Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2022, n. 19620

Licenziamento verbale, Valutazione degli elementi probatori,
Indennità risarcitoria

 

Rilevato

 

che J.K. proponeva ricorso, dinanzi al Tribunale di
Firenze, nei confronti della S.r.l. L.R. – sul presupposto della effettiva
imputazione del rapporto di lavoro alla predetta società -, diretto
all’accertamento della nullità del licenziamento verbale allo stesso intimato,
«di fatto, dall’effettivo datore di lavoro in data 12 ottobre 2016»; che, a
sostegno dei propri assunti, rappresentava che la società datoriale «gestiva un
ristorante in Piazza del L.R. chiamato “P.R.”, mentre la diversa
società “GR S.r.l.”, composta dagli stessi soci (E.P., C.C., F.C.),
gestiva il bar-ristorante adiacente, il “G.R.”», presso il quale
ultimo il ricorrente aveva prestato la propria opera dal gennaio al giugno
2011;

che, successivamente, dal giugno 2011 all’ottobre
2016, «aveva lavorato ininterrottamente come cameriere per “L.R.
S.r.l.” presso il locale “P.R.”, con contratti a chiamata o a
tempo determinato anche stipulati con la “GR S.r.l.”, come, in
particolare, l’ultimo in ordine temporale»;

che, inoltre, nell’ottobre 2016, «il
“G.R.” era stato ceduto dalla “GR S.r.l.” ad un’altra
società (“Nuova GR S.r.l.”, nata dalla cessione delle quote sociali
dei tre soci di GR, come documenta il confronto tra le visure camerali allegate
dalle parti…)»;

che, il 12.10.2016, E.P., uno dei soci della S.r.l.
L.R., «aveva comunicato al lavoratore che non avrebbe più potuto prestare la
sua attività lavorativa presso “P.R.” perché il suo contratto di
lavoro intercorreva con “GR S.r.l.” e, stante la dismissione delle
quote sociali in favore della diversa società “Nuova GR”, non vi era
più titolo per K. per prestare servizio presso il ristorante di proprietà della
società “L.R.”»;

che il Tribunale adito, all’esito della fase
sommaria, accoglieva il ricorso, riconoscendo la sussistenza, alla data del
recesso, di un rapporto di lavoro full-time, di fatto, con la convenuta e
ritenendo provato il licenziamento verbale, che dichiarava inefficace;
condannava, quindi, L.R. S.r.l. a riassumere il K., illegittimamente
licenziato, ed a corrispondere al medesimo un’indennità risarcitoria
commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, quantificata in Euro
1.745,03, dalla data del recesso a quella dell’effettiva riassunzione;
pronunzia poi confermata, nella sostanza, dal giudice dell’opposizione, il
quale riduceva soltanto l’importo della retribuzione globale di fatto e
dell’indennità, in considerazione del fatto che il lavoratore, medio tempore,
aveva trovato una nuova occupazione;

che la Corte di Appello di Firenze, con sentenza
pubblicata il 5.9.2018, ha respinto il reclamo proposto dalla S.r.l. L.R.,
sottolineando, tra l’altro, che «… deve ritenersi dimostrato che K. abbia
prestato servizio esclusivamente nel locale “P.R.”, pacificamente
gestito dalla società “L.R. S.r.l.”.

In tal senso depongono, quanto all’ultimo periodo,
gli scontrini emessi dal 22/9/2016 da “P.R.”, dove risulta sempre il
nominativo di K.. … Si deve allora concludere, a conferma di quanto già
ritenuto dai giudici del primo grado, che K., chiamato a effettuare la propria
prestazione lavorativa presso “P.R.”, sotto la direzione della
società “L.R. S.r.l.”, aveva in essere – a prescindere dalla
apparente formalizzazione – un rapporto di lavoro alle esclusive dipendenze
della medesima società reclamante: il rapporto lavorativo deve cioè ritenersi
di fatto costituito in capo all’effettivo utilizzatore (art. 30, comma 4 bis,
d.lgs. n. 276/2003); che per la cassazione della sentenza “L.R.
S.r.l.” ha proposto ricorso articolando tre motivi; che J.K. ha resistito
con controricorso; che il P.G. non ha formulato richieste

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., «la violazione o falsa applicazione di
norme di diritto, in relazione all’art. 2697 c.c.» e si assume che il
lavoratore non avrebbe «assolto all’onere probatorio che incombeva su di lui,
giacché il suo presunto licenziamento verbale, al contrario di quanto sostenuto
dalla Corte Fiorentina, non è stato comprovato», in quanto «il tenore della
conversazione intervenuta il 12 ottobre 2016 tra K. e P., socio di L.R. S.r.l.
e già titolare di parte di quote del capitale sociale di GR S.r.l., non è
certamente quello di un colloquio inequivocabilmente espulsivo …., bensì
meramente informativo circa il nuovo assetto occupazionale del lavoratore,
conseguente al mutato assetto di GR S.r.l.»; 2) in riferimento all’art. 360,
primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art.
2745-bis c.c.; nonché, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.,
l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, e si rappresenta che «è pacifico che il colloquio del
12.10.2016 sia intercorso solo tra il K. ed E.P., socio de L.R. S.r.l. e privo
di cariche amministrative»: circostanza, quest’ultima, «evidenziata e
comprovata per tabulas dalla Società nelle varie fasi del Giudizio con la
produzione della visura camerale (doc. 4 del fascicolo di parte del Giudizio di
opposizione): la stessa perciò aveva eccepito la totale assenza di un potere
datoriale in capo al P., che pertanto non poteva assumere, né tantomeno “licenziare”
nessuno»; 3) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., <<la
violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 18
L. 300/1970», perché «la tutela prevista da questa norma in caso di
licenziamento è applicabile in favore di un lavoratore che abbia effettivamente
perso il posto di lavoro», mentre, «nel corso del Giudizio è emerso con
sufficiente chiarezza che il socio de L.R. S.r.l., P., aveva semplicemente
rappresentato al lavoratore … che la proprietà di GR S.r.l. era passata di
mano e che egli avrebbe dovuto lavorare solo per tale società…»;

che il primo motivo è inammissibile, poiché, in
ordine alla valutazione degli elementi probatori, posto che la stessa è
attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in
Cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del
relativo apprezzamento (nella fattispecie, peraltro, congrua, condivisibile e
scevra da vizi logici), alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di
questa Corte, qualora il ricorrente denunci, in sede di legittimità, l’omessa o
errata valutazione di prove testimoniali (v. le pagg. 9 e 10 del ricorso), ha
l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione,
ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi al fine di consentire il
vaglio di decisività che avrebbe eventualmente dovuto condurre il giudice ad
una diversa pronunzia, con l’attribuzione di una diversa valutazione alle
dichiarazioni testimoniali relativamente alle quali si denunzia il vizio (cfr.,
ex multis, Cass. nn. 17611/2018; 13054/2014; 6023/2009);

che, nel caso di specie, invero, la contestazione
sulla pretesa errata valutazione del «tenore della conversazione intervenuta
tra il K. ed il P.» (v. pag. 10 del ricorso), oggetto di prova testimoniale, si
risolve in una richiesta di riesame di elementi di fatto (cfr. Cass. nn.
24958/2016; 4056/2009), finalizzata ad ottenere una nuova pronuncia sul merito,
certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione
(cfr., ex plurimis, Cass., SS.UU., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014);

che il Collegio ritiene comunque di confermare il
principio di diritto di cui a Cass. n. 13395/2018 («La violazione del precetto
di cui all’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito abbia applicato
la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè
attribuendo l’onus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata
secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza
tra fatti costitutivi ed eccezioni»; conf. Cass. nn. 4241/2018; 15107/2013);

che il secondo motivo è fondato: al riguardo, va
osservato che i giudici di seconda istanza, in ordine alla «qualificabilità in
termini di licenziamento verbale del colloquio intercorso il 12.10.2016 tra il
K. ed il socio de L.R. S.r.l. P.» hanno sbrigativamente concluso «nei termini
cui è giunto il primo giudice», poiché, «data per accertata la riferibilità del
rapporto di lavoro in capo a “L.R. S.r.l.”, le dichiarazioni rese da
uno dei soci (è irrilevante che nel colloquio del 12 ottobre 2016 fossero o
meno presenti più soci) a K. di non recarsi più sul luogo di lavoro dal giorno
successivo sono idonee a configurare una fattispecie di licenziamento orale,
con diritto del lavoratore alla tutela offerta dall’art. 18 Statuto dei
Lavoratori» (v. pag. 6 della sentenza impugnata); ma, a queste conclusioni, la
Corte di merito è pervenuta senza verificare se il P. fosse un semplice socio o
se avesse cariche amministrative, o almeno una delega di poteri, che gli
conferissero una effettiva posizione gestionale (v. artt. 2475 e 2745-bis del
codice di rito);

che le conclusioni cui è giunta la Corte
territoriale non tengono neppure conto della circostanza che la S.r.l. L.R.
aveva sottolineato, nei gradi di merito, che il P., unico socio presente al
colloquio del 12.10.2016 (v. pure pag. 7 del ricorso), senza alcuna carica
amministrativa fosse privo di poteri datoriali e che, dunque, non avesse alcun
potere, né delega, in ordine all’assunzione o al licenziamento del personale;
al proposito, a pag. 10 del ricorso, la società datrice ribadisce di avere
provato per tabulas la detta circostanza attraverso la produzione della visura
camerale (docc. 4 e 6 del fascicolo di parte del giudizio di opposizione), e
che la stessa è altresì corroborata dalla registrazione della conversazione di
cui si tratta, prodotta dal lavoratore, durante la quale il P. ha invitato il
K. a «parlarne con C. (C., legale rappresentante della società)»; ma, di tutto
ciò, non vi è riscontro nella sentenza oggetto del presente giudizio; che il
terzo motivo è inammissibile, poiché, sotto l’apparente deduzione del vizio di
violazione o falsa applicazione di legge, mira, in realtà, ad una rivalutazione
dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass., SS.UU.,
27.12.2019, n. 34476);

che, dunque, per tutte le considerazioni innanzi
svolte, la sentenza va cassata, in relazione al secondo motivo – dichiarati
inammissibili il primo ed il terzo -, con rinvio della causa alla Corte di
Appello di Firenze, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore
esame del merito, a quanto specificato in motivazione, provvedendo altresì alla
liquidazione delle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 385,
terzo comma, c.p.c..

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara
inammissibili il primo ed il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata, in
relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Appello di Firenze, in
diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di
legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2022, n. 19620
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