Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 novembre 2022, n. 33130

Lavoro, Società cooperativa, Sgravio contributivo per i
lavoratori svantaggiati, Domanda, Condizioni

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza del 21.5.2016, la Corte di Appello
di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha escluso il
diritto della società cooperativa appellata ad usufruire delle agevolazioni
contributive di cui all’art. 3,
comma 4, della legge nr. 381 del 1991 per i mesi di ottobre, novembre e
dicembre 2001, nonché per gli anni 2002, 2003 e 2004, con condanna della stessa
al pagamento della complessiva somma di euro 42.376,72 a titolo di contributi,
oltre interessi e somme aggiuntive.

2. La Corte territoriale osservava in motivazione,
per quanto qui di interessa, come la Cooperativa sociale non avesse diritto
allo sgravio contributivo per i lavoratori svantaggiati: il beneficio
domandato, infatti, presupponeva che i lavoratori svantaggiati rappresentassero
«almeno il trenta per cento dei lavoratori della cooperativa» e detta
proporzione non era, nella fattispecie, rispettata.

3. Ai fini del calcolo della percentuale, infatti,
il termine di comparazione (id est: «lavoratori della cooperativa»), per la
Corte di appello, era da intendersi riferito indistintamente alla forza di
lavoro occupata, comprensiva di qualsiasi tipo di collaborazione con l’impresa
(nella specie, quella cd. parasubordinata) e non soltanto ai rapporti di lavoro
subordinato, dei soci e non soci.

4. La cooperativa in epigrafe ha proposto ricorso
per cassazione, affidato ad un unico motivo, successivamente illustrato con
memoria. Ha resistito, con controricorso, l’INPS.

5. Il procuratore generale, in vista della decisione
della controversia ed ai sensi dell’art. 23 comma 8-bis del dl. n. 137
del 2020 convertito con modificazioni dalla legge
n. 176 del 2020, ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

6. Con l’unico motivo di ricorso, la società
cooperativa denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, commi 2 e 3, della legge
nr. 381 dell’8.11.1991.

7. Censura l’interpretazione della Corte di appello
con riferimento all’individuazione del numero dei lavoratori che devono
costituire la base di calcolo della percentuale del «trenta per cento» ai fini
del beneficio invocato.

8. A fondamento della censura richiama, tra l’altro:

– La ratio della legge. Per la ricorrente, l’esegesi
della normativa resa dalla Corte di appello, piuttosto che favorire, pregiudica
l’inserimento dei lavoratori cd. svantaggiati. Infatti, se è vero che,
ampliando la base di calcolo, aumenterebbe il numero di persone svantaggiate
che possono assumersi, è altrettanto vero che l’impresa cooperativa intanto
assume personale «meno efficiente», in quanto detta assunzione abbia un costo
minore di quella ordinaria e sia «adeguatamente» sostenuta, con interventi di
agevolazione fiscale e contributiva.

– Le analogie con il collocamento obbligatorio. In
tale prospettiva, il Ministero del lavoro, con lettera del 19.5.1994, ripresa
dall’INPS con circolare nr. 188 del 1994,
avrebbe richiamato il criterio di cui alla legge
nr. 482 del 1968 per la determinazione della quota di riserva. Nella base
di calcolo andrebbero, dunque, inclusi solo i «dipendenti», come poi indicato
dalla successiva legge nr. 68 del 1999, recante
norme per il diritto al lavoro dei disabili (cd. categorie protette).

– La nozione di «forza lavoro» nelle leggi
agevolative e la coerenza con i parametri generali presi in considerazione
dall’ordinamento statale ai fini della determinazione del «limite dimensionale»
dell’azienda. Parte ricorrente ricorda, tra gli interventi più recenti, la legge nr. 296 del 2006 sul TFR (trattamento di
fine rapporto), per la quale il limite dimensionale di «50 addetti» è riferito
esclusivamente ai lavoratori con contratto di lavoro subordinato (così anche circolare Inps nr. 70 del 2007).

9. Il motivo è fondato.

10. La questione da affrontare concerne l’individuazione
della base di calcolo per la determinazione della quota di cui all’art. 4, comma 2, della legge nr.
381 del 1991. Occorre in particolare stabilire se detta quota, il cui
rispetto è necessario per

fruire dello sgravio contributivo indicato nel
successivo comma 3, debba parametrarsi ai lavoratori subordinati impiegati
nella cooperativa o, invece, sia riferibile a tutti coloro che sono occupati
presso la stessa, a prescindere dallo specifico vincolo contrattuale che li
lega alla cooperativa.

11. L’art.
1, comma 1, della legge nr. 381 del 1991, ratione temporis applicabile,
stabilisce che: «Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l’interesse
generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei
cittadini attraverso: a) la gestione dei servizi socio-sanitari ed educativi;
b) lo svolgimento di attività diverse -agricole, industriali, commerciali o di
servizi- finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate».

12. Il successivo art. 4 individua, al primo
comma, le persone svantaggiate che svolgono le attività di cui all’art. 1, comma 1, lettera b).

13. Tali sono gli invalidi fisici, psichici e
sensoriali, gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i
soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i
minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone
detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati
ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all’esterno. Si
considerano inoltre persone svantaggiate i soggetti indicati con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e
della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, con il
Ministro dell’interno e con il Ministro per gli affari sociali, sentita la
commissione centrale per le cooperative istituita dall’art. 18 del citato decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577 e
successive modificazioni.

14. Il comma 2 dell’art. 4 cit. stabilisce, per
quanto qui maggiormente rileva, che: «Le persone svantaggiate di cui al comma 1
devono costituire almeno il trenta per cento dei lavoratori della cooperativa
e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa
stessa […]» mentre il comma 3 della medesima disposizione prevede che: «Le
aliquote complessive della contribuzione per l’assicurazione obbligatoria
previdenziale e assistenziale dovute dalle cooperative sociali, relativamente
alla retribuzione corrisposta alle persone svantaggiate di cui al presente
articolo, con l’eccezione delle persone di cui al comma 3-bis, sono ridotte a
zero».

15. Come i giudici di legittimità hanno già avuto
modo di precisare, la suddetta legge ha lo scopo di promuovere l’avviamento e
l’integrazione lavorativa di coloro che si trovavano in posizione di svantaggio
sociale (Cass. nr. 10506 del 2012 che richiama
Cass. nr. 5472 del 2005); detta finalità è
perseguita attraverso la possibilità di impiegare le persone svantaggiate ad un
costo più basso rispetto a quello ordinariamente necessario per l’instaurazione
di rapporti di lavoro della medesima tipologia e gli sgravi, come pure gli
altri interventi di fiscalizzazione degli oneri sociali, (entrambi finanziati
da risorse provenienti dal bilancio dello Stato, e, quindi dalla fiscalità
generale) riducono il costo del lavoro (Cass. nr. 6322 del 2001).

16. Ciò posto, l’esegesi della normativa -e in
particolare della disposizione che viene all’esame del Collegio- non può
prescindere dall’ambito normativo preesistente in cui si è inserita (quello
cioè dell’inizio degli anni novanta del secolo scorso), caratterizzato, come
noto, da un mercato del lavoro legato alla regola della stabilità dell’impiego,
con forme flessibili di lavoro che, ancora, rappresentavano l’eccezione.

17. Ne è logico corollario l’affermazione per cui
l’inclusione lavorativa dei lavoratori «svantaggiati», realizzata dal
legislatore del 1991, era volta a favorire l’assunzione degli stessi con
contratti di lavoro subordinato.

18. Conseguentemente -e per ragioni di coerenza- il
rapporto stabilito dal comma 2 dell’art. 4 cit («almeno il trenta
per cento dei lavoratori della cooperativa») non può che riguardare termini
omogenei, vale a dire «lavoratori svantaggiati subordinati» e «lavoratori
subordinati (già in organico) della cooperativa», posto che i primi vanno ad
incrementare il numero dei secondi.

19. In altre parole – e per quanto qui occupa- la
condizione dell’«alleggerimento» (recte dell’esenzione) dei contributi
previdenziali relativi ai lavoratori svantaggiati richiede il rispetto di una
proporzione, in termini di assunzioni, che rileva unicamente tra rapporti di
analogo contenuto e con il medesimo regime contributivo.

20. Le esposte considerazioni dimostrano l’erroneità
della motivazione della sentenza impugnata la quale non valuta che, in
un’ottica di sgravi contributivi, la legge del 1991 mai avrebbe potuto
considerare, quale parametro di riferimento, un montante contributivo inclusivo
dei lavoratori cd. parasubordinati, poiché solo successivamente -e cioè con la legge 8 agosto 1995 nr. 335 (la cd. riforma Dini
del sistema previdenziale)- il legislatore avrebbe istituito una Gestione
separata presso l’Inps rivolta -oltre che ai lavoratori autonomi sprovvisti di
una cassa previdenziale di appartenenza- ai titolari di rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa, allo scopo di offrire loro una
copertura previdenziale pubblica, in quanto figure professionali sempre più
emergenti nel mercato del lavoro.

21. La prescelta ricostruzione trova conferma, come
sostenuto dalla ricorrente, anche nell’ultima circolare INPS, intervenuta in
materia, quale atto che, seppure non vincolante, offre un’interpretazione in
sede amministrativa della normativa in oggetto.

22. La circolare nr. 188
del 17 giugno 1994, seguendo l’analogo indirizzo del Ministero del Lavoro e
della Previdenza Sociale (lettera del 19.5.1994, nr. 360), ha chiarito, in
relazione alla questione qui controversa, che, ai fini del computo del «trenta
per cento», deve farsi riferimento al numero complessivo dei lavoratori
costituenti la base sociale, ovverosia «soci e dipendenti».

23. Il riferimento «ai soci» (oltre che ai
dipendenti), senza ulteriori specificazioni, non ingenera equivoci e si spiega
agevolmente considerando che, solo la riforma del 2001 (legge nr. 142 del 2001), ha espressamente previsto
che il socio lavoratore può stabilire, con la propria adesione alla
cooperativa, un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata,
parasubordinata o autonoma, con cui contribuisce comunque al raggiungimento
degli scopi sociali, con conseguente applicazione della disciplina del rapporto
di lavoro in quanto compatibile (art.
1, comma 3, della legge nr. 142 del 2001).

24. In precedenza, per una generale fictio iuris
della materia previdenziale, il socio lavoratore era considerato prestatore di
lavoro subordinato (Cass. 14 dicembre 2002 n. 17915, Cass. 25 maggio 2002 n.
7668) sicché «soci e dipendenti», ai fini che qui interessano, sono i
lavoratori subordinati.

25. Alla stregua di quanto precede, deve in
conclusione affermarsi che, agli effetti del beneficio contributivo di cui all’art.4, comma 3, della legge nr.
nr. 381 del 1991, la condizione di cui comma 2 è soddisfatta se «le persone
svantaggiate di cui al comma 1» costituiscono «almeno il trenta per cento dei
lavoratori subordinati della cooperativa».

26. A tale regola iuris non si è conformata la
sentenza impugnata che va dunque cassata, con rinvio degli atti alla Corte di
appello di Milano, in diversa composizione.

27. Al giudice del rinvio è, altresì, demandata la
regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di
provvedere anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 novembre 2022, n. 33130
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