Con due risposte ad interpello sul regime forfetario l’Agenzia delle entrate ha chiarito che può applicare detto regime:

i. il medico titolare di un contratto co.co.co.;

ii. il soggetto residente in uno Stato membro UE, purché produca in Italia redditi che costituiscono almeno il 75% del reddito complessivamente prodotto. 

Nota a AdE Risposte 7 luglio 2021, n. 463 e  28 luglio 2021, n. 519 

Francesco Palladino

L’Agenzia delle entrate, con le Risposte in oggetto, è tornata a fornire talune delucidazioni sul regime forfetario.

Come noto, questo regime si connota per essere un meccanismo di tassazione vantaggioso in termini tanto di carico fiscale (si sostanzia, infatti, in una tassazione particolarmente contenuta del 15% di norma, ovvero del 5% in taluni specifici casi), quanto di adempimenti, applicabile dalle persone fisiche in presenza di talune specifiche condizioni. In dettaglio, oltre a non aver conseguito ricavi o compensi nel periodo di imposta precedente in misura superiore alla soglia di 65.000 euro, non possono avvalersi del regime forfetario:

  • i soggetti non residenti, ad eccezione di quelli residenti in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in uno Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo che assicuri un adeguato scambio di informazioni, se producono nel territorio dello Stato italiano redditi che costituiscono almeno il 75% del loro reddito complessivo [lett. b) del co. 57, dell’art. 1, della L. n. 190/2014];
  • gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano, contemporaneamente all’esercizio dell’attività, a società di persone, ad associazioni o a imprese familiari di cui all’articolo 5 del TUIR, ovvero che controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dagli esercenti attività d’impresa, arti o professioni [lett. d) del co. 57, dell’art. 1, della L. n. 190/2014];
  • i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui rispettivamente agli 49 e 50 del TUIR, eccedenti l’importo di 30.000 euro; la verifica  di  tale  soglia  è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato [lett. d-ter) del co. 57, dell’art. 1, della L. n. 190/2014].

Il dubbio alla base della Risposta n. 463/2021 riguardava la possibilità di applicare il regime in esame al reddito percepito da medici, in esecuzione di contratti collaborazione coordinata e continuativa, stipulati con un Ministero. In particolare, si discuteva se tali redditi fossero o meno riconducibili al reddito di lavoro autonomo dei medici che sottoscrivevano tali contratti.

L’Agenzia delle entrate ha ritenuto che, in base alle circostanze descritte nell’interpello, fosse evidente che l’attività oggetto del contratto di collaborazione coordinata e continuativa rientrasse nell’oggetto tipico dell’attività di lavoro autonomo esercitata dai medici e, pertanto, i relativi compensi, ai sensi dell’art. 50, co. 1, lett. c-bis), ultima parte, del TUIR, costituissero, per il percipiente, redditi di natura professionale, fiscalmente rilevanti ai sensi dell’art. 53, co. 1, del TUIR.

Di conseguenza, a parere dell’Agenzia delle entrate, i medici titolari di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con un Ministero, a patto che attestassero il rispetto delle condizioni richieste dal Legislatore per la fruizione del cd. regime forfetario, potevano beneficiare del regime forfetario e, di conseguenza, il Ministero non avrebbe dovuto applicare loro la ritenuta di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 600/1973. Per quanto concerne, infine, le ritenute già subite, l’Ufficio ha ritenuto che le stesse potessero essere recuperate dai medici in sede di dichiarazione annuale ovvero chieste a rimborso.

Alla base della Risposta n. 519/2021, vi era, invece, un soggetto che aveva trasferito la propria residenza dall’Italia in uno Stato membro dell’Unione Europea e da lì aveva continuato a svolgere la propria professione prevalentemente in Italia. L’istante riteneva di avere diritto ad optare per il regime forfetario, atteso che ai sensi della lett. b) del co. 57, dell’art. 1, della L. n. 190/2014, possono avvalersi di tale regime i cittadini che risiedono in uno degli Stati dell’UE che producono in Italia almeno il 75% del reddito complessivamente prodotto. Per l’Agenzia è stato, dunque, rilevante ai fini dell’ammissione al regime forfetario il fatto che il contribuente istante, benché non residente, producesse in Italia la maggior parte del suo reddito.

Regime forfetario: ancora chiarimenti dell’Agenzia delle entrate
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