Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 febbraio 2022, n. 5114

Rapporto di lavoro, Svolgimento di mansioni superiori,
Differenze retributive, Mancanza degli elementi circa le maggiori retribuzioni
dichiarate dal lavoratore, Accertamento, Licenziamento, Difetto di forma
scritta, Risarcimento

 

Fatti di causa

 

G.G. ha proposto appello, nei confronti di C.S.,
avverso la sentenza n. 1401/2014, emessa dal Tribunale di Messina il 22.4.2014,
con la quale il G. era stato condannato a corrispondere al proprio dipendente
S. la somma complessiva di Euro 106.313,29, a titolo di differenze retributive
per lavoro ordinario e straordinario, per lo svolgimento di mansioni superiori
riconducibili a quelle di operaio categoria D2 del CCNL laterizi e manufatti, oltre
al pagamento di una somma a titolo risarcitorio, pari alla omessa contribuzione
previdenziale ed assistenziale; inoltre, dichiarato inefficace, per difetto di
forma scritta, l’intimato licenziamento, il datore di lavoro era stato altresì
condannato al risarcimento del danno, in favore del S., in misura pari alle
retribuzioni versate dal 17.5.2005, data della ricezione della lettera
raccomandata di impugnativa del licenziamento.

La Corte territoriale di Palermo, con sentenza
pubblicata il 16.7.2015, in parziale riforma della sentenza gravata, ha
condannato G.G. a corrispondere al S.: a titolo di differenze retributive, la
somma di Euro 45.883,30, oltre accessori; a titolo di risarcimento del danno,
per l’inefficacia del licenziamento intimato oralmente, l’indennità
risarcitoria in misura pari alle retribuzioni dalla data del licenziamento sino
alla riassunzione; ed altresì al risarcimento del danno corrispondente
all’ammontare dei contributi previdenziali ed assicurativi non più riscuotibili
dall’INPS, laddove non esigibili per il decorso del termine prescrizionale
operante nella fattispecie.

Per la cassazione della sentenza il S. ha proposto
ricorso affidato a cinque motivi.

G.G. ha resistito con controricorso ed ha spiegato
ricorso incidentale articolando quattro motivi, cui ha resistito il S. con
controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo del ricorso principale si
censura, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
dell’art. 342, primo e secondo comma, c.p.c., ed in particolare, si lamenta che
i giudici di seconda istanza avrebbero omesso di pronunziare sulla eccezione di
inammissibilità dell’appello discendente dalla violazione del citato articolo.

2. Con il secondo motivo di deduce, in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 416 e 115
c.p.c., nonché degli artt. 2697 e 2709 c.c.; nella sostanza, si censura una
pretesa errata valutazione delle prove e la rilevanza data dai giudici di
secondo grado ad alcune dichiarazioni testimoniali rispetto ad altre, reputate
invece inattendibili dal ricorrente principale.

3. Con il terzo motivo, articolato in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si assume la violazione degli artt.
416 e 437 c.p.c. e dell’art. 6 del CCNL per i dipendenti delle aziende
produttrici di laterizi e manufatti in cemento del 5.3.1990, perché i giudici
di secondo grado non avrebbero considerato che il G. aveva contestato
l’inquadramento del S. nella categoria D2, alla quale è stata parametrata la retribuzione
inadeguata, soltanto con i rilievi alla c.t.u. contabile del giudizio di primo
grado, per rilevare che il lavoratore, semmai, per le mansioni svolte, avrebbe
potuto aspirare all’inquadrannento nella categoria E2. Pertanto, erroneamente,
gli stessi avrebbero pronunciato sull’impugnazione proposta, al riguardo, dal
G..

4. Con il quarto motivo si denunzia, in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 416 e 437
c.p.c., perché i giudici di appello avrebbero erroneamente ritenuto che fosse
provata < d’esistenza di periodi di disoccupazione per i quali il S. ha
fruito dell’indennità di disoccupazione (come da allegato 2 della produzione
del G.), donde l’esclusione del compenso per lavoro straordinario per detto periodo>>,
senza rilevare che, soltanto con i rilievi alla c.t.u. contabile del giudizio
di primo grado, il datore di lavoro aveva sollevato questa eccezione.

5. Con il quinto motivo si censura, in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 91 e 92
c.p.c. per erronea valutazione della soccombenza, in quanto la Corte avrebbe
dovuto porre le spese totalmente a carico del G., rimasto soccombente.

Infine, nelle conclusioni del ricorso principale, si
chiede di disporre, <<Ove ritenuta la rilevanza e la decisività delle
questioni oggetto del presente ricorso, il rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia Europea ex art. 267 T.U.E., sull’interpretazione delle norme
comunitarie, indicate nella narrativa dell’odierno ricorso, nel paragrafo ad
esso dedicato>> (v. pagg. 31-34 del ricorso, in cui si chiede il detto
rinvio pregiudiziale <<sull’interpretazione degli artt. 47 della carta
dei Diritti fondamentali dell’unione Europea e 6 della Convenzione per la
salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali: Roma,
4.XI.1950>>).

1.1. Il primo motivo del ricorso principale non è
meritevole di accoglimento. Ed invero, innanzitutto, il S. non ha indicato con
precisione – ed in violazione del principio di specificità sotto il profilo
dell’autosufficienza (arg. ex art. 366, primo comma, n. 6, del codice di rito)
– quali siano i punti dell’atto di gravame che non soddisfano i requisiti di
cui all’art. 342, nn. 1) e 2), c.p.c., essendosi limitato ad affermare, senza
altra precisazione, che tale atto <<non soddisfa i requisiti di forma
prescritti, a pena di inammissibilità, dall’art. 342 c.p.c., secondo cui la
motivazione dell’appello deve contenere “1) /’Indicazione delle parti del
provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste
alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2)
l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della
loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”>>. Al riguardo, si
osserva, altresì, che, <<in tema di appello, il requisito della
specificità dei motivi, di cui all’art. 342 c.p.c., deve ritenersi sussistente,
secondo una verifica da effettuarsi in concreto, quando l’atto di impugnazione
consenta di individuare con certezza le ragioni del gravame e le statuizioni
impugnate>>, in modo da <<consentire al giudice di comprendere con
certezza il contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun
pregiudizio la propria attività difensiva, mentre non è richiesta né l’indicazione
delle norme di diritto che si assumono violate, né una rigorosa e formalistica
enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’impugnazione>> (cfr.,
tra le molte, Cass. n. 22502/2014). E, nella fattispecie, è da ritenere che,
implicitamente, i giudici di secondo grado, affrontando direttamente il merito
della questione, abbiano considerato superata questa eccezione. Siamo, quindi,
di fronte ad un rigetto implicito da parte della Corte di merito, pacificamente
ammesso dagli arresti giurisprudenziali di legittimità (v. tra le altre, Cass.
nn. 1855/2020; 32258/2018; 29191/2017).

2.2. Il secondo motivo, che, nella sostanza, cela la
pretesa di una rivalutazione complessiva degli elementi delibatori sottesa alla
dedotta errata valutazione degli stessi da parte della Corte territoriale (v.,
ex plurimis, Cass. nn. 17611/2018; 5900/2016; 13054/2014), è inammissibile,
poiché <<sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge,
mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dai giudici di
merito> (così Cass., SS.UU., n. 34476/2019), non ammessa in questa sede.

Inoltre, come correttamente osservato nella sentenza
oggetto del presente giudizio, nel rito del lavoro, la mancata contestazione
del fatto costitutivo del diritto, come è avvenuto nel caso di specie, rende
inutile provare il fatto stesso, perché lo rende incontroverso (v, tra le
altre, Cass. nn. 1878/2012).

3.3. Il terzo motivo non può essere accolto, perché
il ricorrente principale, in violazione del disposto dell’art. 366, primo
comma, n. 6, c.p.c., non riporta la comparsa di costituzione del G. in primo
grado; pertanto, questa Corte non ha potuto apprezzare la veridicità delle
doglianze mosse col mezzo di impugnazione in esame alla sentenza oggetto del
presente giudizio. In ordine, poi, alle mansioni, la Corte di Appello ha
motivato, condivisibilmente (v. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata), anche
confrontando le declaratorie contrattuali relative alle categorie E2 e D2, nel
rispetto del procedimento c.d. trifasico, che prevede: l’accertamento in fatto
dell’attività lavorativa svolta in concreto; l’individuazione delle qualifiche
e gradi previsti dal CCNL di categoria; il raffronto dei risultati delle
suddette fasi (cfr., ex plurimis, Cass. n. 17163/2016).

4.4. Neppure il quarto motivo è meritevole di
accoglimento, in quanto i giudici di appello hanno motivato correttamente ed
adeguatamente al riguardo (v. pag. 7 della sentenza impugnata), sottolineando
che il lavoratore, convenuto in riconvenzionale nel giudizio di primo grado,
proprio sulla domanda di restituzione di somme a titolo retributivo,
asseritamente erogate in più rispetto a quelle denunciate, con indicazione
analitica degli importi mensili e con allegazione dei libri paga, attesa anche
la specificità del rapporto edile e valutate altresì <<le suindicate
vicende lavorative, attinenti anche alle sospensioni del rapporto nei periodi
di disoccupazione, avrebbe dovuto prendere specifica posizione e non assumere
una posizione del tutto generica come da sua memoria depositata in difesa della
domanda riconvenzionale del convenuto>>.

5.5. Il quinto motivo non è fondato. Va,
innanzitutto, osservato che la sentenza di secondo grado ha riformato
parzialmente quella del primo giudice, in favore del datore di lavoro. Inoltre,
è da sottolineare che l’art. 2 della I. n. 263 del 2005 ha introdotto l’obbligo
per il giudice di indicare specificamente i motivi della compensazione solo per
i procedimenti instaurati dopo la sua entrata in vigore, inizialmente fissata
all’1.1.2006 e poi prorogata all’1.3.2006 ai sensi dell’art. 39-quater del d.l.
n. 273 del 2005, convertito nella legge n. 51 del 2006 (cfr. Cass. n.
9262/2006), e che la controversia di cui si tratta è stata introdotta, in primo
grado, con ricorso depositato il 10.2.2006; sicché la compensazione delle spese
può essere disposta per giusti motivi ravvisabili anche nella peculiarità
dell’andamento della vicenda processuale e delle questioni trattate, nonché
tenendo conto della mancata costituzione in giudizio della controparte. E, nella
fattispecie, le ragioni che hanno condotto alla disposta compensazione delle
spese sono esplicitate, seppure sinteticamente, ed appaiono chiaramente ed
inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata dalla
stessa Corte di merito (v. pag. 8 della sentenza).

6. Quanto alla richiesta di disporre, <<Ove
ritenuta la rilevanza e la decisività delle questioni oggetto del presente
ricorso, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea ex art. 267
T.U.E., sull’interpretazione delle norme comunitarie, indicate nella narrativa
dell’odierno ricorso, nel paragrafo ad esso dedicato> (v. pagg. 31-34 del
ricorso, in cui si chiede il detto rinvio pregiudiziale
<<sull’interpretazione degli artt. 47 della carta dei Diritti fondamentali
dell’unione Europea e 6 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti
dell’Uomo e delle Libertà fondamentali: Roma, 4.XI.1950>>), si osserva,
innanzitutto, che la stessa non appare formulata nei termini adeguati e risulta
priva dei caratteri della rilevanza e della decisività. Al riguardo, va
sottolineato che, come è noto, il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267
TFUE alla Corte di Giustizia è veicolato con una ordinanza del giudice
nazionale relativa ad una questione interpretativa su una norma comunitaria,
dovendo il predetto giudice interpretare ed applicare la norma comunitaria, che
è fonte del diritto e, ove sorgano questioni di conflitto con una norma di
diritto interno, disapplicare quest’ultima. Nel caso in cui vi fossero dubbi
sull’esegesi della disposizione comunitaria, il giudice nazionale può
risolverli o interpretando la norma comunitaria o sollevando la questione
pregiudiziale sull’interpretazione dinanzi alla Corte di Giustizia. Tuttavia,
alla stregua degli arresti giurisprudenziali di legittimità (cfr., ex plurimis,
Cass. nn. 50998/2017; 27165/2016), il rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea, <<non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente
a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la
necessità>> (cfr. Cass., SS.UU., nn. 20701/2013; 16886/2013), poiché tale
rinvio <<ha la funzione di verificare la legittimità di una legge
nazionale rispetto al diritto dell’Unione Europea e se la normativa interna sia
pienamente rispettosa dei diritti fondamentali della persona, quali risultanti
dall’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo e recepiti dal
Trattato sull’Unione Europea; sicché il giudice, effettuato tale riscontro, non
è obbligato a disporre il rinvio solo perché proveniente da istanza di parte
…. quando non lo ritenga rilevante ai fini della decisione>> (v. Cass.
n. 50998/2017, cit.), dovendo sempre operare <<una delibazione di
fondatezza della questione proposta>>. E, nella fattispecie, per tutto
quanto in precedenza esposto – data anche la formulazione della richiesta in
modo vago -, il Collegio reputa che non sussistano i presupposti per disporre
il rinvio pregiudiziale.

7. Con il primo motivo del ricorso incidentale si
deduce, in riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c.,
<<motivazione apparente; contrasto irriducibile di motivazione;
motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile; nullità della sentenza
per violazione dell’art. 112 c.p.c.>>, perché, a parere del ricorrente
incidentale, non si comprenderebbe sul base di quali argomentazioni i giudici
di appello abbiano deciso di liquidare al lavoratore <d’importo calcolato
dal C.t.u. nella seconda ipotesi>> (v. pag. 8 della sentenza).

8. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si
lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la
violazione ed erronea interpretazione degli artt. 1334, 1335, 1206, 1207, 1208,
1209, 1217 e 1220 c.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo, per
asserita irrituale notifica dell’impugnativa stragiudiziale di licenziamento e
per la connessa mancata offerta delle proprie prestazioni lavorative; ed
altresì per la errata quantificazione del risarcimento dei danni.

9. Con il terzo motivo del ricorso incidentale si
censura, in riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, del codice di
rito, <<omesso esame circa un fatto decisivo; violazione dell’art. 112
c.p.c.; violazione ed erronea applicazione degli artt. 1218, 1225 e 1227
c.c.>>.

10. Con il quarto motivo del ricorso incidentale si
denunzia, in riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c.,
<<nullità della sentenza; omessa pronuncia; violazione dell’art. 112;
omesso esame circa un fatto decisivo sull’aliunde perceptum>>.

7.1. Il primo motivo del ricorso incidentale non può
essere accolto, poiché, in realtà, nel secondo capoverso di pag. 8, i giudici
di secondo grado spiegano la loro decisione, <<in ragione delle
contestazioni mosse, seppur tardivamente, dalla difesa del S. e volte a
sottolineare la mancanza degli elementi di riscontro circa le maggiori
retribuzioni in ipotesi dichiarate dal lavoratore, come da pag. 20 del ricorso
in appello del G.>>. Peraltro, la doglianza mossa in relazione all’art. 112
c.p.c., non viene svolta, né esplicitata in alcun modo; manca, quindi, la
focalizzazione del momento di conflitto, rispetto alla censura sollevata,
dell’accertamento operato dalla Corte territoriale all’esito delle emersioni
probatorie (cfr., ex plurimis, Cass. nn.24374/2015; 80/2011).

Infine, è da rilevare che i giudici di secondo grado
sono pervenuti alla decisione oggetto del presente giudizio attraverso un iter
argomentativo del tutto condivisibile e scevro da vizi logicogiuridici;
pertanto, non si configura, nella fattispecie, la lamentata motivazione
apparente (al riguardo, tra le altre, v. Cass. n. 2220/2019).

8.1. Il secondo motivo – che, comunque, tende, nella
sostanza, ad ottenere un nuovo esame del merito, non consentito in questa sede
– appare pretestuoso, posto che l’indirizzo al quale il lavoratore ha inviato
la raccomandata con cui ha impugnato il licenziamento è lo stesso che il datore
di lavoro ha fornito nella comunicazione inviata al Centro per l’impiego di
Messina (v. pagg. 19 e 20 del ricorso incidentale e pagg. 11-13 del
controricorso al ricorso incidentale). Peraltro, il G. non ha contestato nulla
che attenga al contenuto della lettera di impugnazione del licenziamento ed al
fatto che la stessa costituisca atto di “messa in mora”.

9.1. Il terzo mezzo di Impugnazione è Inammissibile
sotto diversi e concorrenti profili; innanzitutto, la parte ricorrente In via
incidentale, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366, primo
comma, n. 4, c.p.c., non ha fornito specifiche argomentazioni intese
motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto,
contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le
disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse
fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte,
Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009);
ed invero, nel caso in esame, manca la focalizzazione del momento di conflitto,
rispetto alle censure sollevate, del l’accerta mento operato dalla Corte
territoriale all’esito delle emersioni probatorie (cfr., ex plurimis, Cass. nn.
24374/2015; 80/2011) e, pertanto, le doglianze mosse al procedimento di
sussunzione operato dai giudici di seconda istanza si risolvono in
considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi
delibazione probatoria. Inoltre, i mezzi di impugnazione contengono la
contemporanea deduzione di violazioni di plurime disposizioni di legge, nonché
di vizi di motivazione e di erronea valutazione delle risultanze istruttorie,
oltre all’invocazione di non meglio precisati errores in procedendo, in
violazione del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione,
poiché nella parte argomentativa degli stessi non risulta possibile scindere le
ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una
situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile
l’operazione di interpretazione e di sussunzione delle censure (al riguardo,
tra le molte, Cass. nn. 21239/2015; 23675/2013; 7394/2010, 20355/2008,
9470/2008). In particolare, va pure sottolineato che le Sezioni Unite di questa
Corte, dinanzi ad un motivo di ricorso che conteneva censure astrattamente
riconducibili ad una pluralità di vizi tra quelli indicati nell’art. 360
c.p.c., hanno ribadito la stigmatizzazione di tale tecnica di redazione del
ricorso per cassazione, evidenziando <<la impossibilità di convivenza, in
seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irrimediabile
eterogeneità>> (Cass., S.U., nn. 17931/2013, 26242/2014).

10.1. Neppure il quarto mezzo di impugnazione può
essere accolto e, per quest’ultimo, data l’assenza di specificità, valgano le
considerazioni svolte in ordine al terzo motivo.

Il motivo non è, comunque, meritevole di
accoglimento anche perché, diversamente da quanto sostenuto, i giudici di
secondo grado hanno tenuto conto dell’aliunde perceptum nella quantificazione
della somma liquidata al lavoratore, con motivazione adeguata anche su questo
punto (v., pure pag. 6 della sentenza impugnata).

11. Pertanto, per le considerazioni innanzi svolte,
il ricorso principale e quello incidentale vanno rigettati.

12. Le spese del giudizio di legittimità sono da
compensare interamente tra le parti, in considerazione delle reciproca
soccombenza.

13. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso principale, sussistono i presupposti di cui
all’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo quanto
specificato in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale ed il ricorso
incidentale.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 –
bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 febbraio 2022, n. 5114
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