I dirigenti a termine beneficiano delle tutele sull’abusiva reiterazione dei contratti

Nota a Cass. 26 aprile 2022, n. 13066

Maria Novella Bettini e Fabrizio Girolami

 

La Corte di Cassazione (26 aprile 2022, n. 13066) accoglie il ricorso di un dirigente farmacista (nei confronti della ASL di Grosseto) per abusiva reiterazione del contratto a termine stipulato ai sensi dell’art. 15-septies, co. 2, D.LGS. n. 502/1992, affermando una serie di principi di particolare rilievo. I giudici, rilevano, infatti, che:

– Il legislatore (D.LGS. n. 502/1992 e successive mod. ed integrazioni) ha previsto una particolare forma di reclutamento con contratto a tempo determinato di dirigenti (di alta qualificazione e provata competenza). Tale contratto deroga, in presenza delle specifiche condizioni richieste, alla regola generale del necessario espletamento del concorso per l’instaurazione del rapporto di pubblico impiego, ma deve essere temporaneo, limitatamente rinnovabile.

– Il rapporto che si instaura (ex art. 15-septies, D.LGS. n. 502/1992) fra il dirigente e l’Azienda del Servizio Sanitario Nazionale è un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale a tutti gli effetti (e non regolato, quindi, dall’art. 2222 c. c.) al quale, in ragione delle particolari modalità di reclutamento, si può fare ricorso solo in presenza di esigenze funzionali di carattere non ordinario, nei limiti massimi stabiliti dal legislatore e nel rispetto della necessaria temporaneità (Cass. n. 11008/2020 e Cass. n. 4177/2021). Ciò, diversamente dal rapporto a tempo indeterminato, che si costituisce all’esito del superamento della procedura concorsuale, sul quale si innesta l’incarico temporaneo (in quanto, come noto, “la qualifica dirigenziale non esprime una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale del dipendente – che tale qualifica ha acquisito mediante contratto di lavoro stipulato all’esito della procedura concorsuale – a svolgerle concretamente per effetto del conferimento, a termine, di un incarico dirigenziale” – v. Cass. n. 8674/2018).

La peculiare relazione lavorativa a tempo determinato esaminata dalla Cassazione:

  1. si pone in rapporto di specialità rispetto alle previsioni contenute nell’art. 36, D.LGS. n. 165/2001, introducendo una “disciplina in sé compiuta, che fissa le condizioni per il ricorso alla tipologia contrattuale, i necessari requisiti soggettivi richiesti ai fini dell’assunzione, la durata minima e massima del rapporto, la facoltà di rinnovo, i limiti percentuali rispetto all’organico dell’azienda, sicché la stessa non si presta ad essere integrata con la normativa generale prevista per le assunzioni a termine, sulla quale prevale in ragione del carattere di specialità”;
  2. rientra nell’ambito di applicazione della Direttiva 1999/70/CE e dell’Accordo Quadro (clausola 5) ad essa allegato. Sicché, come ha specificato la Corte di Giustizia UE “l’obbligo di organizzare il servizio in modo da assicurare un costante adeguamento tra l’organico del personale ed il numero degli assistiti può costituire una ragione oggettiva che giustifica, il ricorso ad una successione di contratti a tempo determinato” (punto 74, CGUE19 marzo 2020,cause riunite C- 103/18 e C- 429/18), purché il rinnovo non sia finalizzato alla “realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti nel servizio sanitario che appartengono alla normale attività del servizio ospedaliero ordinario” (punto 75, che richiama CGUE 14 settembre 2016, C-16/15). Ne consegue che il rinnovo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi deve mirare a soddisfare esigenze provvisorie, e non permanenti e durevoli del datore di lavoro (v. clausola 5, punto 1, lett. a) e sentenza CGUE 14 settembre 2016, C-16/15, cit., punto 49).
  3. deve, pertanto, essere connotata da temporaneità e non essere utilizzata per soddisfare un’esigenza permanente dell’amministrazione pubblica, (che sarebbe esclusa nel caso di più rinnovi, seppur contenuti nel limite massimo decennale, come nel caso di specie, in cui il contratto è stato rinnovato per ben 5 volte per una durata di un decennio, sempre per le stesse mansioni e nella medesima struttura).
  4. postula limiti minimi e massimi di durata, nel senso che la facoltà di rinnovo, “può essere esercitata solo a condizione che persistano le esigenze temporanee e, quindi, che venga rispettato il limite massimo fissato, il cui superamento sarebbe in sé sintomatico dell’assenza di temporaneità. In altri termini il rinnovo è sì, consentito, ma solo qualora il contratto originario abbia una durata inferiore a quella massima prevista ed il rinnovo interessi il solo periodo residuo”;
  5. si basa sulla stipulazione di contratti che non possono avere come causale la sola necessità di assicurare il servizio sanitario (in quanto a tale esigenza rispondono: a) il contratto a termine “ordinario” nei limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva; b) oppure le c.d. sostituzioni previste dai CCNL 8.6.2000 per le distinte aree della dirigenza medica e della dirigenza sanitaria) – “ma devono essere giustificati dalla contestuale ricorrenza di un requisito oggettivo, che è quello inerente alla particolare rilevanza della funzione (co.1, art. 15-septies, D.LGS. n. 502/199) o dalla specificità dell’esigenza (co.2, art. cit.), e di uno soggettivo, ossia l’acquisizione di una professionalità altamente specializzata, il che implica titoli che vadano oltre quelli normalmente richiesti per l’accesso alla dirigenza”;
  6. comporta in caso di abusiva reiterazione il risarcimento (ex art 32, co.5, L. n. 183/2010) per danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto (v. Cass. S.U. n. 5072/2016).

Legenda

Come noto, l’art. 15 septies, co.1 e 2, D.LGS. n. 502/1992, stabilisce che:

“1. I direttori generali possono conferire incarichi per l’espletamento di funzioni di particolare rilevanza e di interesse strategico mediante la stipula di contratti a tempo determinato e con rapporto di lavoro esclusivo, rispettivamente entro i limiti del due per cento della dotazione organica della dirigenza sanitaria e del due per cento della dotazione organica complessiva degli altri ruoli della dirigenza, fermo restando che, ove le predette percentuali determinino valori non interi, si applica in ogni caso il valore arrotondato per difetto, a laureati di particolare e comprovata qualificazione professionale che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali apicali o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e post-universitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro e che non godano del trattamento di quiescenza. I contratti hanno durata non inferiore a due anni e non superiore a cinque anni, con facoltà di rinnovo (co. mod. dall’art. 4, co. 1, lett. e-bis), D.L. 13 settembre 2012, n. 158).

“2. Le aziende unità sanitarie e le aziende ospedaliere possono stipulare, oltre a quelli previsti dal comma precedente, contratti a tempo determinato, in numero non superiore rispettivamente al cinque per cento della dotazione organica della dirigenza sanitaria, ad esclusione della dirigenza medica, nonché al cinque per cento della dotazione organica della dirigenza professionale, tecnica e amministrativa, fermo restando che, ove le predette percentuali determinino valori non interi, si applica in ogni caso il valore arrotondato per difetto, per l’attribuzione di incarichi di natura dirigenziale, relativi a profili diversi da quello medico, ad esperti di provata competenza che non godano del trattamento di quiescenza e che siano in possesso del diploma di laurea e di specifici requisiti coerenti con le esigenze che determinano il conferimento dell’incarico” (co. modificato dall’art. 4, co. 1, lett. e-ter), n. 158/2012, cit.).

(M. N. Bettini)

***

La Direttiva 1999/70/CE relativa all’Accordo quadro sul lavoro a termine del 18.3.1999 si applica anche ai dirigenti medici cui siano stati conferiti incarichi a tempo determinato, con riconoscimento della tutela risarcitoria in caso di abusiva reiterazione dei contratti.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con sentenza n. 13066 del 26.04.2022, in relazione alla vicenda di abusiva reiterazione del contratto a termine stipulato, ai sensi dell’art. 15-septies, co. 2, D.LGS. 30.12.1992, n. 502, con una lavoratrice, la quale, dal 30.07.2002 al 31.07.2012, aveva ricoperto l’incarico di dirigente farmacista, conferito inizialmente per un biennio e poi prorogato per ben 5 volte fino a coprire l’arco temporale di un decennio, sempre per le stesse mansioni e presso la medesima struttura.

Come noto, tale disposizione (nel testo ratione temporis vigente ai fatti di causa) dispone che i Direttori generali delle A.S.L. possono conferire incarichi per l’espletamento di funzioni di particolare rilevanza e di interesse strategico mediante la stipula di contratti a termine e con rapporto di lavoro esclusivo, entro il limite del 2% della dotazione organica della dirigenza, a laureati di particolare e comprovata qualificazione professionale che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali apicali o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica (desumibile dalla formazione universitaria e post-universitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro) e che non godano del trattamento di quiescenza. I contratti hanno durata non inferiore a 2 anni e non superiore a 5 anni, con facoltà di rinnovo.

Secondo la Cassazione:

  • la clausola 2 dell’Accordo sul lavoro a termine dispone che lo stesso “si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro” e che “Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi ai: a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato; b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici”;
  • la CGUE (cfr. sentenza 16 luglio 2020, causa C-658/18) ha stabilito che “l’accordo quadro si applica all’insieme dei lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li lega al loro datore di lavoro, purché questi siano vincolati da un contratto o da un rapporto di lavoro ai sensi del diritto nazionale, e fatta salva soltanto la discrezionalità conferita agli Stati membri (…) per quanto attiene all’applicazione di quest’ultimo a talune categorie di contratti o di rapporti di lavoro nonché l’esclusione (…) dei lavoratori interinali”;
  • il rapporto dirigenziale, di natura subordinata secondo il diritto nazionale, rientra a pieno titolo nell’ambito applicativo della Direttiva 1999/70;
  • l’art. 15-septies, D.LGS. n. 502/1992 nella parte in cui consente il rinnovo dei contratti a termine con i dirigenti sanitari, va interpretato in modo conforme con la Direttiva 1999/70 che intende contrastare i fenomeni di abusiva reiterazione di contratti a termine. Pertanto, la suddetta facoltà di rinnovo può essere esercitata solo a condizione che persistano le “esigenze temporanee” del datore di lavoro e venga rispettato il limite massimo di durata dell’incarico fissato “il cui superamento sarebbe in sé sintomatico dell’assenza di temporaneità”. In altri termini il rinnovo è consentito, a condizione che il contratto “originario abbia una durata inferiore a quella massima prevista e il rinnovo interessi il solo periodo residuo”;
  • il dirigente medico danneggiato dal ricorso abusivo al contratto a termine – pur non potendo godere della conversione del rapporto a tempo indeterminato – ha diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 36, co. 5, D.LGS. n. 165/2001 (“il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”), in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla CGUE (cfr. ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13). Per la liquidazione di tale danno, il giudice può ricorrere alla fattispecie di cui all’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010 (ora confluita nell’art. 28, co. 2, D.LGS. n. 81/2015), che, come noto, prevede un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R., avuto riguardo ai criteri di cui all’art. 8, L. n. 604/1966 (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’azienda, anzianità di servizio del lavoratore, comportamento e condizioni delle parti).

(F. Girolami)

Illegittima la reiterazione del contratto a termine di dirigente farmacista da parte di una ASL (Cass. n. 13066/2022)
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