Il datore di lavoro che impone unilateralmente la trasformazione del contratto in part-time, continuando però a far lavorare i dipendenti a tempo pieno, senza pagare le ore eccedenti, risponde del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

Nota a Cass. Pen. 24 giugno 2022, n. 24388

Francesco Belmonte

Il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro si perfeziona attraverso modalità alternative che riguardano non solo l’assunzione, ma anche l’utilizzazione e l’impiego di manodopera in condizioni di sfruttamento e con approfittamento dello stato di bisogno. In particolare, “lo stato di bisogno non va inteso come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, bensì come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose”.

In tale linea si è pronunciata la Corte di Cassazione (24 giugno 2022, n. 24388) nell’ambito di un procedimento penale inerente il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo a carico dei titolari di una rosticceria.

I giudici di legittimità, confermando la decisione del Tribunale di Catanzaro (ord. 18 dicembre 2020), affermano che la condotta posta in essere dall’azienda datrice integra il reato di cui all’art. 603-bis, c.p. (novellato dalla L. n. 199/2016), ricorrendo, nel caso di specie, gli indici prescritti dalla norma incriminatrice, ossia: l’utilizzo di manodopera e la sottoposizione dei  “lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno” (co. 1, n. 2)).

Sulle condizioni di sfruttamento lavorativo, il Tribunale ha rilevato come «tutti i lavoratori, dalla loro assunzione, fossero stati resi edotti della circostanza per cui avrebbero dovuto lavorare per un numero di ore superiore a quello previsto nella contrattazione collettiva; dal giugno 2018 i dipendenti subirono una modifica unilaterale del contratto di lavoro, passando da un contratto subordinato “full-time” ad uno “part-time”».

Tuttavia, nonostante la riduzione oraria della prestazione lavorativa, i dipendenti continuarono a lavorare a tempo pieno, percependo la retribuzione relativa ai contratti part-time.

Simile raggiro, ad avviso del Tribunale, aveva procurato agli indagati “un ingiusto profitto rappresentato dalle retribuzioni non corrisposte, quantificate in euro 186.512,30”.

Il giudice di primo grado ha accertato inoltre che “i lavoratori non usufruivano delle ferie, della riduzione dell’orario di lavoro dei giorni di assenza e permesso previsti dalla contrattazione collettiva, lavorando sostanzialmente tutti i giorni, per un numero di ore pari a 48 ore settimanali in alta stagione”.

In relazione, poi, al requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno, Il Tribunale ha posto in evidenza come “le dipendenti si siano viste costrette ad accettare le condizioni imposte per la necessità di mantenere un’occupazione, non esistendo, nel contesto in cui è maturata la vicenda, possibili reali alternative di lavoro.”

Intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: