Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 novembre 2022, n. 34032

Rapporto di lavoro, Procedura fallimentare, Insolvenza del
datore di lavoro cedente, Intervento del Fondo di garanzia

 

Fatti di causa

 

Con sentenza depositata il 14.3.2017, la Corte d’appello
di Milano ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la
domanda di A.B. volta a conseguire dall’INPS, quale gestore del Fondo di
garanzia ex I. n. 297/1982 e succ. mod. e
integraz., l’importo del TFR maturato alle dipendenze di F.d.P. & C. s.a.s.

La Corte, in particolare, ha valorizzato la
circostanza che la lavoratrice avesse solo tentato di notificare un decreto
ingiuntivo corredato di precetto alla società ex datrice di lavoro presso la
quale aveva maturato il TFR, senza intraprendere alcuna esecuzione forzata né
nei suoi confronti né nei confronti di W. s.r.I., che pure era stata
affittuaria della relativa azienda e presso la quale ella stessa aveva prestato
servizio in forza di autonomo rapporto di lavoro subordinato stipulato alcuni
giorni dopo la conclusione del contratto di affitto, e ha pertanto reputato che
non vi fossero i presupposti per l’intervento del Fondo di garanzia, non
essendovi prova che le garanzie patrimoniali dei due datori di lavoro fossero
risultate insufficienti.

Avverso tali statuizioni A.B. ha proposto ricorso
per cassazione, deducendo due motivi di censura. L’INPS ha resistito con
controricorso. Il Pubblico Ministero ha depositato memoria con cui ha
argomentato per il rigetto del ricorso. Anche le parti hanno depositato memoria
ex art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 5 0 , I. n. 297/1982,
e 1, comma 2, d.lgs. n. 80/1992,
per avere la Corte di merito rigettato la domanda sul presupposto che ella
avesse solamente tentato di notificare alla ex datrice di lavoro il decreto
ingiuntivo e il precetto relativi al credito per TFR, senza tuttavia
considerare nei suoi confronti non era in concreto possibile alcuna azione
esecutiva, essendo stata la società sciolta senza nemmeno esser previamente posta
in liquidazione e avendo gli eredi dell’unico socio accomandatario rinunciato
all’eredità: ad avviso di parte ricorrente, infatti, onerare in casi del genere
l’assistito della necessità di una previa e infruttuosa esecuzione patrimoniale
del datore di lavoro equivarrebbe a disattendere l’insegnamento di questa Corte
di legittimità secondo cui tale comportamento non può essere richiesto allorché
l’esperimento dell’esecuzione forzata ecceda i limiti dell’ordinaria diligenza
oppure quando la mancanza e/o l’insufficienza delle garanzie patrimoniali
debbano considerarsi provate in relazione alle particolari circostanze del caso
concreto.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta
violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c.,
per avere la Corte territoriale ritenuto che la responsabilità solidale
dell’impresa affittuaria dell’azienda dell’ex datrice di lavoro valesse
comunque ad escludere l’intervento del Fondo di garanzia: a suo avviso,
infatti, essendo il TFR un credito a maturazione progressiva, nessun dubbio
potrebbe sussistere circa l’obbligo dell’ex datrice di lavoro di corrisponderlo
per la parte di rapporto svolto alle sue dipendenze, di talché affatto
ingiustificato sarebbe stato il rifiuto dell’INPS di corrisponderlo.

Tale ultimo motivo va esaminato con priorità, in
considerazione della sua potenziale valenza assorbente, ed è infondato.

Parte ricorrente fonda la propria prospettazione
sull’assunto (già sostenuto da questa Corte con la sentenza
n. 24730 del 2015) secondo cui, ove si ritenesse che i crediti già venuti
in essere presso il datore di lavoro cedente possano essere fatti valere ex art. 2112 c.c. nei confronti del cessionario, si
realizzerebbe un aggiramento della disciplina dell’art. 2, I. n. 297/1982, e dell’art. 2, d.lgs. n. 80/1992.

Si tratta, tuttavia, di assunto che la successiva
giurisprudenza di questa Corte ha rimeditato e disatteso, reputando invece che,
anche quando il fallimento o comunque l’insolvenza del datore di lavoro cedente
intervenga dopo che sia cessato il rapporto di lavoro proseguito con il
cessionario, l’intervento del Fondo di garanzia va circoscritto al caso in cui
sia stato dichiarato insolvente ed ammesso alle procedure concorsuali il datore
di lavoro che è tale al momento in cui il TFR diviene esigibile, restando
irrilevante e inopponibile all’INPS la stessa circostanza che il credito
maturato per TFR fino al momento della cessione dell’azienda sia stato ammesso
allo stato passivo nella procedura fallimentare del cedente (Cass. n. 19277 del 2018): scopo della direttiva europea 80/987/CEE (di cui l’art. 2, I. n. 297/1982,
rappresenta recepimento) è infatti l’assicurazione di una copertura del Fondo
di garanzia per i crediti insoddisfatti che siano maturati in quel determinato
periodo di tempo in cui si può ragionevolmente presumere che l’inadempimento
datoriale sia conseguenza della sua condizione di insolvenza, non anche la
copertura di un qualsiasi inadempimento verificatosi in danno del lavoratore,
essendo i crediti del lavoratore nelle vicende circolatorie dell’azienda
oggetto di specifica tutela da parte di altre normative comunitarie (così, in
motivazione, Cass. n. 4897 del 2021).

Se ciò è vero, affatto irrilevante, ai fini
dell’intervento del Fondo di garanzia, è la previsione legale che rende
l’impresa cedente coobbligata con l’impresa cessionaria per la quota di TFR
maturata alle sue dipendenze prima della cessione; ciò che conta è piuttosto
che insolvente o sottoposto a procedura fallimentare sia il datore di lavoro
alle cui dipendenze si trova il lavoratore al momento della cessazione del
rapporto e della conseguente esigibilità del TFR: in questo caso, infatti, la
garanzia del Fondo non è neanche subordinata alla previa escussione di altri condebitori
solidali pro quota (si veda sul punto Cass. n.
26021 del 2018), mentre, laddove debba trovare applicazione la tutela
prevista dall’art. 2112 c.c. nell’ipotesi di
trasferimento d’azienda, non può farsi luogo, in caso di insolvenza del datore
di lavoro cedente, alla copertura del Fondo di Garanzia, non potendo
configurarsi alcuna indebita contaminazione tra le due tutele (così, da ult., Cass. nn. 39698 del 2021 e 1861 del 2022).

Il ricorso, assorbito il primo motivo, va pertanto
rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di
legittimità, giusta il criterio della soccombenza.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono
altresì i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove
dovuto, previsto per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in €
5.200,00, di cui € 5.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari
al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

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