In caso di codatorialità, nella procedura di riduzione del personale i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare vanno applicati in riferimento alla struttura aziendale unitariamente intesa; la dichiarazione di mobilità si estende anche ai lavoratori non oggetto di integrazione salariale; spetta al datore di lavoro provare l’aliunde perceptum o percipiendi e non rileva la collocazione temporale delle attività svolte dal dipendente licenziato nel periodo di estromissione.

Nota a Cass. (ord.) 24 marzo 2022, n. 9683

Maria Novella Bettini

Dalla configurabilità in concreto di un unico soggetto datoriale discende la necessità che la procedura collettiva attivata da una società coinvolga anche i lavoratori in organico dell’altra società integrata nel gruppo, con conseguente applicazione dei criteri di scelta rispetto all’intero e unitario complesso aziendale.

Così, la Corte di Cassazione (in linea con il consolidato orientamento di legittimità. V. tra le altre, Cass. n. 19105/2017; Cass. n. 18190/2016), la quale, al pari della Corte di merito (App. Cagliari 9 febbraio 2021), ha ritenuto che gli elementi di collegamento fra due società di navigazione aerea (A.I. – già M.F.- s.p.a. e A.I.F.M.C. s.p.a.) avessero travalicato, per caratteristiche e finalità, le connotazioni di una mera sinergia fra consociate per sconfinare in una compenetrazione di mezzi e di attività, sintomatica della sostanziale unicità soggettiva della struttura aziendale, con ciò valorizzando la mera apparenza della pluralità di soggetti giuridici a fronte di un’unica sottostante organizzazione di impresa, intesa come unico centro decisionale (v. Cass. n. 1507/2021; Cass. n. 267/2019, annotata da A. TAGLIAMONTE in q. sito e da M. MOCELLA, in LG, 2019, 936, Gruppi e reti d’impresa, codatorialità e cessazione del rapporto di lavoro; Cass. n. 7704/2018, in q. sito con nota di A. LARDARO; Cass. n. 4274/2003; Cass. n. 11275/2000).

Nel dettaglio il giudice di merito aveva rilevato: “l’assegnazione di quasi tutta la operatività di volo da M.F. ad A.I., che l’aveva gestita mediante anomali contratti cd. di wet lease su tratte e bande orarie della prima sostenendo direttamente i costi necessari; l’utilizzo da parte di A.I. di slot facenti capo a Meridiana; la stipula di un contratto tra M.F. e A.I. con il quale la prima si impegnava a prestare a A.I. i servizi di gestione amministrativa e finanziaria inclusi gli adempimenti civilistici e fiscali, il controllo di gestione, compresa la pianificazione economica, finanziaria e patrimoniale, l’analisi preventiva e consuntiva per gli investimenti, la gestione del personale e delle relazioni industriali; l’utilizzazione da parte di A.I. di personale proveniente da M.F., attraverso l’istituto del distacco e mediante job posting, cioè l’assunzione ex novo previa risoluzione del contratto con M.F.; l’utilizzo da parte di A.I. di equipaggi misti; la dichiarata finalizzazione di tutta l’operazione alla riduzione del costo del lavoro)”

Secondo la Cassazione, l’accertamento fattuale che sorregge la decisione impugnata (in merito alla compenetrazione tra le strutture aziendali formalmente facenti capo a distinte società, e che implica la riferibilità della prestazione di lavoro ad un soggetto sostanzialmente unitario) consente di superare il dato formale rappresentato dal titolo giuridico in base al quale i dipendenti di M.F. venivano utilizzati da A.I., vale a dire il distacco ed il ricorso al job posting. e risponde al principio di effettività, che permea il diritto del lavoro e che trova espressione in numerose disposizioni normative (v., oltre che l’art. 2094 c.c., gli artt. 27, 29 e 30, D.LGS. n. 276/2003 e succ. modif. e l’art. 8, L. n. 223/1991). L’attività dei lavoratori deve dunque “ritenersi prestata nell’interesse – indifferenziato – delle due società solo formalmente distinte”.

La Corte ha altresì ribadito:

– il principio secondo cui la procedura per la dichiarazione di mobilità ex art. 4, L. n. 223/1991 (propedeutica all’adozione dei licenziamenti collettivi), al fine di consentire la verifica dell’effettiva necessità di porre fine ad una serie di rapporti di lavoro in situazioni di sofferenza dell’impresa, abbraccia l’impresa nel suo complesso e “può estendersi anche a posizioni lavorative che, al momento, non risultano comprese nel trattamento di integrazione salariale, con la conseguenza che la prospettiva di mobilità, rimettendo in discussione gli equilibri complessivi dell’azienda, coinvolge tutte le posizioni lavorative, senza che sia configurabile, quindi, una necessaria coincidenza tra collocandi in mobilità e lavoratori sospesi in cassa integrazione guadagni straordinaria, ciò in specie ove si verifichino sopravvenienze rispetto alle situazioni che determinarono l’esubero del personale sospeso” (v. Cass. n. 14800/2019; n. 10591/2005);

–  la sussistenza di un onere, a carico del datore di lavoro “che contesti la pretesa risarcitoria del lavoratore illegittimamente licenziato, di provare, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, l’aliunde perceptum o percipiendi, a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall’azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l’onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito” (Cass. n. 22679/2018; n. 9616/2015; n. 23226/2010);

l’irrilevanza della collocazione temporale della o delle attività lavorative svolte dal dipendente licenziato nel periodo di estromissione, “trattandosi di elemento in nessun modo desumibile dalla disposizione in esame e non coerente con il principio della compensatio lucri cum damno, di cui l’aliunde perceptum e percipiendi costituiscono applicazione, che presuppone una valutazione complessiva sia del danno e sia dell’incremento patrimoniale, causalmente ricollegabili al medesimo fatto illecito” (v. Cass., S.U., 22 maggio 2018, nn. 12564, 12565, 12566, 12567 e Cass. n. 16702/2020; Cass. n. 7453/2005; e n. 2529/2003).

Le somme aliunde percepite o percepibili dal lavoratore nel periodo di estromissione vanno quindi sottratte (ex art. 18, co.4, Stat. Lav., come riformulato dalla L. n. 92 del 2012), mediante un semplice calcolo aritmetico, dall’ammontare complessivo del danno subito per effetto del recesso e pari alle retribuzioni spettanti per l’intero periodo dal licenziamento alla reintegra; qualora il risultato di questo calcolo sia superiore o uguale all’importo corrispondente a dodici mensilità di retribuzione, l’indennità va riconosciuta in misura pari a tale tetto massimo. “In altri termini, la previsione normativa del tetto massimo delle dodici mensilità non incide sul sistema di calcolo del danno effettivamente subito dal lavoratore per effetto del licenziamento (pari alle retribuzioni perse nel periodo di estromissione, depurate di quanto aliunde percepito o percepibile) e rileva solo all’esito del conteggio eseguito, in termini di limite massimo entro cui l’indennità risarcitoria può essere riconosciuta” (Cass. 7 febbraio 2022, n. 3824, in q. sito con nota di D. MAGRIS, e n. 3825, in motivaz.).

Codatorialità e licenziamenti collettivi
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