Prassi – FONDAZIONE STUDI CDL – Circolare 21 settembre 2022, n. 12

Il valore delle circolari in ambito amministrativo

 

Sommario

1. Aspetti generali

2. Il valore delle circolari in ambito lavoristico e
fiscale. Criticità

3. L’impugnabilità delle circolari

a) La regola generale

b) L’ipotesi residuale dell’impugnabilità immediata
della circolare

4. Considerazioni conclusive

 

1. ASPETTI GENERALI

 

L’interesse di dottrina e giurisprudenza con
riferimento al valore delle circolari amministrative ha conosciuto alterne
vicende a seguito del ruolo che nel tempo l’ordinamento ha assegnato allo
strumento della circolare amministrativa quale strumento di regolazione di
fattispecie giuridiche concrete.

Il concetto di circolare amministrativa è
rappresentativo di una categoria multiforme di atti emanati da Pubbliche
amministrazioni e da soggetti equiparati, il cui contenuto non può essere
tipizzato ma oggetto di una disamina di tipo esemplificativo, basata sul
contenuto degli atti concreti emanati dalla P.A con maggiore frequenza.

La categoria di più lineare trattazione è certamente
quella delle circolari amministrative “pure”, rappresentate da atti
che non costituiscono espressione di potere autoritativo e spesso riproduttivi
del dettato legislativo sottostante, del quale comunque costituiscono un mero
strumento di divulgazione e di formazione rivolto ai soggetti che devono fare
applicazione delle disposizioni di legge.

Dette circolari non pongono, chiaramente, alcun
problema di interpretazione in ordine al loro valore giuridico, non avendo
alcuna pretesa di autonomia rispetto alla norma sovraordinata o al
provvedimento amministrativo conseguente.

Diverso l’approccio per gli atti di carattere più
complesso, comunque inquadrabili (o inquadrati) nel novero delle circolari,
ancorché resti come detto incerto il perimetro di tale definizione e magmatico
il campo dei possibili e concreti contenuti.

È utile qui ricordare – tra le categorie che
dottrina e giurisprudenza hanno tentato di elaborare, senza pretesa di
esaustività, per esigenze di carattere sistematico – le circolari
interpretative, normative, intersoggettive e applicative.

Le circolari interpretative costituiscono strumenti
attraverso cui gli organi di vertice dell’amministrazione intendono perseguire
un’applicazione uniforme del diritto. Costituiscono la tipologia di circolari
sulla quale più frequenti sono stati gli arresti giurisprudenziali e che,
soprattutto nella materia tributaria, hanno dato origine alla corrente di
dottrina e giurisprudenza oggi largamente prevalente.

Ancora oggi resta centrale, a questo proposito, la
sentenza della Suprema Corte (Cass. Civ., Sez.
un., 2 novembre 2007 n. 23031) la quale, statuendo in materia tributaria,
ha affermato che alle circolari amministrative (ed in particolare quelle a
contenuto meramente interpretativo di una norma di legge) non si può
riconoscere efficacia normativa esterna e neanche carattere provvedimentale, in
quanto la circolare (nel caso di specie dell’Agenzia delle Entrate) non può
essere annoverata fra gli atti generali di imposizione, impugnabili innanzi al
giudice amministrativo o disapplicabili dal giudice ordinario. Le Sezioni Unite
hanno altresì affermato che la circolare emanata nella materia tributaria non
vincola direttamente il contribuente; non costituisce un vincolo assoluto per
gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato di
disattenderla se illegittima; non vincola addirittura la stessa autorità che
l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere l’interpretazione
a suo tempo adottata; non vincola, infine, il giudice tributario, dato che per
l’annullamento di un atto impositivo emesso sulla base di una interpretazione
data dall’amministrazione e ritenuta non conforme alla legge, non dovrà essere
disapplicata la circolare, in quanto l’ordinamento affida esclusivamente al
giudice il compito di interpretare la norma. Detta pronuncia ha costituito per
la dottrina e per la giurisprudenza successiva della stessa Corte di Cassazione
un precedente difficilmente superabile in merito al valore “esterno”
delle circolari interpretative.

Sempre ragionando per categorie, sono inoltre
individuabili le circolari intersoggettive, emanate da organi o uffici di un
ente diverso da quello a cui appartengono gli organi e gli uffici destinatari.
Caratteristica di questa categoria di circolari è l’assenza di subordinazione
tra destinatario ed emanante, che ne determina lo scopo limitandolo ad una
semplice opera di coordinamento delle azioni attuate da più soggetti
interessati all’applicazione di una determinata norma.

Altra categoria è quella rappresentata dalle
circolari applicative, le quali – a differenza di quelle comunque dotate di
genericità ed astrattezza pari alle norme – fanno riferimento a fattispecie
concrete, potendo talvolta ledere direttamente situazioni soggettive di terzi e
manifestando quindi caratteri propri del provvedimento amministrativo.

Aspetto peculiare e contrastato nel confronto
dottrinale e giurisprudenziale relativo a questo tipo di circolari riguarda il
regime della loro impugnabilità, in quanto potenzialmente idonee a disciplinare
concretamente l’attività dei destinatari, ponendo prescrizioni immediatamente e
direttamente lesive, rispetto alle quali il provvedimento amministrativo di
applicazione ha carattere semplicemente adempitivo.

Le circolari attuative possono portare le
denominazioni più varie (avvisi, risoluzioni, pareri e note interpretative) e
sono spesso utilizzate nel mondo del pubblico impiego oltre che nelle occasioni
in cui sia più urgente la risposta fattiva della Pubblica amministrazione.

Dottrina e giurisprudenza si sono infine spesso
interessate delle circolari c.d. normative, ed in particolare quelle aventi la
finalità di integrare le disposizioni legislative, a volte alla stregua di veri
e propri atti regolamentari, nelle materie in cui la legge lo prevede (ad es.
quelle emesse dal Ministero dell’Interno in materia di stato civile) e nel
rispetto delle riserve costituzionali in favore della fonte primaria.

Parte della dottrina e la giurisprudenza
maggioritaria considerano le circolari normative confinate nello stretto ambito
delle esplicite previsioni di legge, ma di fatto la Pubblica amministrazione ha
sempre fatto largo uso di circolari prive di carattere regolamentare ma dal
contenuto in qualche misura generale e innovativo (e quindi lato sensu
normativo) non tanto per derogare alle norme sovraordinate, ma quantomeno per
integrare le stesse normando le lacune esistenti.

Proprio di recente, con l’improwiso arrivo dell’emergenza
sanitaria tuttora in atto, si è assistito in misura superiore al passato ad un
proliferare di tali atti di contenuto precettivo, per la necessità di
regolamentare situazioni urgenti e indifferibili. Le fonti normative
tradizionali sono apparse insufficienti pervenire incontro ad avvenimenti di
tale portata.

 

2. IL VALORE DELLE CIRCOLARI IN
AMBITO LAVORISTICO E FISCALE. CRITICITÀ

 

Come esposto nel paragrafo che precede, si evince
come la giurisprudenza abbia da tempo espresso prevalente opinione sulla
inefficacia normativa esterna delle circolari. Secondo gli Ermellini, infatti,
giova ribadirlo, a quest’ultime è stata attribuita la natura di atti meramente
interni della pubblica amministrazione, i quali, contenendo istruzioni, ordini
di servizio, direttive impartite dalle autorità amministrative centrali o
gerarchicamente superiori agli enti o organi periferici o subordinati,
esauriscono la loro portata ed efficacia giuridica nei rapporti tra i suddetti
organismi ed i loro funzionari (cfr. Cass., Sez. 1°, 25 marzo 1983, n. 2092 e 17 novembre 1995, n. 11931; Cass. Sez. 5°, 10 novembre 2000, n. 14619 e del 14
luglio 2003 n. 11011 ).

Le circolari amministrative, quindi, secondo la
Suprema Corte (cfr. Corte di Cassazione civile,
sez. Unite, sentenza n. 23031 depositata il 2 novembre 2007 su citata) non
possono spiegare alcun effetto giuridico nei confronti di soggetti estranei
all’amministrazione, né acquistare efficacia vincolante per quest’ultima,
essendo destinate esclusivamente ad esercitare una funzione direttiva nei
confronti degli uffici dipendenti, senza poter incidere sul rapporto
tributario, tenuto anche conto che la materia tributaria è regolata soltanto
dalla legge, con esclusione di qualunque potere o facoltà discrezionale
dell’amministrazione finanziaria.

Tuttavia, corre l’obbligo di sottolineare che se da
un lato la circolare amministrativa non vincola la stessa autorità che l’ha
emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente
disattendere l’interpretazione adottata, dall’altro lato le scelte effettuate
dall’Amministrazione pubblica (Inps, Inail e Agenzia delle Entrate) in
conseguenza di quella circolare hanno un immediato riflesso nei confronti del
contribuente. Quest’ultimo, laddove decidesse di disattendere le indicazioni
della circolare amministrativa, dovrà accettare il rischio di un gravoso
contenzioso tributario e/o previdenziale, tenendo presente, poi, che nel
contribuente si genera il convincimento che la interpretazione adottata dalla
P.A. rappresenti un corollario della volontà legislativa. Ciò potrebbe portare
ad una compressione del diritto di difesa di cui all’art.
24 Cost, secondo cui: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela
dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in
ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con
appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni
giurisdizione”.

La questione ha assoluto rilievo, in quanto la
Suprema Corte (cfr. Corte di Cassazione civile,
sez. Unite, sentenza n. 23031 cit.) in merito alla irrilevanza, nel senso
fin qui spiegato, della circolare interpretativa in materia tributaria,
riportandosi ad una sentenza della Corte
Costituzionale – n. 191 del 14 giugno 2007 – sul tema della risposta
dell’Agenzia delle Entrate ad una istanza di interpello ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 11,
(c.d. “Statuto del contribuente”), afferma che, coerentemente con la
natura consultiva dell’attività demandata all’Agenzia delle Entrate nella procedura
di interpello, l’art. 11 non
prevede alcun obbligo per il contribuente di conformarsi alla risposta
dell’amministrazione finanziaria. In conseguenza di ciò, la risposta
all’interpello, resa dall’amministrazione ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 11,
deve considerarsi un mero parere, che non integra alcun esercizio di potestà
impositiva nei confronti del richiedente.

La scelta interpretativa adottata dalla Suprema
Corte, anche se ermeneuticamente condivisibile, pone, tuttavia, non poche
perplessità rispetto al principio della c.d. certezza del diritto, secondo il
quale il cittadino ha diritto di conoscere a priori l’ambito applicativo delle
norme di diritto positivo.

In proposito, si ricorda, per quanto concerne la
materia tributaria, il disposto dell’art. 10 (“Tutelo
dell’affidamento e dello buono fede. Errori del contribuente”) della legge 212/2000 (“Disposizioni in materia di
statuto dei diritti del contribuente”), secondo il quale:

1. i rapporti tra contribuente e amministrazione
finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della
buonafede.

2. Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi
moratori al contribuente, qualora si sia conformato a indicazioni contenute in
atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate
dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in
essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni o
errori dell’amministrazione stessa.

3. 3. Le sanzioni non sono comunque irrogate quando
la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e
sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una
mera violazione formale senza alcun debito di imposta; in ogni caso non
determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in
ordine alla legittimità della norma tributaria. Le violazioni di disposizioni
di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del
contratto”.

Secondo la Suprema Corte in tema di legittimo
affidamento del contribuente, di fronte all’azione dell’Amministrazione
finanziaria, ai sensi dell’art.
10, comma 1, della I. n. 212 del 2000, costituisce situazione tutelabile
quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività
dell’Amministrazione finanziaria in senso favorevole al contribuente; b) dalla
buona fede del contribuente rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata
dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul
medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti,
idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono.

La relativa tutela – pur tipizzata in talune
ricorrenti ipotesi (come l’art.
10, comma 2, L. n. 212 cit. prevede) – non è ancorata a schemi
precostituiti ed al modello formale della validità/invalidità dell’atto, ma
richiede una valutazione in concreto in relazione alla diversità delle
fattispecie e delle situazioni (cfr. Cassazione
Civile, Sez. TRI, sentenza n. 12372 del 11 maggio 2021).

Diversamente il trattamento riservato dal
legislatore per quanto riguarda la materia previdenziale. Sul punto la Corte di
cassazione ha statuito che in tema di contributi assicurativi e previdenziali
obbligatori, non sia utilmente invocabile il principio di tutela
dell’affidamento del contribuente, di cui all’art. 10 della I. n. 112 del 2000,
(se non, ove ne ricorrano i presupposti, ai limitati fini di escludere sanzioni
e interessi moratori), trattandosi di prestazione patrimoniale di natura
pubblicistica, fondata sull’art. 38 Cost. e
coperta da riserva di legge ex art. 23 Cost.,
con conseguente indisponibilità del relativo credito da parte dell’ente (cfr.
Cassazione Civile, Sez. Lav., sentenza n. 16865
del 10 agosto 2020).

Ne deriva che, quand’anche l’Amministrazione (Inps o
Inail), modificasse le sue linee di condotta in merito ad uno specifico
adempimento, il contribuente, che avesse rispettato le prime indicazioni
successivamente modificate dall’Amministrazione stessa, sarebbe comunque tenuto
al pagamento dei contributi previdenziali e/o premi eventualmente dovuti,
venendogli unicamente “condonati” sanzioni e interessi moratori.

Le criticità del sistema lavoristico-previdenziale,
caratterizzato, tra l’altro, da un impianto sanzionatorio capillare, derivano
anche da uno scollamento del dato normativo rispetto alla concretizzazione
dello stesso. La norma appare, il più delle volte, poco declinata e per questo
richiedente una concretizzazione attuativa da parte del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali e degli Enti previdenziali.

In particolare, le circolari, emanate dall’lnps e
dall’lnail, sono dotate di una precettività (non normativa) sostanziale che,
grazie anche allo sviluppo del canale digitale e all’aumento degli adempimenti
collegati, ne rende veramente impossibile la non applicazione, atteso che la
via del software digitale scandisce ogni momento per l’effettuazione
dell’adempimento. Difficile, conseguentemente, affermare, la non efficacia
esterna delle circolari degli Enti previdenziali nell’attuale contesto giuslavoristico-
previdenziale, caratterizzato da una legislazione che individua il bene
giuridico da realizzare, ma non ne traccia le modalità di realizzazione. Ne
deriva che la circolare dell’Ente previdenziale potrà risultare illegittima
nella misura in cui sia in contrasto con la realizzazione del bene giuridico,
individuato dal legislatore, ma difficilmente potrà risultare illegittima in
riferimento alle modalità attuative (predisposizione applicativi software,
indicazioni operative ecc.) di quel bene giuridico se lo stesso viene
realizzato (ad es. erogazione di un bonus o di una prestazione di integrazione
salariale), senza comprimere diritti soggettivi riconosciuti dalla legge o per
converso senza riconoscere diritti soggettivi o imporre oneri non previsti dalla
legge stessa.

Ciò nel pieno rispetto del dettato di cui all’art. 1
(“Indicazione delle fonti”) sia dell’art. 12 (“Interpretazione
della legge”), in quanto la circolare amministrativa, nel caso sopra
descritto, si pone come strumento necessario di attuazione concreta della norma
di legge, attesa la stratificazione complessa del sistema lavoristico
previdenziale fortemente caratterizzato da un importante complesso di tutele
assistenziali a favore del cittadino e dei lavoratori.

 

3. L’IMPUGNABILITÀ DELLE CIRCOLARI

 

Alla luce di quanto premesso, è evidente la
criticità della verifica delle conseguenze e degli effetti delle indicazioni
contenute dalle circolari amministrative. È pur vero, infatti, come è stato
osservato, che queste non costituiscono fonte di diritto, che ontologicamente
si tratta di meri atti amministrativi e non provvedi menta li, incapaci di
incidere su posizioni di diritto soggettivo e diffusamente disapplicabili, in
linea di principio, ove risultino contrastanti con fonti normative di rango primario
(Cons. Stato, sez. IV, 8 gennaio 2016, n. 30, exmultis). Tuttavia, come è stato
esaurientemente spiegato, non mancano, soprattutto nell’ambito del diritto del
lavoro, le circolari, provenienti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali, dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro e, soprattutto, per questi
aspetti, dall’lnps o dall’lnail, che a prescindere dal loro inquadramento nel
sistema delle fonti, impongono prescrizioni che le norme non prevedono,
incombendo sugli ambiti soggettivi di operatori e utenti, soggetti terzi,
estranei all’amministrazione, non di rado a prescindere dall’effettivo tenore
della norma. Talvolta addirittura a prescindere dalla stessa ratio legis.

Alla luce delle premesse qui brevemente riassunte, è
necessario comprendere quali possono essere gli strumenti a disposizione per
contraddire una circolare, il cui contenuto, eventualmente contro legem, o
comunque portatore di vincoli, oneri procedimentali, adempimenti o decadenze
non previste dalla legge, grava il destinatario di obblighi estranei alla
volontà originaria del legislatore.

 

a) La regola generale

Quale soluzione di principio generale, la circolare
amministrativa non è impugnabile autonomamente.

L’impossibilità di una soluzione in tal senso deriva
dalla descritta natura propria delle circolari: non sono fonti di diritto, non
sono (di norma) indirizzate al singolo cittadino e dunque, sempre in linea di
principio generale, non ne vincolano il comportamento. Considerato che tale
difetto di imperatività non vincola alcuno dei soggetti terzi chiamati alla sua
applicazione immediata o all’osservazione, neppure il giudice sarà tenuto a
rispettarne i canoni.

Conseguentemente la tutela del cittadino rispetto
agli effetti che possono derivare dalle determinazioni di una circolare
amministrativa, è garantita dalla possibilità di contestare il provvedimento di
rigetto eventualmente emanato dalla pubblica amministrazione in aderenza al
contenuto della circolare medesima, confidando nelle ragioni – di diritto –
fondate sulla norma che la circolare ha inteso interpretare ed applicare, la
cui soluzione non si intende condividere.

Impugnabilità dell’atto o del provvedimento emanato
in attuazione della circolare, ed impossibilità quindi, in linea di principio
generale, di rivolgere le proprie doglianze direttamente nei confronti di un
atto che, per definizione, è (rectius, dovrebbe essere) soltanto un atto
interno e quindi privo di impugnabilità autonoma perché difetta di un interesse
a ricorrere concreto ed attuale. Al più, quale esperimento argomentativo, la
circolare può essere impugnata congiuntamente all’atto-prowedimento espressione
della sua applicazione da parte della pubblica amministrazione.

 

b) L’ipotesi residuale dell’impugnabilità immediata
della circolare

Se quello appena spiegato è un argomento condiviso e
consolidato nella giurisprudenza, diffusamente citata nel paragrafo precedente,
non vi è dubbio, ancora per quanto già evidenziato, che tale approccio,
rigoroso in punto di diritto, non appare soddisfacente in concreto, considerata
la natura effettiva della prassi amministrativa in materia di lavoro e
previdenza, di fatto contenente indicazioni puntuali e pregnanti, a pena della
invalidità dell’attività degli utenti, con conseguente diniego dei
provvedimenti o delle prestazioni richieste. Non appaiono però ragioni
tecnico-giuridiche adeguate per negare le condizioni di cui al precedente punto
a). È pur vero che non di rado quest’ultima soluzione, rigorosa, si ribadisce,
in punto di diritto, risulta poco soddisfacente, per efficacia e tempistica. La
possibilità di impugnare il diniego della pubblica amministrazione, infatti,
significa attendere il medesimo e tutto il decorso del tempo intermedio, oltre
a quello, successivo, per la decisione della impugnazione. Tutto ciò mentre il
diretto interessato è ancora privo della prestazione cui invece avrebbe
diritto.

Soccorrerebbe a tali esigenze taluna giurisprudenza
che riconosce la possibilità di impugnare immediatamente ed in maniera autonoma
la circolare amministrativa, senza la necessità di attenderne il provvedimento
applicativo. Ciò quando l’atto gravato presenta un contenuto lesivo della sfera
giuridica dei ricorrenti, circostanza che rende la circolare suscettibile di
impugnazione diretta.

Tale orientamento è stato più volte ribadito dalla
giurisprudenza amministrativa per la quale “l’onere di impugnare una
circolare unitamente al provvedimento applicativo che renda attuale il
pregiudizio subito non sussiste nell’ipotesi in cui tale circolare disciplini
concretamente l’attività dei destinatari, ponendo prescrizioni immediatamente e
direttamente lesive, rispetto alle quali il provvedimento di applicazione ha
carattere semplicemente adempitivo” (Tar Lazio, sez. Il ter, 19 gennaio
2015, n. 802, richiamata da Tar Lazio, sez. 1,4 marzo 2019, n. 2800).

Si tratta pur sempre di una eccezione rispetto alla
regola generale che ad oggi ha trovato asilo nella giurisprudenza del Consiglio
di Stato con riferimento alle circolari del Ministero dell’Intemo incidenti
sullo stato civile dei destinatari. In quei casi, l’elemento della
vincolatività ed inderogabilità incombente sui destinatari – imprescindibile ai
fini della plausibilità della opzione in esame – è di fatto presunto, tale che
“le istruzioni ministeriali in quel settore dell’ordinamento sono
normalmente contenute in circolari vincolanti per ogni ufficiale dello stato
civile, che deve ad esse uniformarsi […] a differenza delle altre circolari
amministrative che, ordinariamente, sono prive di efficacia vincolante nei
confronti degli organi periferici”(Cons. Stato, sez. IlI, n. 4478/2016 e
n. 5047/2016).

La possibilità di estendere tale facoltà in via
generale è perciò da respingere, potendola riconoscere soltanto in quei casi –
eccezionali – in cui sussista, e sia dimostrata, la premessa vincolatività, non
appartenente in via generale alle circolari amministrative.

 

4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

Alla luce di quanto sin qui brevemente osservato,
appaiono possibili le seguenti considerazioni.

In linea di principio generale, non è possibile impugnare
direttamente una circolare amministrativa, in considerazione del difetto di
vincolatività e cogenza in capo ad essa. Tuttavia è evidente, e testimoniata
dall’esperienza, la diffusa abitudine delle amministrazioni, ed in particolar
modo nell’ambito del diritto del lavoro, di emanare circolari che non si
limitano ad esplicare il testo normativo, ma ne recano l’interpretazione, non
di rado estensiva, e altrettanto frequentemente anche con l’inserimento di
vincoli, adempimenti, decadenze, non contemplate dal testo di legge, dalla cui
osservazione dipende il riconoscimento di benefici, l’accesso a prestazioni,
etc.

In questi casi si può considerare la possibilità
dell’impugnazione immediata ed autonoma della circolare, non potendosi ritenere
soddisfacente l’attesa degli effetti e del ricorso avverso il provvedimento
conseguente. Il rilascio della certificazione della regolarità contributiva,
dell’autorizzazione al trattamento di cassa integrazione sono soltanto i
principali esempi possibili di fattispecie essenziali alla organizzazione
aziendale che non tollerano ulteriore attese e che necessitano di soluzioni
rapide.

L’impugnativa autonoma è però eccezionale e, per
quanto rilevato dalla giurisprudenza, residuale nell’ambito qui osservato, con
la necessità, peraltro, di dimostrare quella vincolatività che continua ad
essere considerata una condizione estemporanea tra i connotati delle circolari
amministrative.

In realtà, come la recente esperienza pandemica ci
ha testimoniato, la normazione emergenziale è stata fortemente caratterizzata
dalle espressioni circolatorie.

Le c.d. fonti di “terzo grado” hanno
assunto di fatto la funzione regolatoria primaria di molti dei contesti
fondamentali di azione per le aziende, con le ovvie ricadute sui lavoratori.

Appaiono perciò maturi i tempi per una
riconsiderazione, se non dell’intero sistema delle fonti, della collocazione e
della portata delle espressioni di cosiddetta softlow, perlomeno per quel che
riguarda gli aspetti di natura rimediale, per apprestare, a fronte di
provvedimenti amministrativi dalle caratteristiche ed efficacia eccezionali
rispetto all’impianto tradizionale, strumenti di adeguata tutela per
l’esercizio concreto dei propri diritti da parte dei destinatari.

Prassi – FONDAZIONE STUDI CDL – Circolare 21 settembre 2022, n. 12
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