Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2022, n. 21470

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Violazione
dell’obbligo di repêchage, Onere della prova, Tutela

Rilevato che

 

1. la Corte di Appello di Brescia, con la sentenza
impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege
n. 92 del 2012, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato
risolto il rapporto di lavoro con effetto della data del licenziamento per
giustificato motivo oggettivo intimato a S.M. e condannato M.A. s.r.l. al
pagamento di una indennità pari a 16 mensilità della retribuzione globale di
fatto, oltre accessori e spese;

2. la Corte – per quanto qui ancora rileva – ha
accolto un motivo del reclamo del M., reputando il licenziamento intimato per
la cessazione di un appalto per il servizio di raccolta rifiuti illegittimo per
inadempimento dell’obbligo di repêchage;

sul punto la Corte ha argomentato che: la società,
dopo avere dichiarato che erano state assunte 12 persone a tempo indeterminato,
tramite conferma di lavoratori già in servizio con contratto di lavoro a
termine, stante la cessazione del rapporto di lavoro di altri dipendenti, non
aveva “indicato i dipendenti cessati per pensionamento o dimissioni”; la
società, inoltre, aveva affermato di aver proceduto all’assunzione di soggetti
con un livello di inquadramento inferiore rispetto a quello posseduto dal M.,
ma non risultava che M.A. avesse offerto di assumere il M. con un diverso e
inferiore inquadramento, né risultava che “le mansioni svolte dai soggetti
nuovi assunti non potessero essere svolte dal reclamante, a causa delle
limitazioni prescritte a quest’ultimo”; aggiungeva che il signor M., per la
maggior parte del proprio orario di servizio, “aveva svolto nell’interesse del
proprio datore di lavoro mansioni che non risultavano essere state soppresse in
conseguenza del cambio appalto e che erano compatibili con le prescrizioni
assegnate al reclamante”;

3. dal punto di vista della tutela la Corte ha
negato la tutela reintegratoria, argomentando, sulla scorta di precedenti di
legittimità, che nella specie era indubbio che la società M.A. s.r.l. si fosse
trovata “all’indomani della perdita dell’appalto a dover gestire esuberi di
personale” e che “la perdita dell’appalto, per le modalità in cui esso era
gestito, abbia determinato, in capo alla società reclamata, l’esigenza di dover
riorganizzare il personale non licenziato, il che esclude una chiara
pretestuosità del recesso”;

4. per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso in via principale il M. con un motivo; ha resistito la società con
controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a quattro motivi,
resistito da controricorso del lavoratore;

le parti hanno comunicato memorie;

 

Considerato che

 

1. il motivo di ricorso principale denuncia la
violazione dell’art. 18, co.
4, S.d.L., “avendo la sentenza impugnata escluso la manifesta insussistenza
dell’impossibilità di ricollocare il lavoratore altrove sulla base di
circostanze di fatto che non hanno nulla a che vedere con l’impossibilità di
ricollocare il lavoratore altrove (art. 360, n. 3,
c.p.c.)”; si deduce che “il fatto che la perdita dell’appalto configura
giustificato motivo oggettivo di licenziamento, il fatto che l’azienda si è
trovata a dover gestire esuberi di personale e il fatto che vi era l’esigenza
di dover riorganizzare il personale non licenziato” non avevano nulla a che
vedere con la impossibilità di ricollocare il lavoratore altrove, per cui
avrebbe errato la Corte territoriale ad “assumere quelle circostanze di fatto,
e non altre inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e
al regolare funzionamento di essa, quali fatti giuridici rilevanti ai fini
della valutazione della manifesta insussistenza dell’impossibilità di
ricollocazione altrove”;

2. il primo motivo del ricorso incidentale della
società denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 L. n. 604/1966;
dell’art. 41 Cost.; degli artt. 2697 e 2729 c.c.
e degli art. 115 e 116
c.p.c. (art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.)”; si
critica diffusamente la sentenza impugnata per avere ritenuto non assolto
l’adempimento dell’obbligo di repêchage da parte della società;

lo stesso aspetto viene censurato col secondo mezzo,
con cui si deduce “Violazione e falsa applicazione degli art. 2697 e 2729 c.c.
e degli art. 115 e 116
c.p.c. (art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c.)”,
criticando la sentenza impugnata per avere “errato nel valutare le prove in
atti, non avendo preso in considerazione i documenti prodotti dalla società, né
l’esito dell’istruttoria esperita in primo grado”;

il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia:
“Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt.
1227, 2° comma e 2697 c.c. e dell’art. 18, 5° comma L. n. 300/70
(art. 360 n. 3 e 4)”; si censura la sentenza di
merito per aver violato i princìpi in tema di onere della prova anche con
riferimento alla quantificazione dell’indennità risarcitoria; si eccepisce che
la società doveva solo provare che la società subentrante nell’appalto si era
impegnata ad assumere il sig. M., mentre era “onere di quest’ultimo di provare
di aver richiesto – e tempestivamente – di essere assunto e di aver ricevuto un
rifiuto”; si conclude che la sentenza impugnata avrebbe violato “le norme che
regolano l’onere della prova; l’art. 1227, 2°
comma, che impone al debitore di cercare di evitare o ridurre il danno con l’ordinaria
diligenza e l’art. 18, 5°
comma L. n. 300/70, che impone di considerare, ai fini della determinazione
dell’indennità, anche il comportamento delle parti”;

con l’ultimo motivo si denuncia la violazione e la
falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. per
avere la Corte bresciana condannato la società al pagamento delle spese di lite
nonostante si fosse resa disponibile ad aderire all’ipotesi transattiva
formulata dal giudice, mentre non aveva mai aderito il ricorrente;

3. secondo l’ordine logico-giuridico delle questioni
devono essere esaminati prioritariamente il primo ed il secondo motivo del
ricorso incidentale della società, con cui si contesta la dichiarata illegittimità
del licenziamento per violazione dell’obbligo di repêchage;

essi, esaminabili congiuntamente per connessione,
non meritano accoglimento;

nonostante la dedotta violazione di plurime norme di
legge a mente del n. 3 dell’art. 360 c.p.c.,
peraltro in promiscua commistione con altre ipotesi dello stesso art. 360
c.p.c., nella sostanza si criticano gli apprezzamenti di fatto operati dalla
Corte territoriale in ordine alla sussistenza dell’inadempimento addebitato
alla società;

pertanto le censure sono inammissibili perché
invocano un sindacato estraneo ai limiti del giudizio di legittimità in ordine
alla sussistenza, nella concreta vicenda storica, della violazione dell’obbligo
di repêchage, come conclamato pure dall’inappropriato riferimento alla
violazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., così come all’art. 2697 c.c.;

come di recente ribadito dalle Sezioni unite di
questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione
dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare
che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte
dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della
norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o
contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di
non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla
base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al
di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di
disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare
nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle
parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad
altre); parimenti la pronuncia rammenta che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si
alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza
probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa –
secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e
diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una
differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale),
nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione,
abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente
apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male
esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita
ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.,
nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi individuati da
questa Corte fin da Cass. SS.UU. nn. 8053 e
8054 del 2014 già citate;

per l’altro aspetto, la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai
sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.,
soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad
una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di
scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi
ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il
giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013;
Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella specie parte ricorrente critica, nella
sostanza, l’apprezzamento operato dai giudici del merito circa la mancanza di
prova in ordine all’adempimento dell’obbligo di repêchage, opponendo una diversa
valutazione;

4. una volta confermata l’illegittimità del
licenziamento e venendo alla tutela applicabile, deve essere esaminato l’unico
motivo del ricorso principale con cui il M. aspira alla tutela reintegratoria,
in connessione con il terzo motivo del ricorso incidentale, con il quale la
società lamenta la quantificazione dell’indennità risarcitoria riconosciuta
dalla Corte territoriale;

con la sentenza n. 125
del 19 maggio 2022 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 18,
settimo comma, secondo periodo, della legge n. 300 del 1970, come
modificato dall’art. 1, comma 42,
lettera b), della legge n. 92 del 2012, limitatamente alla parola
«manifesta»;

orbene, anche nel giudizio di cassazione, qualora
sopravvenga dopo la deliberazione della decisione della Corte di Cassazione e
prima della pubblicazione della stessa, la dichiarazione di illegittimità
costituzionale di una norma di legge e tale dichiarazione risulti
potenzialmente condizionante rispetto al contenuto ed al tipo di decisione che
la Corte stessa era chiamata a rendere, sussiste il dovere della Corte di
Cassazione di tenere conto della suddetta dichiarazione, posto che anche il
giudizio di cassazione pende sino a quando la sentenza non sia stata pubblicata
e considerato che le norme dichiarate incostituzionali non possono avere
applicazione dopo la pubblicazione della sentenza della Corte Cost. (Cass. n.
5884 del 1999; Cass. n. 16081 del 2004);

in ragione di ciò il capo della sentenza impugnata
che ha negato la tutela reintegratoria al M. sulla base di un parametro
normativo oramai espunto dall’ordinamento, deve essere cassato, onde consentire
al giudice del rinvio di riconoscere la tutela dovuta secondo il modificato
quadro normativo; ne consegue che non può trovare accoglimento, all’opposto, il
terzo motivo del ricorso incidentale della società;

5. invece il quarto mezzo, con cui la società si
duole di essere stata condannata al pagamento delle spese, è inammissibile;

giusta consolidata giurisprudenza di legittimità, in
tema di spese processuali il sindacato della Corte Suprema è limitato ad
accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non
possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto,
esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di
merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le
spese di lite (v. Cass. n. 26912 del 2020; Cass. n. 18128 del 2020; Cass. n.
24502 del 2017; Cass. n. 15317 del 2013; Cass.
n. 5386 del 2003; Cass. n. 8889 del 2000; Cass. n. 4944 del 1979); in ogni caso
è la decisione di compensazione delle spese giudiziali che deve formare oggetto
di adeguata motivazione, non la decisione del giudice di non procedere a
compensazione, totale o anche soltanto parziale (Cass. n. 10009 del 2003; Cass.
n. 11744 del 2004); né parte ricorrente individua in modo adeguato i fatti
processuali, con l’indicazione degli atti e dei loro contenuti, dai quali
evincere che la Corte avrebbe violato la seconda parte del primo comma dell’art. 91 c.p.c.;

6. in conclusione, deve essere accolto il ricorso
principale e respinto quello incidentale, con cassazione della sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvio alla Corte di Appello di
Brescia, in diversa composizione, che provvederà ad assegnare la tutela dovuta
in conseguenza dell’illegittimo licenziamento, liquidando anche le spese del
giudizio di legittimità;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228
del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art.
13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso
incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e
rinvia alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le
spese.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma
del comma 1 bis dello stesso art.
13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2022, n. 21470
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