “totalizzazione”, invece, non
presuppone, anzi esclude, il materiale trasferimento dei contributi da uno
Stato all’altro, poiché si traduce )iel cumulo meramente virtuale, sulla base
di una fictio iuris, di tutte le contribuzioni versate in favore dello stesso
lavoratore, ai fini del diritto e della misura della pensione, mentre le
contribuzioni versate restano presso ciascun ente o gestione, il quale assume
il carico, in base al criterio del prò rata, soltanto di una quota di pensione,
in proporzione dell’anzianità assicurativa e contributiva maturata dal
lavoratore presso la gestione medesima.

La disciplina della “totalizzazione”,
dettata da fonti internazionali o sovranazionali – in particolare il richiamato
Regolamento (CEE) n. 1408 del 1971 –
costituisce una disciplina speciale, di stretta interpretazione e applicazione
(non suscettibile di applicazione analogica od estensiva al di fuori delle
fattispecie per le quali è prevista) ed avente portata derogatoria rispetto
alla regola che impone l’utilizzazione dei contributi, ai fini del diritto e
della misura delle pensioni, presso le stesse gestioni previdenziali in cui
sono versati (v., già, Cass., Sez. lav., 5 aprile 2004, n. 6637 e Cass. Sez.
lav., 11 maggio 2006, n. 10860).

Il sub-motivo in esame va pertanto rigettato.

1.2. Con il secondo sub-motivo del motivo di ricorso
fondato sulla violazione di legge, il ricorrente denuncia l’omessa applicazione
delle norme in tema di indebito pensionistico (artt, 1, commi 260- 265, della legge
n. 662 del 1996; art. 38, commi
7-10, della legge n. 448 del 2000; art.52 della legge n. 89 del 1988, come
interpretato dall’art. 13 I. n.
412 del 1991) che avrebbero imposto di escludere la ripetibilità delle
somme erogate a titolo di pensione di anzianità, previo accertamento delle
condizioni di reddito dell’interessato e del suo stato psicologico (assenza di
dolo).

Questo specifico sub-motivo è inammissibile per due
ordini di ragioni.

1.2. a. Va premesso che, ad onta della formale
intestazione, con esso non si denunciano “errores in iudicando” ma
uno specifico “error in procedendo” costituito dall’omessa pronuncia
sulla eccezione di irripetibilità degli indebiti riscossi che sarebbe stata
sollevata dal ricorrente.

Orbene, una simile censura, concernendo un vizio di
attività cui consegue la nullità della sentenza (“error in
procedendo”), deve essere dedotto mediante la sussunzione del vizio nella
fattispecie di cui all’art. 360 n.4 c.p.c.,
atteso che quella di cui al precedente n.3 del medesimo articolo si riferisce
alla violazione di norme sostanziali, che dà luogo ad errore di giudizio
direttamente incidente sull’oggetto della decisione di merito (“error in
iudicando”).

La circostanza che il ricorrente abbia invece inteso
far valere un “error in procedendo” (sub specie di vizio di omessa
pronuncia: art. 112 c.p.c.) ai sensi dell’art.360 n.3 e c.p.c., senza fare alcun riferimento
alle conseguenze (nullità del procedimento e della sentenza) derivanti
dall’errore sulla legge processuale, impone la declaratoria di inammissibilità
del sub-motivo di ricorso in esame, in applicazione del consolidato
orientamento di questa Corte secondo cui, pur non essendo indispensabile la
formale ed esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al
numero 4 del primo comma dell’art.360 c.p.c., è
peraltro necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della
decisione derivante dal vizio denunciato, dovendosi reputare inammissibile il
gravame che si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. Sez. U,
24/07/2013, n.17931; v. anche Cass. 17/09/2013, n.21165, Cass. 28/09/2015, n.
19124, e, più recentemente, Cass. 07/05/2018, n. 10862).

1.2. b. Il sub-motivo in esame, poi, si mostra
inammissibile anche per difetto di autosufficienza.

Nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio
di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c.,
postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una
domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e
inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano
puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non
genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione
specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali
l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica,
innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della
decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio
rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto
processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in
quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il
ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli
compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca,
ma solo alla verifica degli stessi (da ultimo, Cass. 14/10/2021, n. 28072; in
precedenza, tra le altre, Cass. 04/07/2014, n. 15367).

Nel caso di specie, il ricorrente, anziché riportare
nei suoi esatti termini il contenuto dell’eccezione di non ripetibilità delle
somme riscosse, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo in
cui era stata sollevata, si è limitato a fare un generico riferimento alle
richieste contenute nella memoria difensiva in appello (p.14 del ricorso).

Anche per questa ragione dunque, il sub-motivo
fondato sul dedotto “error in procedendo” non può ritenersi
ammissibile, non avendo questa Corte gli elementi per verificare l’originaria
ritualità e tempestività dell’eccezione asseritamente non delibata.

2. Il secondo motivo denuncia «omessa, insufficiente
e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia».

Il ricorrente deduce che la Corte di appello non
avrebbe tenuto conto del fatto che aveva percepito la pensione in buona fede e
sostiene che tale omissione si sarebbe tradotta in un difetto di motivazione
della sentenza, risultata insufficiente o carente in ordine al punto decisivo
della sussistenza o meno del dolo dell’assicurato, integrante il presupposto
del diritto alla ripetizione delle somme da parte dell’ente.

2.1. Questo motivo è manifestamente inammissibile.

Con esso, infatti, si deduce un vizio che non è più
contemplato nella tassativa elencazione attualmente contenuta nell’art.360 c.p.c., senza tenere conto che, in seguito
alla riformulazione del numero 5 di questa norma, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n.
83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134
(applicabile alle sentenze pubblicate dopo l’11 settembre 2012 e dunque anche
alla pronuncia impugnata con il ricorso in esame, depositata il 2 febbraio
2016), per un verso la censura deve riguardare lo specifico vizio concernente
l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da
intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso
storico-naturalistico (tra le altre, Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del
06/09/2019, Rv. 655413-01; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018,
Rv. 651305-01); per altro verso, il sindacato di legittimità sulla motivazione
è stato ridotto al minimo costituzionale, sicché è denunciarle in cassazione
solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, la quale si esaurisce nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice
difetto di “sufficienza” della motivazione. (Cass. civ., Sez. Un., Sentenze nn. 8053 e 8054
del 7 aprile 2014, RRvv. 629830 e 629833; v. anche Cass. civ., Sez. 6 – 3,
Ordinanza n. 21257 dell’8 ottobre 2014, Rv. 632914).

La censura formulata dal ricorrente (volta a
denunciare la carenza o insufficienza della motivazione sullo specifico punto
dello stato soggettivo del percettore del beneficio previdenziale) non è
pertanto ammissibile, in quanto tendente a suscitare un sindacato non più
consentito alla Corte di legittimità.

3. In conclusione, il ricorso proposto da I.S. deve
essere rigettato.

4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la
soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

5. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, inserito dall’art.
1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del
controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro
5.250,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per
cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, inserito dall’art.
1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma
del comma 1 bis dello stesso art.
13, ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 febbraio 2022, n. 4547
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