Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 settembre 2022, n. 33567

Infortunio sul lavoro, Reato di omicidio, Violazione delle
regole cautelari, Area di rischio della lavorazione, Responsabilità del
datore e del committente

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza in data 7.5.2021 la Corte d’appello
di Napoli ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere in data 19 giugno 2019 aveva ritenuto S.F. e F.E. colpevoli del reato di
cui agli artt. 113 e 589, commi 1 e 2 cod. pen. perché in qualità di legale
rappresentante della ditta M. s.r.l. (il primo) e di legale rappresentante
dell’A. s.r.l. (il secondo), per colpa consistita in negligenza, imprudenza,
imperizia e nell’inosservanza delle norme di cui all’art. 2087 c.c. ed in violazione
delle specifiche norme di cui al d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81, consentendo e non
impedendo che D.A.D., dipendente della M. s.r.I., prestasse la propria opera in
condizione di pericolo, cooperavano a cagionarne la morte (fatto avvenuto in
data 19.4.2012 in Maddaloni). Gli imputati per l’effetto erano stati condannati
alla pena di anni due di reclusione oltre al risarcimento del danno in favore
delle costituite parti civili ed al pagamento di una provvisionale di Euro
50.000,00.

Il fatto, come concordemente ricostruito dalle
sentenze di merito, è il seguente:

il 19.4.2012 D.A.D., dipendente della M. s.r.l. si
trovava presso il capannone della A. s.r.l. in Maddaloni per la sostituzione
delle onduline di copertura con lastre nuove in fibrocemento calpestabili,
lavoro da eseguire insieme a F.A..

Di questi, il primo aveva il compito della rimozione
dei vecchi pannelli ed il contestuale rimontaggio di quelli in lamiera; il
secondo, invece, avrebbe dovuto ritirare i vecchi e passare i nuovi al collega
di lavoro.

Entrambi dotati di imbracatura e corda agganciata ad
una linea vita posta trasversalmente al capannone.

Alle 12 e 30, subito dopo l’inizio del lavoro,
mentre il F. era di spalle, il D.A., a causa della rottura di una ondulina da
sostituire, sganciatosi dalla linea vita, cadeva all’interno del capannone da
un’altezza di oltre otto metri.

Trasportato al Pronto Soccorso dell’Ospedale di
Maddaloni, dopo poche ore decedeva in conseguenza delle lesioni riportate.

La consulenza medico legale disposta dal Pubblico
Ministero consentiva di accertare che la causa del decesso era da attribuire ad
uno shock iperdinamico giacché a seguito dell’impatto con il suolo il D.A.
aveva riportato un grave politraumatismo con interessamento di organi interni.

Gli accertamenti tossicologici di laboratorio
accertavano altresì la presenza nel sangue del medesimo di un tasso alcolemico
paria 146,1 mg/dl, quindi di circa tre volte superiore alla misura consentita.

All’esito dell’istruttoria il giudice di primo grado
ascriveva al F., in qualità di amministratore di fatto della società A. s.r.I.,
e quindi committente, la violazione degli obblighi relativi al coordinamento
tra le due ditte, A. s.r.l. e M. s.r.I., operanti nel medesimo luogo, ovvero in
un capannone ove erano in corso altre lavorazioni. Allo stesso veniva altresì
imputata la violazione del dovere di generica vigilanza sul cantiere nonché il
profilo specifico della omessa verifica della idoneità professionale della M.
s.r.l. e l’ omesso controllo sul POS nonché sulla mancata redazione del
documento di valutazione dei rischi interferenziali.

A S.F., quale titolare della M. s.r.I., ditta
esecutrice dei lavori nonché datore di lavoro del D.A., veniva addebitato di
aver omesso di predisporre un documento di valutazione dei rischi connessi
all’attività da realizzare così come di accertare l’adeguatezza del POS il
quale manca di ogni valutazione circa il rischio di caduta dall’alto. Inoltre
risultavano inadeguati i dispositivi di sicurezza forniti agli operai e
l’attività di formazione e di informazione.

L’impianto accusatorio veniva poi integralmente
recepito nella sentenza di secondo grado.

2. Avverso la pronuncia d’appello gli imputati, a
mezzo dei rispettivi difensori, propongono ricorso per cassazione.

2.1. Ricorso per S.F.: si articola in tre motivi di
ricorso.

Con il primo motivo deduce la mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli
esiti dell’istruttoria dibattimentale di primo grado, omesso esame dei motivi
di impugnazione, vizio di motivazione in ordine all’accertamento del nesso
causale ed alla ritenuta esclusione dell’abnormità del comportamento del
lavoratore.

Deduce in particolare che la Corte territoriale ha
fondato la propria decisione su quanto asserito dal giudice di primo grado
senza alcuna comparazione tra i motivi addotti e le risultanze processuali.

Inoltre lamenta che non è stato valutato l’evento
che ha determinato la caduta ed il decesso del D.A. in relazione alla sua
manovra abnorme ed ingiustificata di sganciamento ed in relazione allo stato
psichico del medesimo.

Assume che non è stata valutata l’idoneità della
condotta del D.A. ad interrompere il nesso causale tra asserita violazione
delle norme cautelari ed evento morte e che il comportamento del D.A. non era
né prevedibile, né evitabile soprattutto in relazione all’esperienza acquisita.

Con il secondo motivo di ricorso deduce la
violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla determinazione
delle somme liquidate in via equitativa a titolo di risarcimento del danno
morale.

In particolare assume che l’ammontare della
provvisionale è stato determinato in palese contrasto con le risultanze
istruttorie dovendo tenersi conto altresì che le parti civili hanno ricevuto il
risarcimento del danno dall’Inail.

Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa
applicazione dell’art. 62 cod.pen. per mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche anche come vizio di motivazione.

Si duole della mancata valutazione per il S. della
concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Infine chiede la sospensione della condanna civile
ex art. 612 comma 1 cod.proc.pen.

2.2. Ricorso per F.E.: si articola in tre motivi:

Con il primo deduce la mancanza e contraddittorietà
della motivazione posta a fondamento della sentenza. In particolare deduce che
la Corte territoriale non ha tenuto conto che i lavori appaltati alla M. s.r.l.
dovevano essere realizzati sul tetto del capannone e pertanto non vi era una
compresenza di imprese.

Con il secondo motivo deduce la omessa motivazione
in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche non
avendo la Corte territoriale indicato gli elementi ritenuti ostativi alla
concessione delle medesime.

Con il terzo motivo deduce la omessa motivazione in
ordine alla invocata revoca della provvisionale concessa.

3. Il Procuratore generale presso la Corte di
cassazione ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente alla
concessione delle attenuanti generiche per F.E.; per il rigetto del ricorso per
S.F..

 

Considerato in diritto

 

1.1. Esaminando il ricorso proposto da S.F., lo
stesso è inammissibile.

Il primo motivo é manifestamente infondato.

Ed invero, in tema di integrazione delle motivazioni
tra le sentenze conformi di primo e di secondo grado, il giudice dell’appello
può motivare per relationem se l’impugnazione si limita a riproporre questioni
di fatto o di diritto già esaminate e correttamente risolte dal primo giudice,
oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, mentre,
qualora siano formulate censure specifiche o introduttive di rilievi non
sviluppati nel giudizio anteriore, è affetta da vizio di motivazione la
sentenza di appello che si limiti a respingere le deduzioni proposte con
formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici rispetto
alle risultanze istruttorie.

Nella specie il giudice di appello ha richiamato e
fatto proprie le argomentazioni diffusamente ed analiticamente illustrate nella
sentenza impugnata in quanto pienamente condivise, tenuto conto altresì che la
struttura motivazionale della sentenza di secondo grado nel caso di c.d. doppia
conforme si va a saldare con quella di primo grado a formare un unico apparato
motivatorio.

Con particolare riguardo alla valutazione del
comportamento del D.A., la censura propone il tema della c.d. abnormità della
condotta del lavoratore come tale idonea ad interrompere il nesso causale tra
l’asserita violazione delle norme cautelari e l’evento morte.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa
Corte, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è
esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante
nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il
comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di
radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi,
prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez.
4, n. 7188 del 10/01/2018, B., Rv. 272222; Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep.
2010, I., Rv. 246695).

In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la
condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere
il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è
necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia
tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio
governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5794
del 26/01/2021, C., Rv. 280914).

Perché possa ritenersi che il comportamento
negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione
delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un
“rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilità del
garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che
sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento
imprudente, così che, solo in questo caso, l’evento verificatosi potrà essere
ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del
garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, S., Rv. 276242).

In linea di principio, la condotta colposa del
lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a
produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio proprio
della lavorazione svolta e di conseguenza il datore di lavoro è esonerato da
responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze
presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza
rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione
ricevute (Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007, M., Rv. 236991; Sez. 4, n. 21587 del
23/03/2007, P., Rv. 236721).

Si è poi affermato, sempre in tema di rilevanza
esclusiva del comportamento del lavoratore, secondo un primo orientamento
interpretativo circoscritta a condotte tenute in ambito del tutto eccentrico
rispetto alle mansioni affidate e come tali imprevedibili da parte del garante
– che può essere considerato imprudente e quindi abnorme ai fini causali anche
il comportamento che rientri nelle mansioni che sono proprie ma che sia
consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle
ipotizzabili e quindi prevedibili imprudenti scelte dei lavoratore nella
esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, G., Rv.
269603; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2008, dep. 2009, M., Rv. 275017).

In conclusione, partendo dal presupposto che ciò che
viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a
prevenire il rischio di infortuni, la condotta esorbitante ed imprevedibilmente
colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella
che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che,
nell’ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla
sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.

Ciò premesso, la Corte territoriale ha fatto buon
governo dei principi fin qui enucleati.

Ha rilevato invero, in primis la violazione delle
regole cautelari da parte del S., ovvero l’omessa predisposizione di un
documento di valutazione dei rischi nonché di un POS adeguato non avendo nello
specifico previsto il pericolo di caduta dall’alto degli operai per sfondamento
delle lastre di copertura nonché la mancanza di idonea formazione ed
informazione sui rischi connessi all’attività lavorativa e di aver omesso di
attuare quanto previsto dal POS , benché inadeguato, con riferimento all’installazione
di parapetti perimetrali con più linee vita cui agganciare le cinture di
sicurezza.

Ed inoltre, benché non si conosca la ragione precisa
per cui il D.A. aveva sganciato la propria cintura di sicurezza dalla linea
guida (presumibilmente per prendere uno strumento), è certo che ciò si spiega
con l’esigenza di compiere un’attività che non si poteva svolgere rimanendo
agganciati tenuto conto della lunghezza della corda che era rigida e non
retrattile.

Ebbene, in tale contesto da cui emerge la completa
inadeguatezza del sistema di sicurezza approntato, correttamente la Corte
territoriale ha ritenuto che la condotta dell’infortunato non possa assurgere a
causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento in quanto la stessa
è riconducibile all’area di rischio inerente all’attività dal medesimo svolta e
ne costituisce anzi la concretizzazione.

Del pari è stato correttamente valutato che lo stato
di ebbrezza, anche ove provato, non vale ad escludere la responsabilità del
datore di lavoro trattandosi comunque di evento riconducibile all’area di
rischio governata dal datore di lavoro.

Ed invero, in tema di infortuni sul lavoro, la
circostanza che il lavoratore possa trovarsi, in via contingente, in condizioni
psico-fisiche tali da non renderlo idoneo a svolgere i compiti assegnati è
evenienza prevedibile, che come tale non elide il nesso causale tra la condotta
antidoverosa del datore di lavoro e l’infortunio occorso. (Fattispecie in cui
il lavoratore si trovava in condizioni di ubriachezza) (Sez. 4, n. 38129 del
13.6.2013, D.L., Rv. 256417).

1.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

Ed invero, non è impugnabile con ricorso per
cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla
concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di
natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per
sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere
travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859
del 17.10.2019, T., Rv. 277773)

1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

Ed invero la Corte territoriale correttamente non si
è pronunciata sulla concessione delle circostanze attenuanti generiche non
costituendo la questione oggetto dei motivi di appello ed essendo la relativa
richiesta stata avanzata in modo generico solo in sede di conclusioni scritte
all’udienza del 29.4.2021.

È sufficiente sul punto richiamare il principio di
diritto per il quale “il giudice di appello non è tenuto a motivare il
diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di
impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi
già sottoposti alla attenzione del giudice di primo grado e da quest’ultimo
disattesi sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna
particolare ragione” (Sez. 4, n. 5875 del 30/01/2015, Rv. 262249).

1.1. Passando ad esaminare il ricorso proposto da
F.E., la prima censura è manifestamente infondata.

Ed invero la sentenza impugnata con motivazione
logica ed adeguata ha delineato i profili di responsabilità addebitati al F.,
nella qualità di legale rappresentante della A. s.r.I., società che aveva
commissionato alla M. s.r.l. i lavori per la rimozione delle volte di un
capannone adibito alla lavorazione di frutta ed ortaggi, ovvero l’avere omesso
di verificare l’idoneità tecnico professionale dell’impresa appaltatrice e del
POS dalla medesima redatto e non aver redatto il documento di valutazione dei
rischi interferenziali.

In particolare la sentenza impugnata ha evidenziato
che non vi era alcuna delega scritta a favore dell’Arch.R. che quindi non è
stato nominato direttore dei lavori cosicché le verifiche spettavano al F.;
inoltre non è stata effettuata alcuna verifica sulla idoneità tecnica della M.
s.r.l. né alcuna richiesta di visionare il POS e neanche vi è stata alcuna
valutazione sul rischio della convivenza del lavoro di due ditte operanti sul
medesimo capannone.

Anzi è emerso che il mancato montaggio delle reti
sul tetto è stato causato proprio dal fatto che sul capannone continuavano le
attività dell’A. s.r.l. e quindi non potevano essere sospesi i lavori.

2.2. Manifestamente infondato è anche il secondo
motivo.

Ed invero la Corte territoriale ha adeguatamente
motivato la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche sul
rilievo che “..non emergono elementi favorevoli che legittimino l’accesso
a tale istituto. Né il comportamento processuale né l’indubbia gravità della
condotta, caratterizzata da evidente superficialità, possono portare ad un
giudizio di meritevolezza..”.

Il terzo motivo è inammissibile per le ragioni già
esposte al punto 1.2.

In conclusione, i ricorsi manifestamente infondati
vanno dichiarati inammissibili.

Alla condanna al pagamento delle spese processuali
consegue anche quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, che
si stima conforme a diritto ed equa, indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 settembre 2022, n. 33567
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