Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 maggio 2022, n. 17697

Rapporto di lavoro, Contratto a tempo determinato,
Illegittima apposizione del termine, Violazione artt. 1 e 4, d.lgs. n.
368/2001, Esclusione

Rilevato che

 

1. la Corte di Appello di Reggio Calabria, con la
sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la
domanda introduttiva proposta dai lavoratori in epigrafe volta ad ottenere
l’accertamento della sussistenza di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato
con la L. Spa sin dall’instaurazione risalente al 5 agosto 2009, in ragione
della illegittima apposizione del termine in ciascuno di detti rapporti e/o
delle relative proroghe;

2. in estrema sintesi e per quanto qui ancora
interessa, la Corte ha ritenuto che l’art. 4 del d.lgs. n. 368 del 2001 non
richiedesse per la legittimità della proroga l’esistenza di circostanze
sopravvenute, o comunque non conosciute né conoscibili, da parte del datore di
lavoro, con l’ordinaria diligenza; ha rilevato, poi, come la specificazione
delle ragioni giustificatrici dell’originario termine potesse risultare dal
rinvio per relationem del contratto di lavoro ad altro testo scritto, purché
accessibile alle parti;

3. per la cassazione di tale sentenza hanno proposto
ricorso i soccombenti con 2 motivi; ha resistito con controricorso la società;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo del ricorso si denuncia la
violazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 368/2001, per “illogica, contraddittoria
ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata”, criticando la stessa
per avere escluso, ai fini della legittimità della proroga, la necessità di
circostanze sopravvenute, ovvero di circostanze non prevedibili o conoscibili
con l’ordinaria diligenza, al tempo della stipula del contratto a termine,
ritenendo idonea e sufficiente, a tali fini, l’esistenza di mere ragioni
oggettive capaci di giustificare la prosecuzione del rapporto;

2. con il secondo motivo, deducendo la violazione
dell’art. 1 d.lgs. n. 368/2001 nonché, ancora, illogica, contraddittoria ed
insufficiente motivazione, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per
avere ritenuto la possibilità di motivare l’esistenza di specifiche ragioni
giustificatrici dell’apposizione del termine mediante il rinvio ad altri testi scritti,
purché accessibili alle parti, senza considerare che tale possibilità si
configura solo alle condizioni, entrambe assenti nel caso concreto, che
l’organizzazione d’impresa del datore di lavoro rivesta grandi dimensioni e che
sia stato concordato con le organizzazioni sindacali, o comunque con i
rappresentanti dei lavoratori, un documento in cui siano specificate le ragioni
giustificatrici.

3. i motivi, oltre i profili di inammissibilità
derivanti dal denunciare vizi motivazionali che possono riguardare la
ricostruzione dei fatti ma non certo i pretesi errori di diritto, non meritano
accoglimento per le ragioni già esposte da questa Corte in plurimi precedenti
originati da vicende e ricorsi per cassazione sovrapponibili al presente (Cass.
n. 7317 del 2019; Cass. n. 7316 del 2019; Cass. n. 25490 del 2018; Cass. n.
18469 del 2018; Cass. n. 16152 del 2018; Cass. n. 16151 del 2018), ai quali si
rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c;

3.1. per quanto riguarda la prima censura, i
precedenti richiamati hanno ribadito che l’art. 4 del d.lgs. n. 368/2001,
richiede per la proroga del contratto a termine, a differenza della previgente
disciplina (l. n. 230/1962), la sola esistenza di “ragioni oggettive”
a sostegno della protrazione del rapporto di lavoro e cioè di ragioni il cui
positivo riscontro dipenda unicamente dall’analisi dei dati di realtà, alla
scadenza del termine inizialmente fissato (in tal senso si richiama il
principio stabilito da Cass. n. 1058 del 2016), per cui la sentenza impugnata non
merita le critiche che le vengono mosse sul punto;

3.2. parimenti infondata la seconda doglianza,
atteso che la Corte di merito si è uniformata al consolidato orientamento
secondo il quale tale norma, “richiedendo l’indicazione, da parte del
datore di lavoro, delle ‘specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo”, ha inteso stabilire, in conformità alla Direttiva
1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (sentenza del 23 aprile
2009, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa
C-144/04), un onere di indicazione sufficientemente dettagliata della causale
con riguardo al contenuto, alla sua portata spazio-temporale e, più in
generale, circostanziale, sì da assicurare la trasparenza e la verificabilità
di tali ragioni”; con la conseguenza che detta “specificazione può
risultare anche solo indirettamente nel contratto di lavoro e, per relationem,
da altri testi accessibili alle parti, tra i quali gli accordi collettivi”
(tra molte: Cass. n. 343 del 2015); principio nella cui area di applicabilità
non sono inclusi limiti dimensionali dell’impresa datrice di lavoro,
diversamente da quanto dedotto con il motivo in esame che lo vorrebbe
pertinente alle sole aziende di grandi dimensioni, né restrizioni ai documenti
di natura collettiva, come, d’altra parte, può desumersi dalla stessa massima
citata, la quale, al pari delle molte altre che hanno concorso a formare il
consolidato orientamento ora in esame, richiama espressamente tali documenti a
titolo esemplificativo, ferma la condizione (che peraltro si risolve in una
questione di fatto, non suscettibile di riesame in questa sede di legittimità),
della loro “accessibilità” alle parti del contratto (in termini Cass.
n. 25490 del 2018); si è infatti precisato (cfr. Cass. n. 17155 del 2015,
richiamata da Cass. n. 18469 del 2018) che “l’accertamento sul richiamo ad
altri testi per la specificazione delle ragioni giustificative, sulle finalità
del richiamo e, conseguentemente, sulla accessibilità a tale documentazione,
costituisce attività di indagine riservata al giudice del merito”;

4. conclusivamente il ricorso deve essere respinto;
le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228
del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido
al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per spese,
accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.

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