Il rifiuto del lavoratore all’incremento orario della prestazione lavorativa non può costituire motivo di licenziamento.

Nota a Cass. 18 maggio 2022, n. 15999

Francesco Belmonte

Il rapporto di lavoro trasformato in part-time può essere ricondotto dal datore di lavoro al tempo pieno solo con il consenso del lavoratore. Infatti, il rientro “unilaterale” al full-time (consensuale ovvero per precedenza nelle nuove assunzioni a tempo pieno) è previsto unicamente nell’interesse del lavoratore. Pertanto, il rifiuto del lavoratore alla ritrasformazione del contratto imposta unilateralmente dal datore di lavoro non può dare luogo ad un licenziamento disciplinare.

A stabilirlo è la Cassazione (18 maggio 2022, n. 15999), in relazione ad una controversia concernente la legittimità del licenziamento disciplinare intimato ad una dipendente impiegata nel settore pubblico (nella specie, una Università), che aveva rifiutato la ritrasformazione del rapporto di lavoro da part-time a full-time, imposto dall’Amministrazione.

La Suprema Corte perviene a tali enunciazioni, analizzando l’evoluzione della normativa interna in materia di part-time, uniformatasi, nel tempo, ai principi sovranazionali contenuti nella Dir. 97/81/CE, attuativa dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dalle organizzazioni intercategoriali UNICE, CEEP e CES.

In particolare, la trasformazione del rapporto di lavoro è regolata dall’art. 8, D.LGS. n. 81/2015, il quale dispone, al primo comma, che “il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.

La norma, attua nell’ordinamento interno, la clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro allegato alla Direttiva, in base al quale: “Il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilità di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello stabilimento considerato.”

Per i giudici, realizzando l’art. 8, co. 1, un’esatta trasposizione nel diritto interno della clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro, “non si può dunque, trarre dallo stesso articolo un divieto di revocare, per disposizione unilaterale, l’autorizzazione al part-time, una volta concessa dalla pubblica amministrazione”.

Continuando nell’esegesi della norma, la Cassazione puntualizza che, dopo la trasformazione a tempo parziale, il passaggio al full-time è previsto dall’art. 8: a) quando il lavoratore, il cui rapporto di lavoro sia stato in precedenza trasformato dal tempo pieno al tempo parziale, ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo pieno per le stesse mansioni o per quelle di pari livello e categoria; 2) nei casi disciplinati dal comma 3 dello stesso articolo (lavoratori affetti da malattie oncologiche e cronicocronico-degenerative ingravescenti) e per le lavoratrici vittime di violenza di genere. In tali ipotesi, la legge prevede il ritorno al tempo pieno su richiesta del lavoratore.

Come si vede, la unilateralità del rientro dal part-time è prevista soltanto nell’interesse del lavoratore.

Tali previsioni, si applicano anche al settore pubblico in virtù di quanto statuito dall’art. 12 D.LGS. cit.

Ciononostante, l’Università ritiene legittimo il suo operato, in ragione di un generale principio di revocabilità dell’autorizzazione al part-time, una volta accordata, per esigenze sopravvenute.

Per la Cassazione, “l’autorizzazione al part-time non costituisce esercizio di un potere di natura amministrativa ma di una discrezionalità di diritto privato, in quanto attiene alla gestione del rapporto di lavoro; non può dunque essere invocato quel generale potere di revoca delle autorizzazioni per esigenze pubbliche sopravvenute che concerne il provvedimento amministrativo”.

Un potere in tal senso era previsto in passato dalla legge n. 183/2010, ma solo per la durata di 180 giorni dalla sua approvazione, e con esclusivo riferimento ai passaggi automatici da full-time a part-time effettuati prima del 2008.

In assenza, quindi, di una norma che attribuisca alla P.A. la potestà di incidere in aumento sull’orario di lavoro; “ne deriva che anche nel lavoro pubblico privatizzato il rapporto di lavoro trasformato in part-time può essere ricondotto dall’amministrazione datrice di lavoro all’orario pieno solo con il consenso del lavoratore”.

Ritrasformazione del rapporto di lavoro da part-time a full-time
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