Il datore deve provare che non vi siano soluzioni ragionevoli per il mantenimento del posto di lavoro.

Nota a Corte di Giustizia UE, 10 febbraio 2022, causa C-485/20

Fabrizio Girolami

Nell’ordinamento dell’Unione europea, l’art. 5 (“Soluzioni ragionevoli per i disabili”), paragrafo 1, della Direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, dispone che “per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato”.

La CGUE, con sentenza 10 febbraio 2021 (causa C-485/20), ha precisato che la nozione di soluzioni ragionevoli per i disabili “implica che un lavoratore, compreso quello che assolve un tirocinio post-assunzione, il quale, a causa della sua disabilità, sia stato dichiarato inidoneo ad esercitare le funzioni essenziali del posto da lui occupato, sia destinato ad un altro posto per il quale dispone delle competenze, delle capacità e delle disponibilità richieste, a meno che una tale misura non imponga al datore di lavoro un onere sproporzionato”.

Nel caso di specie, la società belga HR Rail, operante nel settore del trasporto ferroviario, aveva assunto un lavoratore con le mansioni di agente di manutenzione specializzato delle linee ferroviarie, inviandolo contestualmente a compiere un periodo di tirocinio presso la Infrabel, ente incaricato della gestione delle infrastrutture per le Ferrovie belghe. Il tirocinante era stato in seguito riconosciuto disabile dal “Servizio pubblico federale per la previdenza sociale” per una sopravvenuta patologia cardiaca che richiedeva l’impianto di un pacemaker, apparecchio sensibile ai campi elettromagnetici emessi dalle linee ferroviarie, e il “Centro regionale per la medicina dell’amministrazione” aveva dichiarato l’agente di manutenzione inidoneo a esercitare le mansioni di assunzione.

La società aveva intimato il licenziamento al lavoratore disabile, asserendo che i tirocinanti riconosciuti disabili e non più in grado di esercitare la loro funzione non beneficiavano di una riassegnazione all’interno dell’impresa.

Nel giudizio instaurato tra il lavoratore e la società, il Consiglio di Stato belga aveva sospeso il procedimento, sottoponendo alla CGUE la questione pregiudiziale sulla corretta interpretazione del citato art. 5 della Direttiva.

La CGUE, nel pronunciarsi sulla questione, ha affermato che il lavoratore disabile che svolge un tirocinio post-assunzione, dichiarato inidoneo a esercitare le funzioni essenziali del posto a lui assegnato, può beneficiare della riassegnazione a un altro posto per il quale dispone delle competenze, delle capacità e delle disponibilità richieste, purché tale misura non imponga al datore un onere sproporzionato.

In particolare, la CGUE, con la sentenza in commento, ha rilevato quanto segue:

  • la Direttiva 2000/78/CE intende fissare un quadro generale per garantire a ogni individuo la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, offrendogli una protezione efficace contro le discriminazioni (tra cui quelle fondate sulla disabilità). Tale Direttiva è applicabile ai lavoratori dipendenti e autonomi e anche al lavoratore che effettua un tirocinio di formazione post-assunzione;
  • al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, devono essere previste “soluzioni ragionevoli”. In particolare, il datore deve prevedere “misure appropriate” – definite nel considerando n. 20 della Direttiva – quali le “misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o di inquadramento”;
  • quando un lavoratore diviene definitivamente inidoneo a ricoprire il suo posto di lavoro a causa di una sopravvenuta disabilità, la sua assegnazione a un diverso posto di lavoro può rappresentare una misura appropriata nell’ambito delle “soluzioni ragionevoli”, trattandosi di un provvedimento diretto all’eliminazione delle barriere di diversa natura che ostacolano la piena ed effettiva partecipazione delle persone disabili alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori;
  • in ogni caso, l’obbligo di repêchage del disabile non può tradursi in un “onere sproporzionato” a carico del datore di lavoro. Per determinare se la misura in questione dia luogo a un onere sproporzionato, è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni (cfr. considerando n. 21 della Direttiva);
  • in particolare, la possibilità di assegnare una persona disabile a un altro posto di lavoro esiste solo in presenza di almeno un posto vacante che il lavoratore interessato è in grado di occupare.
Il lavoratore definitivamente inidoneo alla mansione per sopravvenuta disabilità ha diritto al repêchage
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