Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 novembre 2022, n. 32854

Tributi, IRPEF, Previdenza integrativa aziendale,
Prestazione in forma capitale, Regime di tassazione

 

Rilevato che

 

1. A.T. impugnò innanzi alla C.T.P. di Torino il
silenzio-rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria alla sua richiesta di
rimborso della ritenuta alla fonte operata dal proprio datore di lavoro E.
sull’importo erogatogli nell’anno 2000 a titolo di corresponsione di capitale
in luogo della pensione integrativa, prevista da apposito accordo aziendale che
prevedeva l’iscrizione del personale ad un Fondo denominato fondo
“PIA”.

Il contribuente sostenne che l’importo andasse
assoggettato all’aliquota del 12,5%, prevista per i redditi di capitale, in
particolare in ipotesi di erogazione a fronte di polizze di assicurazioni sulla
vita stipulate anteriormente al 28 aprile 1993, data di entrata in vigore del
d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124.

2. La C.T.P. accolse la domanda; ma il successivo
appello, proposto dall’amministrazione finanziaria, fu accolto dalla C.T.R. del
Piemonte, che ritenne tassabili le somme erogate alla stregua del TFR.

La pronunzia d’appello fu impugnata dal contribuente
con ricorso per cassazione, accolto da questa Corte con sentenza n. 29490/2011.

La sentenza fu cassata con rinvio al giudice a quo,
affinché provvedesse ad un riesame della fattispecie considerando che per gli
iscritti al fondo in epoca anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 124
del 1993, occorresse distinguere tra gli importi maturati fino al 31 dicembre
2000 – per i quali la prestazione era assoggettata al regime di tassazione
separata unicamente nei limiti delle attribuzioni patrimoniali conseguenti alla
cessazione del rapporto di lavoro, rimanendo invece le somme rinvenienti dalla
liquidazione del cd. rendimento (per tale dovendosi intendere il
“rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del
Fondo del capitale accantonato) soggette alla ritenuta del 12,50% – e importi
maturati dopo il 1° gennaio 2001, interamente soggetti al regime di tassazione
separata.

3. All’esito del giudizio di rinvio, la C.T.R. del
Piemonte accolse l’appello del contribuente.

I giudici d’appello ritennero che le somme erogate
al T. fossero interamente riferibili al rendimento di polizza, come desumibile
da un’attestazione rilasciata dal datore di lavoro dalla quale risultava il
rendimento conseguito dal relativo impiego in forma di “investimento
interno all’azienda”; affermarono, dunque, che tali somme dovevano essere
assoggettate a ritenuta del 12,50%, con conseguente diritto del contribuente a
vedersi rimborsare l’intero importo.

4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di tre motivi. L’intimato ha
depositato controricorso.

In data 8 settembre 2000, D.P., E.T. e P.T., eredi
del controricorrente, hanno depositato «atto di costituzione a valere quale
atto di intervento ad adiuvandum», dando atto dell’intervenuto decesso del
proprio dante causa.

In prossimità dell’udienza, gli intervenienti e il
difensore del controricorrente hanno depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente deduce
la nullità della sentenza per motivazione apparente, assumendo che la C.T.R.
avrebbe interamente qualificato come rinvenienti da liquidazione di
“rendimento netto” le somme percette dal T. e da sottoporre a
tassazione sulla base di un generico riferimento all’attestazione prodotta dal
contribuente e senza alcuna connessione logica con il tema oggetto della controversia.

2. Con il secondo motivo, l’Agenzia deduce ancora la
nullità della sentenza in relazione agli artt. 112 cod. proc. civ. e 46 del
d.lgs. n. 546/1992, evidenziando che il dispositivo della sentenza impugnata
reca la «conferma della sentenza di primo grado» quando, nel corso del
giudizio, il contribuente aveva rinunziato a parte dell’importo in
contestazione, con ciò riducendo la propria originaria pretesa.

3. Con il terzo motivo, infine, è dedotta nullità
della sentenza per violazione degli artt. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992,
384 cod. proc. civ. e degli artt. 2697 ss. cod. civ.

La ricorrente assume che la C.T.R. avrebbe
completamente travisato il principio di diritto affermato in sede di rinvio, in
particolare quanto alla nozione di “rendimento netto” ivi contenuta,
avendo omesso di svolgere qualsivoglia accertamento in punto agli investimenti
concretamente effettuati sul mercato finanziario per il tramite degli importi
versati sul fondo, e le conseguenti plusvalenze acquisite.

4. Il terzo motivo merita esame prioritario e va
quindi scrutinato con precedenza.

Esso è fondato e merita accoglimento, restando in
tale statuizione assorbita la decisione sui restanti.

4.1. Prendendo le mosse dal richiamato principio di
diritto, contenuto, per tutte, nella pronunzia delle Sezioni Unite n.
13642/2011, in relazione al Fondo per cui è causa (come variamente denominato)
questa Corte ha chiarito che la ritenuta nella misura del 12,50%, prevista
dall’art. 6 della l. n. 482/1985, sulle somme provenienti dalla liquidazione del
rendimento, può applicarsi solo agli importi derivanti dall’effettivo
investimento del capitale accantonato sul mercato (v. Cass. n. 29479/2021,
Cass. n. 20617/2021; Cass. 6514/2019); tale più favorevole tassazione va invece
esclusa con riferimento alle somme versate dal contribuente in un fondo
integrativo che non abbia investito sul mercato finanziario (v. Cass. n.
15853/2018; Cass. n. 720/2017; Cass. n. 1977/2015).

Pertanto, costituiscono “rendimento netto”
le «somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul
mercato, non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve
matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di
garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate» (Cass.
n. 24525/2017; Cass. n. 10285/2017).

Già sotto tale aspetto, pertanto, la sentenza
impugnata si rivela erronea nella parte in cui ha ritenuto che tutte le somme
corrisposte si riferissero al «rendimento», inteso come frutto di un
imprecisato investimento delle risorse “all’interno dell’impresa”;
per quanto poc’anzi rilevato, infatti, si deve escludere possa considerarsi
quale “rendimento” ottenuto quello corrispondente alla redditività
sul mercato dell’intero patrimonio dell’ente datore, poiché tale fattore
costituisce il risultato di una mera operazione matematica e non effettivamente
il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti sul libero mercato (v.
Cass. n. 9959/2022; Cass. n. 5436/2018; Cass. n. 4941/18).

4.2. Con riferimento al perimetro dell’accertamento
che compete al giudice di prossimità in base al ricordato dictum delle Sezioni
Unite, questa Corte ha poi precisato che è necessario procedere ad una
«ricostruzione dell’impiego delle somme sul mercato finanziario», verificando
se vi sia stato «l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale
accantonato» e quale sia stato «il rendimento di gestione conseguito in
relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo
rendimento l’affermata tassazione al 12,50%» (v. Cass. n. 16116/2018).

Inoltre, è stato chiarito che spetta al contribuente
che impugna il rigetto di un’istanza di rimborso, quale attore in senso
sostanziale, provare il fondamento della sua pretesa, dimostrando «quale sia la
parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento
sui mercati di riferimento, senza che detto onere probatorio possa ritenersi
sufficientemente assolto tramite il mero rinvio al conteggio proveniente
dall’E., prodotto dal contribuente», inidoneo a «chiarire se si tratta
effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al
dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato» (così
ancora Cass. n. 9959/2022; v. anche Cass. n. 13281/2017; Cass. n. 720/2016).

4.3. Nell’affermata applicazione del principio di
diritto cui era tenuto a conformarsi – con il conseguente assoggettamento ad
aliquota del 12,50% della sola componente delle somme «riferibile al
rendimento» – il giudice d’appello si è discostato da tali indicazioni, avendo
ritenuto che l’intero capitale erogato dal Fondo derivasse da investimenti
effettuati sul mercato senza ricorrere ad adeguata base probatoria di tale
circostanza.

In tal senso, infatti, la sentenza impugnata si è
limitata ad evocare una certificazione E. (peraltro senza neppure riportarne il
contenuto in termini intelligibili), che, come si è detto, è insufficiente a
consentire l’accertamento dell’effettiva quantificazione in base alla
metodologia descritta.

A tale ultimo riguardo, giova ancora ricordare che
questa Corte ha ripetutamente precisato che la certificazione E., concernendo
esclusivamente la differenza tra il totale del capitale lordo da liquidare e la
somma di dotazione iniziale, non assolve all’onere probatorio spettante al
contribuente che agisca per vedere riconosciuto il suo diritto al rimborso,
poiché non reca alcuna specificazione dei criteri utilizzati per la
quantificazione della voce “rendimento”, sì da chiarire se si tratti
effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al
dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (v.
Cass. n. 9959/2022; Cass. nn. 11611, 11612/2021).

5. Il ricorso va pertanto accolto in relazione al
terzo motivo, restando assorbiti i restanti, e la sentenza impugnata va
conseguentemente cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di
fatto, poiché la vicenda fiscale è stata ampiamente scrutinata anche sul piano
dell’apprezzamento del materiale probatorio da parte dei giudici di merito, e
in ossequio al principio della ragionevole durata del processo, la causa può
essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc.
civ., con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

Le spese del presente grado di legittimità seguono
la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Le spese del merito e del
precedente giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo motivo ricorso, dichiara assorbiti
i restanti, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il
ricorso introduttivo del contribuente; condanna il controricorrente e gli
intervenienti al pagamento delle spese del presente grado di legittimità,
liquidandole in € 6.000,00 oltre spese prenotate a debito; compensa tra le
parti le spese dei gradi di merito e del precedente giudizio di legittimità.

 

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