La carica di amministratore di una società di capitali costituita da soli due soci, unici membri del C.d.A, è cumulabile con lo status di lavoratore subordinato alle dipendenze della medesima compagine sociale a condizione che i poteri di gestione e controllo siano concretamente esercitati dall’organo di amministrazione nel suo complesso.

Nota a Cass. (ord.) 27 gennaio 2022, n. 2487

Sonia Gioia

In materia di compatibilità della qualifica di amministratore di società di capitali con l’esistenza di un rapporto di lavoro  subordinato, le qualità di amministratore e dipendente di una medesima società, quand’anche costituita da due soli soci, entrambi componenti, in via esclusiva, del Consiglio di Amministrazione, sono cumulabili purché si accerti “l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale” e sia fornita prova, da parte del soggetto che intenda far valere il rapporto di impiego ex art. 2094 c.c., del  vincolo di subordinazione, vale a dire “l’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società”.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione (ord., 27 gennaio 2022, n. 2487, difforme da App. Firenze, n. 154/2020) in relazione ad una controversia insorta tra l’INPS e due lavoratori che chiedevano l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società di cui erano soci, in quanto proprietari di tutte le quote per il 50% ciascuno, e membri, in via esclusiva, del Consiglio di Amministrazione.

In particolare, nel giudizio di primo grado, il Tribunale aveva accolto l’opposizione della società al verbale di accertamento ispettivo dell’INPS, che aveva disconosciuto la natura subordinata dei rapporti di lavoro per essere i due soci gli unici membri dell’organo collegiale amministrativo.

La Corte distrettuale, invece, in accoglimento delle doglianze dell’INPS avverso la pronuncia del giudice di prime cure, aveva dichiarato l’illegittimità di tali rapporti, dal momento che  la qualità di amministratori attribuita ai due soci ostava alla costituzione di un vincolo di subordinazione alle dipendenze della società amministrata e del conseguente potere conformativo di questa sulla loro prestazione di lavoro “per la decisività della volontà di ognuno dei due nella formazione del processo decisionale”.

Al riguardo, la Cassazione ha precisato che lo status di amministratore di una società di capitali non risulta, di per sé, incompatibile con la possibilità di instaurare, con la medesima azienda, un autonomo e parallelo diverso rapporto che può assumere le caratteristiche del lavoro subordinato.

La valutazione della compatibilità delle due posizioni, quella di amministratore e dipendente della stessa società, da effettuarsi, in concreto, caso per caso,  presuppone che il lavoratore svolga mansioni estranee al rapporto organico con la società, che non siano, cioè, ricomprese nei poteri di gestione derivanti dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite, e che sia  fornita prova, da parte del soggetto che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato, dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, all’effettivo potere di supremazia gerarchica del Consiglio di Amministrazione (Cass. n. 19596/2016; Cass. n. 24972/2013).

Tale circostanza, in particolare, ricorre qualora sia individuabile “la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione del dipendente- amministratore ad un potere disciplinare e direttivo esterno, sì che la qualifica di amministratore costituisca uno ‘schermo’ per coprire un’attività costituente, in realtà, un normale lavoro subordinato”, risultando, così, provata la soggezione al potere direttivo, di controllo e disciplinare degli altri organi societari e l’assenza di autonomi poteri decisionali (Cass. n. 4334/2004; Cass. n. 1791/2000).

Pertanto, la configurabilità di un rapporto di lavoro ex art. 2094 c.c. va negata con riferimento alla figura dell’amministratore unico della società, “non potendo in tal caso realizzarsi un effettivo assoggettamento del predetto all’altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare” (Cass. n. 10909/2019; Cass. n. 19050/2015), mentre la circostanza che la società sia costituita da due soli soci, unici membri del C.d.A., non è, di per sé, sufficiente ad escludere il vincolo di subordinazione ove risulti che i poteri datoriali siano, in concreto, esercitati dal Consiglio di Amministrazione nel suo complesso.

Nel caso di specie, la Corte ha cassato con rinvio ad altro giudice, in diversa composizione,  la pronuncia di merito che, nell’escludere la sussistenza di un rapporto ai sensi dell’art. 2094 c.c., non aveva  tenuto conto del fatto che nessuno dei due soci aveva un “autonomo potere direttivo sul personale rapporto di lavoro” e che lo stesso era stato conferito ad “un diverso centro decisionale di ‘amministrazione congiunta sovrapersonale’”, precisando, infine, che l’onere della prova del vincolo di subordinazione spettava all’ente previdenziale, in quanto “soggetto tenuto, in linea generale, alla dimostrazione dei fatti costitutivi dell’obbligo contributivo” (Cass. n. 8613/2017; Cass. n. 19596 cit.; Cass. n. 24972/2013).

Amministratore e dipendente della medesima società: compatibilità delle qualifiche
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