Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 novembre 2022, n. 32308

Tributi, IRPEF, Previdenza integrativa aziendale,
Erogazione della prestazione in forma capitale, Regime di tassazione

 

Rilevato che

 

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre, con due motivi,
nei confronti di R.F., che resiste con controricorso, avverso la sentenza in
epigrafe con la quale la C.t.r. del Piemonte, quale giudice di rinvio, a
seguito della sentenza della Corte di Cassazione 29/12/2011, n. 29926 ha
rigettato l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. che aveva
accolto il ricorso di quest’ultimo.

2. Il contribuente, dirigente in quiescenza dell’E.
s.p.a., già iscritto al Fondo pensione denominato «PIA» (previdenza integrativa
aziendale) e successivamente F., cui venivano trasferiti ai fondi a partire dal
1998, avanzava istanza di rimborso Irpef della differenza tra quanto versato
all’erario dal sostituto d’imposta pari al 33,45 per cento sulle somme erogate
e quanto dovuto per effetto dell’applicazione dell’aliquota del 12,5 per cento,
prevista per i redditi di capitale dall’art. 42, comma 4, d.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917, e dell’art.
6, della legge 26 settembre 1985, n. 482.

Formatosi il silenzio-rifiuto, il contribuente
impugnava il diniego.

3. La C.t.p., accoglieva il ricorso del contribuente
con sentenza confermata dalla C.t.r.

4. L’Ufficio impugnava detta ultima innanzi a questa
Corte che, con la sentenza n. 29926 del 2011
accoglieva il ricorso e cassava con rinvio la sentenza prescrivendo al giudice
del merito di attenersi ai principi fissati dalle Sezioni Unite con sentenza n. 13642 del 2011 per la quale la
ritenuta del 12,50 per cento, prevista dall’art. 6 legge n. 482 del 1985,
andava applicata soltanto sulle somme rinvenienti dalla liquidazione del cd.
rendimento, dovendosi con tale espressione 
intendere «”il rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da
parte del Fondo del capitale accantonato”». Rilevava pertanto, che il profilo
di diritto, inciso dal ricorso, andava definito in base alla distinzione
temporale della iscrizione a forme pensionistiche complementari avvenuta prima
o dopo il 2 d. lgs. n. 124/1993; che solo nel
secondo caso era in toto applicabile il trattamento tributario della tassazione
separata; Per gli iscritti in epoca anteriore, come il ricorrente, era invece
necessario distinguere, quanto alle prestazioni erogate in forma di capitale,
tra: (a) importi maturati fino al 31 dicembre 2000, per i quali la prestazione
era assoggettata al regime di tassazione separata unicamente nei limiti delle
attribuzioni patrimoniali conseguenti alla cessazione del rapporto di lavoro,
rimanendo invece le somme rinvenienti dalla liquidazione del cd. rendimento
(per tale dovendosi intendere, in base al citato arresto delle sezioni unite,
il «rendimento netto» imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo
del capitale accantonato) soggette a ritenuta del 12,50 % prevista dall’art. 6 della legge n. 482 del 1985;
e (b) importi maturati dopo il 1° gennaio 2001, ai quali, a norma del d. lgs.
n. 17 del 2000, si applicava interamente il regime di tassazione separata di
cui all’art. 16 d.P.R. n. 917 del
1986 (non essendo più consentito distinguere, al riguardo, tra capitale e
rendimento di polizza).

5. Riassunto il giudizio la C.t.r., con la sentenza
in epigrafe rigettava l’appello dell’Ufficio e lo condannava l’Ufficio al
pagamento della somma di euro 68.723,43 oltre accessori.

6. Il contribuente ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia, in
relazione all’art. 360, primo comma, n.4, cod.
proc. civ., la nullità della sentenza per motivazione apparente.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia, in
relazione all’art. 360, primo comma, n.4, cod.
proc. civ., la violazione dell’art. 1, comma 2, d.lgs. 31 dicembre
1992, n, 546, dell’art. 384 cod. proc. civ.,
degli artt. 2697 ss cod. civ, e la nullità
della sentenza per assoluta carenza di motivazione.

In particolare, censura la sentenza impugnata per
aver violato il principio di diritto enunciato nella sentenza di rinvio non
prendendo in considerazione quanto ivi con riferimento alla nozione di
rendimento rilevante per la soluzione della controversia e non determinando le
somme provenienti dalla liquidazione di detto ultimo alle quali soltanto andava
applicata l’aliquota del 12,5%.

3. Il primo motivo di ricorso è infondato.

3.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte, si è in presenza di una «motivazione apparente» allorché la motivazione,
pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del
documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia
percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni
obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione
del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo
sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. In tal caso – e
purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una
violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in
procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per
cassazione (Cass., Sez U, 03/11/2016 n. 22232).

3.2. La sentenza impugnata dopo ave riportato il
principio di diritto espresso nella sentenza di rinvio e dopo aver dato conto
delle diverse prospettazioni delle parti ha ritenuto che la prova del
«rendimento netto» potesse desumersi dalla attestazione E. a firma del dott. B.
e dalla relazione tecnica in atti. Ha ritenuto, inoltre che il rendimento
potesse desumersi dal rendimento medio deducibile dai bilanci contabili della
società. La C.t.r, pertanto, ha indicato gli elementi da cui ha tratto il
proprio convincimento rendendo possibile il controllo sull’esattezza e sulla
logicità del suo ragionamento.

4. Il secondo motivo è fondato.

4.1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di
inammissibilità del motivo spiegata dal contribuente sul presupposto che con
l’unico motivo l’Ufficio mirerebbe ad una revisione degli accertamenti in fatto
operati dalla C.t.r.

L’eccezione non coglie la reale portata del motivo
in esame con il quale la ricorrente si duole, non dell’accertamento in fatto,
bensì dell’adozione da parte della C.t.r. di una nozione di rendimento difforme
da quella fissata nella sentenza di rinvio cui, invece, si sarebbe dovuta
attenere.

4.2. Le Sezioni Unite hanno statuito che «In tema di
fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad
un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore
del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un Fondo
di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a
causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento
tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la
prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917,solo
per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione
patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle
somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta
del 12,50%, prevista dall’art.
6 della l. 26 settembre 1985, n. 482; b) per gli importi maturati a
decorrere dal 1° gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione
separata di cui agli artt. 16,
comma 1, lett. a) e 17 del d.P.R. n.
917 cit.» (Cass. Sez. U.
22/06/2011, n. 13645, conforme a Cass. Sez. U.
22/06/2011, n. 13642).

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