Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 marzo 2022, n. 8216

Licenziamento collettivo, Sovradimensionamento strutturale,
Incompletezza della comunicazione, Comparazione dei lavoratori per
l’individuazione di coloro da avviare a mobilità

 

Rilevato che

 

con la sentenza impugnata, in riforma della
pronunzia del Tribunale di Palermo, sono state rigettate le domande proposte da
A.L.B. e G.T. nei confronti dell’Ente D.O. – Formazione Aggiornamento
Professionale (ENDO – FAP)” per l’ottenimento della declaratoria di
illegittimità dei licenziamenti ai medesimi intimati in data 16 maggio 2017 per
“sovradimensionamento strutturale”, in esito ad una procedura di
mobilità ai sensi degli artt. 4 e 24 della I. n. 223 del 2001 (ndr: ai
sensi degli artt. 4 e 24 della I. n. 223 del 1991);

per la cassazione della decisione hanno proposto
separati ricorsi A.U.B. e G.T., affidati, ciascuno, a cinque motivi;

l’Ente D.O. – Formazione Aggiornamento Professionale
(ENDO – FAP)” ha resistito con controricorso;

i ricorrenti hanno depositato ciascuno memoria; il
P.G. non ha formulato richieste.

 

Considerato che

 

con il primo motivo i ricorrenti – denunciando
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 della I. n. 223 del 1991, nonché
violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3,
c.p.c.

– si dolgono che il giudice del reclamo abbia
ritenuto legittimo il licenziamento malgrado l’omessa indicazione, nella
lettera di comunicazione predisposta per le organizzazioni sindacali ed
allegata alle lettere di licenziamento, del criterio adottato per dividere in
due distinti elenchi i dipendenti con mansioni amministrative inseriti nel 1° e
II0 livello (operatori tecnico-amministrativi) e quelli, ritenuti eccedentari,
rientranti nel 111° e IV° livello (collaboratori amministrativi), non
formulando alcuna statuizione in merito alla dedotta illegittimità, sotto tale
profilo, della procedura;

con il secondo motivo – denunciando violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 5 della I. n. 223 del 1991 e 112 c.p.c., in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – lamentano che il predetto
giudice non abbia emesso alcuna decisione sulla deduzione che il datore di
lavoro, nella scelta del personale da licenziare, ebbe a limitare – senza
giustificazione – la platea dei lavoratori agli amministrativi del III e IV
livello;

con il terzo motivo – denunciando violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art.
360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si dolgono che la Corte territoriale abbia
ritenuto, da un lato, gravante su di essi l’onere di dimostrare che tutti i
lavoratori inseriti nelle graduatorie, a dispetto del diverso inquadramento,
avessero svolto mansioni amministrative fungibili, non considerando che l’onere
della prova sulla legittimità del licenziamento è attribuita al datore di
lavoro; dall’altro, che la prova della fungibilità era stata comunque fornita
attraverso l’indicazione della classificazione del personale contenuta nel ccnl
di riferimento;

con il quarto motivo – denunciando violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 5 della I. n. 223 del 1991, 100 c.p.c. (il solo
G.T.) e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – i
ricorrenti lamentano che la predetta Corte abbia ritenuto che essi avrebbero
dovuto preliminarmente dimostrare di avere un interesse qualificato a proporre
la domanda, senza considerare, quanto alla B., che nella comparsa di
costituzione depositata nella fase di reclamo era stato precisato che
“applicando una riduzione proporzionale tra i due gruppi (…), la
riduzione dei lavoratori avrebbe dovuto riguardare tre unità per il 1° e 11°
livello e sette unità per il 111° e IV° livello”, sicché la lavoratrice
non avrebbe dovuto essere licenziata, essendole stata attribuita la posizione
numero 8 del gruppo lavorativo interessato; e, quanto al T., che ove il datore
di lavoro avesse redatto le graduatorie includendo anche i dipendenti del I e
del II livello, mantenendo lo stesso numero di 10 licenziati tra gli
amministrativi, certamente egli non sarebbe stato licenziato;

con il quinto motivo – denunciando violazione
dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. –
invocano l’annullamento della statuizione sulle spese contenuta nella sentenza
impugnata per effetto dell’auspicato accoglimento del ricorso.

 

Ritenuto che

 

il primo motivo é inammissibile, poiché non vi è
trascrizione (necessaria, ai fini dell’autosufficienza del ricorso) della
comunicazione di cui si assume l’incompletezza (per carente indicazione del criterio
adottato per dividere in due distinti elenchi i dipendenti con mansioni
amministrative) e su cui si appunta la denunziata violazione di legge; inoltre,
il motivo si risolve in una censura di omessa motivazione su una questione di
cui si assume l’avvenuta prospettazione, censurabile ai sensi dell’art. 360, n.
5, c.p.c. (v., in tema, Cass. 18/02/2021 n. 4409, secondo cui «Il rapporto tra
le istanze delle parti e la pronuncia del giudice, agli effetti dell’art. 112,
c.p.c., può dare luogo a due diversi tipi di vizi: se il giudice omette del
tutto di pronunciarsi su una domanda od un’eccezione, ricorrerà un vizio di
nullità della sentenza per “error in procedendo”, censurabile in
Cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.; se, invece, il giudice si pronuncia
sulla domanda o sull’eccezione, ma senza prendere in esame una o più delle
questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell’ambito di quella domanda o di
quell’eccezione, ricorrerà un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione
ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. L’erronea sussunzione nell’uno piuttosto
che nell’altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere
in sede di legittimità, comporta l’inammissibilità del ricorso»);

il giudice del reclamo, peraltro, contrariamente a
quanto dedotto nei ricorsi, si è espresso sulla completezza della predetta
comunicazione, ravvisandone la corrispondenza al modello legale, sul rilievo
che non è normativamente richiesta l’indicazione delle ragioni di cui si è
lamentata l’omissione (ossia quelle per le quali gli esuberi erano stati
considerati nel profilo dei collaboratori e non anche nel profilo inferiore
degli operatori);

il secondo motivo è da disattendere, poiché il
giudice del reclamo ha affrontato la questione del criterio di scelta del
personale da licenziare, ritenendo non arbitraria la decisione del datore di
formare due distinte graduatorie, una per i collaboratori amministrativi e
l’altra per gli operatori tecnici amministrativi, in quanto prevista dal ccnl
pacificamente applicato al rapporto, rispondente ai diversi profili di
inquadramento dei lavoratori in comparazione, associata alle differenti
mansioni proprie di ciascun profilo e coerente con il criterio
tecnico-produttivo ed organizzativo alla stregua del quale l’ente doveva
operare la scelta dei lavoratori in esubero; del resto, l’esigenza di riduzione
di personale si fondava anche sulla soppressione degli sportelli
multifunzionali, ove erano impegnati i collaboratori amministrativi, con
conseguente esubero dei medesimi;

il terzo motivo è in parte infondato e in parte
inammissibile, giacché, da un lato, a fronte della diversità di inquadramento
tra i lavoratori ritenuti in esubero e quelli mantenuti in organico, era onere
dei lavoratori dedurre e provare (e cfr., sul punto, Cass. 16.09.2016, n.
18190, secondo cui «In tema di licenziamento collettivo per riduzione del
personale, ove la ristrutturazione della azienda interessi una specifica unità
produttiva o un settore, la comparazione dei lavoratori per l’individuazione di
coloro da avviare a mobilità può essere limitata al personale addetto a quella
unità o a quel settore, salvo l’idoneità dei dipendenti del reparto, per il
pregresso impiego in altri reparti della azienda, ad occupare le posizioni
lavorative dei colleghi a questi ultimi addetti, spettando ai lavoratori
l’onere della deduzione e della prova della fungibilità nelle diverse
mansioni») la non significatività della predetta diversità in ragione di una
concreta fungibilità di svolgimento mansioni; dall’altro, l’eventuale omesso
esame, ad opera del giudicante, di fatti attestanti la predetta fungibilità
andava dedotto ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella ricorrenza dei
presupposti ivi previsti;

il quarto motivo è infondato, in quanto il giudice
del reclamo, per completezza di motivazione, ha affermato – applicando il
principio di diritto (su cui v., tra le altre, Cass. 22/05/2019, n. 13871)
secondo cui, in caso di violazione dei criteri di scelta, l’annullamento non
può essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati ma
soltanto da coloro che, tra essi, abbiano in concreto subito un pregiudizio per
effetto della violazione, perché avente rilievo determinante rispetto alla
collocazione in mobilità dei lavoratori stessi – che i ricorrenti non ebbero ad
allegare e dimostrare che l’eventuale accorpamento dai medesimi rivendicato in
un’unica graduatoria dei lavoratori di entrambi i profili (12 collaboratori e 6
operatori) li avrebbero visti collocati in posizione tale da essere esclusi da
quelli in esubero (complessivamente 10);

non vale a contrastare la valenza del rilievo
l’affermazione, contenuta nella comparsa di risposta in sede di reclamo della
B. – per come trascritta in ricorso -, che “applicando una riduzione
proporzionale tra i due gruppi (…), la riduzione dei lavoratori avrebbe
dovuto riguardare tre unità per il Io e IIo livello e sette unità per il III° e
IV° livello, sicché la medesima non avrebbe dovuto essere licenziata, essendole
stata attribuita la posizione numero 8 del gruppo lavorativo interessato”,
in quanto l’affermazione in questione è fondata su una mera congettura circa la
ripartizione tra i due gruppi del personale da licenziare, in difetto,
peraltro, di precisazione circa l’effettiva portata della posizione in graduatoria
della lavoratrice (potendo il numero 8 anche indicare il terzo lavoratore da
licenziare, ove la graduatoria fosse stata stilata inserendo nella prima
posizione il lavoratore con maggior punteggio);

del pari, la mera affermazione, contenuta nel ricorso
per cassazione proposto dal T., che ove il datore di lavoro avesse redatto le
graduatorie includendo anche i dipendenti del 1° e del 11° livello, mantenendo
lo stesso numero di 10 licenziati tra gli amministrativi, certamente il
lavoratore non sarebbe stato licenziato, non può assumere, al riguardo, alcun
concreto rilievo;

le spese del giudizio, liquidate come in
dispositivo, seguono la soccombenza (con conseguente rigetto della richiesta
formulata con il quinto motivo);

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte di ciascun ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio, liquidate in € 4.500,00 per compensi e in
euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge. Ai
sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di ciascun
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo
13, se dovuto.

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