Il rifiuto di trasferirsi da parte del lavoratore è lecito qualora il trasferimento sia attuato al fine eludere l’obbligo di reintegrazione.

Nota a Cass. (ord.) 19 maggio 2022, n. 16206

Alfonso Tagliamonte

Il rifiuto del trasferimento da parte del lavoratore (art. 1460 c.c.) è  privo dei caratteri di illiceità e quindi giustificato qualora il giudice del merito riscontri la particolare gravità della condotta datoriale per il ritardo con il quale la società abbia dato esecuzione all’ordine di reintegrazione, “portato da ben due sentenze divenute definitive, e sulla sostanziale elusione del giudicato operata attraverso la ricollocazione del lavoratore in un luogo diverso da quello originario e comunque, in ipotesi di qualificazione di tale ricollocazione come trasferimento, per l’assenza di ragioni giustificative dello stesso, ai sensi dell’art. 2103 c.c.”.

La Corte di Cassazione (ord. 19 maggio 2022, n. 16206) conferma la valutazione di proporzionalità della reazione del lavoratore al comportamento della società, effettuata dalla Corte di Appello di Napoli in seguito al raffronto tra l’inadempimento della società e il rifiuto opposto dal lavoratore. Secondo i giudici, infatti, da tale raffronto, emerge “la obiettiva, speciale, gravità della condotta datoriale sia in quanto sostanziatasi dapprima nella protratta inottemperanza e poi nella sostanziale elusione del comando giudiziale portato da ben due sentenze definitive, sia perché incidente su aspetti di pregnante rilievo esistenziale attinenti al medesimo diritto al lavoro, coperto dalla garanzia costituzionale, ed al luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, corredato dalle garanzie dell’art. 2103 c.c.”.

Elusione dell’obbligo di reintegrazione e trasferimento
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