Inammissibile la prova per testimoni in caso di mancanza di comunicazione scritta del licenziamento.

Nota a Cass. (ord.) 8 settembre 2022, n. 26532

Paolo Pizzuti

Ai sensi dell’art. 2725 cpv. c.c. non è consentita la prova testimoniale di un contratto (o di un atto unilaterale ex art. 1324 c.c.) di cui la legge preveda la forma scritta a pena di nullità se non nel caso indicato dal precedente art. 2724, n. 3, c.c., vale a dire quando il documento sia andato perduto senza colpa.

Di conseguenza è nullo, per difetto della forma prevista ex lege, il documento consistente in una lettera di licenziamento “quando di tale documento non risulta la data certa di redazione in epoca anteriore o coeva all’estromissione del lavoratore, né la data potrebbe essere quella riferita dai testi, perché in tal modo si aggirerebbe surrettiziamente quel divieto di prova testimoniale di cui all’art. 2725 cpv. c.c.”.

Lo ribadisce la Corte di Cassazione (ord. 8 settembre 2022, n. 26532; conf. a Cass. n. 27792/2018 e n. 11479/2015) dichiarando inammissibile il ricorso avverso la Corte di Appello di Firenze n. 224/2019, la quale aveva affermato che “qualora a monte sia contestato che al momento dell’estromissione il lavoratore abbia ricevuto la consegna di una lettera di licenziamento, tale modalità di comunicazione non può essere oggetto di prova orale perché, altrimenti, la testimonianza conterrebbe inevitabilmente al suo interno la prova orale dell’esistenza scritta di un atto per il quale la forma è richiesta ad substantiam”.

I giudici hanno dichiarato altresì che: a) l’inammissibilità del divieto di testimonianza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (attenendo a norma di ordine pubblico), a differenza di quanto avviene in ipotesi di violazione degli artt. 2721 e ss. c.c. o di testimonianza assunta in materia di atti unilaterali e contratti per i quali sia richiesta la forma scritta ad probationem tantum; b) il divieto in questione non è superabile ex art. 421, co. 2, prima parte, c.c., poiché esso, nell’attribuire al giudice del lavoro il potere di ammettere d’ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, si riferisce non ai requisiti di forma previsti (ad substantiam o ad probationem) per alcuni tipi di contratti, ma ai limiti fissati alla prova testimoniale, in via generale, dagli artt. 2721, 2722 e 2723 del codice medesimo.

Sul tema in esame la giurisprudenza ha precisato che all’onere di comunicare il licenziamento in forma scritta non può supplire la trasmissione dei dati relativi alla cessazione del rapporto al Centro dell’Impiego, in quanto la stessa viene indirizzata a soggetto diverso dal lavoratore e, peraltro, priva di specificazione dei motivi (cfr. Trib. Roma, 3 febbraio 2020, n. 1080).

Come noto, il licenziamento è un negozio unilaterale recettizio a forma vincolata e (in virtù della presunzione ex art. 1335 c.c.) s’intende conosciuto quando pervenga all’indirizzo del destinatario o gli sia consegnato materialmente a mani proprie (dimostrabile, ad es., con sottoscrizione per ricevuta apposta in calce alla lettera del licenziamento stesso). La comunicazione del licenziamento può essere effettuata anche mediante un telegramma (Cass. n. 12128/1992) o anche tramite whatsapp qualora il lavoratore imputi al datore di lavoro il documento informatico, eventualmente provvedendo a formulare tempestiva impugnazione (Trib. Catania 27 giugno 2017); essa inoltre va effettuata all’indirizzo abituale fornito all’azienda con irrilevanza di brevi e reiterati allontanamenti (v. Cass. n. 18150/2006)

La forma scritta del recesso è rispettata anche nel caso in cui il datore di lavoro offra in consegna la lettera di licenziamento al dipendente che rifiuti di riceverla (v. Cass. n. 20272/2009 e n. 23071/2007; nonché Cass. n. 7306/2019, annotata in q. sito da A. SERRA, che limita il principio all’offerta avvenuta nel luogo di lavoro).

Inoltre, “il lavoratore subordinato che impugni un licenziamento allegando che è stato intimato senza l’osservanza della forma prescritta ha l’onere di provare, quale fatto costitutivo della sua domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro, anche se manifestata con comportamenti concludenti; la mera cessazione nell’esecuzione delle prestazioni non è circostanza di per sé sola idonea a fornire tale prova. Ove il datore di lavoro eccepisca che il rapporto si è risolto per le dimissioni del lavoratore, il giudice sarà chiamato a ricostruire i fatti … e solo nel caso perduri l’incertezza probatoria farà applicazione della regola residuale desumibile dall’art. 2697, comma 1, c.c., rigettando la domanda del lavoratore che non ha provato il fatto costitutivo della sua pretesa” (così, Cass. 9 luglio 2019, n. 18402).

Forma scritta del licenziamento e divieto di prova testimoniale
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