Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 maggio 2022, n. 13984

Licenziamento per giusta causa, Assenza ingiustificata del
lavoratore, Sussistenza della malattia, Accertamento

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Brescia, in riforma della
sentenza del Tribunale della medesima sede, ha – con sentenza n. 342 depositata
il 16.9.2019 – respinto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta
causa intimato da I.M. s.r.l., in data 30.6.2017, a M.R., per assenza
ingiustificata protratta dal 29.5.2017 al 6.6.2017.

2. La Corte di appello, premessa la nozione di
malattia e gli oneri di comunicazione che incombono sul lavoratore in caso di
impossibilità di rendere la prestazione e richiamato l’orientamento
giurisprudenziale elaborato in materia di conflitto di certificati medici, ha
rilevato che doveva considerarsi, ai fini della giustificazione dell’assenza
dal posto di lavoro, il certificato rilasciato al R. dal medico curante in data
24.5.2017 (il quale prevedeva una prognosi più circoscritta, ossia fino al
28.5.2017, rispetto a quella riportata nel certificato del Pronto Soccorso
dell’ospedale di Montichiari, che ricopriva il più ampio periodo 23.5.2017 –
6.6.2017) in quanto emesso in data successiva a quello del Pronto Soccorso e
quindi frutto di una nuova valutazione del grado di inabilità al lavoro
effettuata da professionista che già aveva in cura il R. (essendo il suo medico
di base) e alla quale nulla aveva obiettato il paziente;

considerato, inoltre, che la successiva
certificazione (prodotta al datore di lavoro) attestava l’esistenza di una
malattia “iniziata” il 7.6.2017 (e non “continuata”), risultava privo di
giustificazione il periodo dal 29.5.2017 al 6.6.2017, con conseguente
sussistenza di una giusta causa di licenziamento.

3. Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore
ha proposto ricorso affidato a tre motivi. La società ha resistito con
controricorso, illustrato da memoria.

4. Il Procuratore generale ha chiesto
l’inammissibilità, e in subordine, il rigetto del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ex
art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ., violazione o falsa
applicazione degli artt. 2106, 2119, 2110 cod.civ. per omessa considerazione
della sussistenza dello stato di malattia e dell’assenza di proporzionalità
della sanzione nonché omessa esame circa un fatto decisivo circa l’assenza di
un comportamento inadempiente del lavoratore.

Invero, nell’individuare la giusta causa di
licenziamento si deve escludere l’operatività di automatismi, sicché non basta
la presenza oggettiva dell’assenza ma deve essere sempre valutata la condotta
del lavoratore, la sua responsabilità e i riflessi che si riverberano sulla
conservazione del vincolo fiduciario.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ex
art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ., violazione o falsa
applicazione degli artt. 115, 116, 421, 437 cod.proc.civ. per omessa
autorizzazione alla produzione di documenti decisivi nonché per omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione di un fatto decisivo consistente
nella reale sussistenza della malattia, avendo, il ricorrente, sin dal primo
grado di giudizio, richiesto di depositare relazione medico legale attestante
la malattia conseguente all’aggressione subìta nonché querela sporta anche dal
R.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia, ex
art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ., violazione o falsa
applicazione degli artt. 115, 116 cod.proc.civ. e 111 Cost. per avere, la Corte
territoriale, negato la possibilità di provare, tramite prova testimoniale, le
circostanze di fatto a sostegno della domanda e per omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per
giudizio.

4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

4.1. Deve, in primo luogo, rimarcarsi che, in tema
di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di
legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura
è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso
proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa,
ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o
contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto
che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698;
Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).

4.2. Nella specie è evidente che il ricorrente
lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o
contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà,
non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla
norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art.
360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì un vizio-motivo, da valutare alla
stregua del novellato art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ., che – nella
versione ratione temporis applicabile – lo circoscrive all’omesso esame di un
fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014),
riducendo al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità
sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).

4.3. Invero, come questa Corte ha affermato,
l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c.
compiuta dal giudice di merito – mediante la valorizzazione o di principi che
la stessa disposizione richiama o di fattori esterni relativi alla coscienza
generale ovvero di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare
dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva
appunto, in cui si colloca la fattispecie – “è sindacabile in Cassazione a
condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede
di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma
contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio
rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella
realtà sociale (cfr. Cass. n. 13534 del 2019; nello stesso senso, Cass. n. 985
del 2017; Cass. n. 5095 del 2011; Cass. n. 9266 del 2005).

4.4. L’accertamento della concreta ricorrenza, nella
fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro
normativo e sue specificazioni e della loro attitudine a costituire giusta
causa di licenziamento opera sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato
al giudice di merito.

4.5. Solamente l’integrazione a livello generale e
astratto della clausola generale si colloca sul piano normativo e consente una
censura per violazione di legge; invece, l’applicazione in concreto del più
specifico canone integrativo così ricostruito, rientra nella valutazione di
fatto devoluta al giudice del merito, “ossia il fattuale riconoscimento
della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e
astratta”, spettando inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni
valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria
ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi
normativa” (in termini Cass. n. 18247 del 2009 e Cass. n. 7838 del 2005).

4.6. La parte ricorrente, per ottenere la cassazione
della sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di sussunzione, non può
limitarsi ad invocare una diversa combinazione dei parametri ovvero un diverso
peso specifico di ciascuno di essi (perché in tal modo trasmoderebbe nella
revisione dell’accertamento di fatto, di competenza del giudice di merito), ma
deve piuttosto denunciare che la combinazione e il peso dei dati fattuali (gravità
dei fatti addebitati, portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, circostanze
in cui sono state commessi, intensità dell’elemento intenzionale, etc.), così
come definito dal giudice del merito, non consente comunque la riconduzione
alla nozione legale di giusta causa di licenziamento (cfr. Cass. n. 18715 del
2016); il giudice di legittimità, invero, non può, “sostituirsi al giudice
del merito nell’attività di riempimento dei concetti giuridici indeterminati
… se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza”; “il
sindacato di legittimità sulla ragionevolezza è, quindi, non relativo alla
motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella
norma generale, quale sua concretizzazione” (così Cass. SS.UU. n. 23287
del 2010).

4.7. Nel caso di specie, la Corte territoriale,
premesso che per malattia deve intendersi quell’alterazione dello stato
psico-fisico che determina una concreta e attuale inabilità al lavoro, ha
esaminato il susseguirsi degli eventi (l’invio al datore di lavoro dapprima del
certificato del 24.5.2017 del medico di base con prognosi sino al 28.5.2017;
poi del certificato del Pronto Soccorso, rilasciato in data precedente, con
prognosi sino al 6.6.2017; infine, l’ulteriore certificato del medico di base,
con indicazione dell’ “inizio” di una malattia dal 7.6.2017), ha valutato i
certificati medici relativi al ricorrente ed il loro contenuto, ed ha accertato
che per il periodo 29.5.2017-6.6.2017 non era stata fornita giustificazione, al
datore di lavoro, dell’assenza sul posto di lavoro. Evidentemente si tratta di
una ricostruzione della vicenda storica effettuata dai giudici del merito cui
esclusivamente compete e che è invece criticata da parte ricorrente mutando il
“narrato” della sentenza impugnata, che è invece intangibile in
questa sede.

4.8. Quanto alla censura di omesso esame di un fatto
decisivo, è orientamento consolidato quello secondo cui è denunciabile in
Cassazione – secondo il diverso paradigma impugnatorio previsto nel n. 5,
dell’art. 360 c.p.c., come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b) del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge
7 agosto 2012, n. 134 – solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in
violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente
all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della
sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali
(Cass. S.U. n. 8053 del 2014), profilo non denunciato né ricorrente in questa
sede, essendo, invece, la censura sostanzialmente intesa a sollecitare una
rivisitazione del merito della vicenda e a contestazione la valutazione
probatoria operata dalla Corte territoriale.

5. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono
inammissibili.

5.1. In tema di valutazione delle prove, il
principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116
c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile
in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette
regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o
falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere
censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di
motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, primo comma, n. 5,
c.p.c. (tra le altre v. Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 4699 e 26769 del
2018; Cass. n. 1229 del 2019; v., da ultimo, pure Cass. n. 24395 del 2020),
profili – come detto – non denunciati.

5.2. Invero, la dedotta violazione dell’art. 115
c.p.c. non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia
valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di
convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il
giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e
disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un
potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass., Sez. U, n.
11892/2016, Cass. Sez.U. n. 20867 del 2020).

5.3. La violazione dell’art. 116 c.p.c. è, poi,
configurabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o,
comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa
indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”,
pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il
legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad
esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una
specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo
il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha
solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la
censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5,
c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di
legittimità sui vizi di motivazione (cfr. Cass. Sez.U. n. 11892 del 2016, Cass.
Sez.U. n. 20867 del 2020, nonché, ex plurimis, Cass. n. 13960 del 2014).

6. In conclusione, il ricorso va dichiarato
inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato
dall’art. 91 cod.proc.civ.

7. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,
comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17
(legge di stabilità 2013), ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in
euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre
spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 maggio 2022, n. 13984
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