Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 maggio 2022, n. 15552

Riduzione dell’orario di lavoro, Mancato rispetto del minimo
contributivo, Verbale ispettivo INPS e INAIL, Opposizione, Difetto di forma
scritta ad substantiam

Rilevato che

 

1. con sentenza del 14 febbraio 2020, la Corte
d’appello di Campobasso ha rigettato l’appello di L.A. – Impianti Tecnologici
s.r.l. avverso la sentenza di primo grado di reiezione, nel contraddittorio con
Inail e Inps, della sua opposizione al verbale ispettivo n. 000637622/DDL del
23 marzo 2016, per addebiti relativi a riduzione dell’orario di lavoro del
personale impiegato, in violazione delle regole relative al minimale
contributivo;

2. essa ha condiviso le argomentazioni del
Tribunale, di inesistenza di un regolare rapporto part-time, comportante una
riproporzione della contribuzione alle ore effettive di prestazione lavorativa
dei dipendenti: in difetto di forma scritta, prevista ad substantiam per il
contratto di lavoro a tempo parziale dall’art. 5 d.l. 726/84 conv. in I.
863/84, applicabile ratione temporis: con ciò ritenuta assorbita la censura di
non ammissione della prova orale dedotta;

3. con atto notificato il 19 ottobre 2020 la società
ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui hanno resistito Inail e
Inps con distinti controricorsi.

 

Considerato che

 

1. la ricorrente deduce nullità della sentenza in
violazione degli artt. 111 Cost., 112, 113, 132, n. 4 c.p.c., 118 disp. att.
c.p.c., per motivazione apparente in quanto riferita a questione (trasformazione
dei rapporti di lavoro da full time a part time) diversa da quella devoluta, in
particolare con il primo motivo d’appello (violazione dell’art. 1, primo comma
d.l. 338/89, per applicazione delle regole sul minimale contributivo a fattispecie
estranea, avendo il ricorrente determinato la contribuzione in base al
parametro della retribuzione giornaliera corrisposta) (primo motivo);

2. esso è infondato;

3. non sussiste la motivazione apparente denunciata,
che ricorre quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui
abbia tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita
loro disamina logica né giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni
controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, così da non
attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art.
111, sesto comma Cost. (Cass. 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. 30 giugno 2020, n.
13248): la Corte territoriale ha, infatti, esattamente riportato la questione
devolutale (esposta dal primo capoverso di pg. 3 al primo di pg. 4 della
sentenza), cui ha risposto con argomentazione congrua (agli ultimi due
capoversi di pg. 5 della sentenza);

4. la ricorrente deduce omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la
corresponsione dalla società a tutti i propri dipendenti di una retribuzione
giornaliera corrispondente a quella del CCNL e di versamento all’Inps di una
contribuzione coerente con essa (secondo motivo);

5. esso è inammissibile;

6. nell’ipotesi di doppia conforme, prevista
dall’art. 348ter, quinto comma c.p.c., applicabile ratione temporis, il
ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo dedotto ai
sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., deve indicare le
ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado
e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro
diverse (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994);
tuttavia, il ricorrente di ciò non si è dato carico, pur sussistendo una tale
ipotesi nel caso di specie, come si evince dalle ragioni illustrate dalla Corte
territoriale, in piena condivisione con il Tribunale (dal quarto capoverso di
pg. 5 al terz’ultimo di pg. 7 della sentenza);

7. la ricorrente deduce infine violazione e falsa
applicazione dell’art. 1, primo comma d.l. 338/89, per avere la Corte
territoriale applicato le regole del minimale contributivo, avendo invece ella
correttamente determinato la contribuzione dovuta in misura corrispondente alla
retribuzione giornaliera corrisposta ai propri dipendenti secondo le previsioni
del CCNL di categoria, essendo poi rimesso alla negoziazione dell’orario di
lavoro all’autonomia delle parti (terzo motivo);

8. esso è infondato;

9. nell’insegnamento di questa Corte è consolidato
il principio per il quale, qualora la sospensione del rapporto derivi da una
libera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato di un accordo tra
le parti, continui a permanere intatto l’obbligo retributivo, dovendosi
escludere, in assenza di una identità di ratio tra detta situazione e quelle in
cui sia invece la legge ad imporre al datore di lavoro la sospensione del
rapporto, la possibilità di un’interpretazione estensiva o comunque analogica,
e ciò tanto più avendo la disposizione natura eccezionale e regolando
espressamente la possibilità e le modalità di un ampliamento dei casi d’esonero
da contribuzione, esclusivamente mediante decreti interministeriali (Cass. 18
febbraio 2019, n. 4690, con citazione di precedenti in motivazione; Cass. 3
agosto 2021, n. 22178): a fortiori, qualora, come nel caso di specie, la
riduzione oraria, e la correlativa minor contribuzione, sia unilateralmente
decisa dal datore di lavoro, in assenza (prima ancora del consenso dei
lavoratori interessati) di forma scritta, prevista ad substantiam dall’art. 5
d.l. 726/84 conv. in I. 863/84 (Cass. 11 dicembre 2014, n. 26109; Cass. 19
gennaio 2018, n. 1375; Cass. 30 maggio 2019, n. 14797);

9.1. inoltre, dopo l’arresto delle Sezioni Unite n.
11199 del 29 luglio 2002, la giurisprudenza di questa Corte si è consolidata
nel senso che l’importo della retribuzione, da assumere come base di calcolo
dei contributi previdenziali, non possa essere inferiore all’importo di quella
che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei
contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative
su base nazionale (c.d. “minimale contributivo”), operante sia con
riferimento all’ammontare della retribuzione c.d. contributiva, sia con
riferimento all’orario di lavoro da prendere a parametro, che dev’essere
l’orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva o dal
contratto individuale se superiore: essendo evidente che, se ai lavoratori
siano retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e su
tale retribuzione calcolata la contribuzione, non vi possa essere il rispetto
del minimo contributivo nei termini sopra rappresentati (Cass. 3 giugno 2019,
n. 15120; Cass. 21 ottobre 2020, n. 22986; Cass. 8 febbraio 2022, n. 3979);

10. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con
regolazione delle spese di giudizio secondo il regime di soccombenza e
raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei
presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20
settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna la società alla
rifusione, in favore delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio,
che liquida per ciascuna in € 200,00 per esborsi e € 3.500,00 per compensi
professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

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