Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 ottobre 2022, n. 40337

Sicurezza, Lavorazioni a bordo di trattore, Infortunio,
Violazione dell’art.71, comma 1,
d. Igs. 9 aprile 2008, n.81, Omessa adozione di una corretta procedura di
controllo e manutenzione del sistema frenante, Reato di lesioni colpose,
Responsabilità del datore

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza
indicata in epigrafe, ha riformato la sentenza assolutoria emessa in data 27
giugno 2019 dal Tribunale di Siena nei confronti di M.M. con formula «perché il
fatto non costituisce reato», dichiarando l’imputato responsabile del delitto
di cui all’art. 590, comma 3, cod. pen.
commesso in Castellina in Chianti, località Montelupo il 10 dicembre 2016.

2. Il fatto era così descritto nel capo di
imputazione: M.M. aveva incaricato il lavoratore dipendente P.P. di effettuare
delle lavorazioni a bordo del trattore M.F.; a seguito dell’’improvvisa rottura
dei freni il lavoratore si era gettato dal mezzo, riportando lesioni personali
consistite nella frattura esposta alla gamba sinistra di durata superiore a 40
giorni. Al datore di lavoro era imputata la violazione dell’art.71, comma 1, d. Igs. 9 aprile
2008, n.81 per non aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature
conformi e idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da
svolgere.

2.1. Il giudice di primo grado aveva assolto
l’imputato per non esservi prova certa del nesso causale in quanto l’evento
lesivo si era determinato in forza di una dinamica che prescindeva dall’omessa
installazione di un sistema di ancoraggio del conducente al sedile del
trattore. Con la premessa che il pubblico ministero avesse strutturato
l’ipotesi accusatoria su tale omissione e sul rilievo che il trattore fosse
munito del dispositivo di protezione contro il ribaltamento ma che non fossero
state installate le cinture di sicurezza, il tribunale ha considerato che, in
quel particolare frangente e in quelle condizioni emotive, non potesse
escludersi che il lavoratore si sarebbe comunque liberato del sistema di
ancoraggio.

2.2. La Corte di appello, investita del giudizio di
impugnazione dalla pubblica accusa, ha rilevato che l’ipotesi accusatoria
prevedeva una condotta omissiva più ampia di quella esaminata dal primo
giudice, inclusiva dell’omessa adozione da parte del datore di lavoro di una
corretta procedura di controllo e manutenzione del sistema frenante,
sottolineando come fosse incontestata la circostanza che durante l’uso del
mezzo i freni, inizialmente funzionanti, si fossero improvvisamente guastati
nonostante il terreno fosse solo «lievemente in pendenza» e rimarcando come la rottura
dei freni fosse all’origine del processo causale dal quale erano derivate le
lesioni.

3. M.M. propone ricorso per cassazione censurando la
sentenza impugnata, con un primo motivo, per erronea applicazione della legge
penale e mancanza di motivazione. La difesa sostiene che la Corte ha
riconosciuto nella determinazione dell’infortunio un ruolo centrale all’omessa
manutenzione del sistema di frenata del mezzo utilizzato dalla persona offesa,
sebbene il ricorrente avesse adempiuto agli obblighi di manutenzione, come
risulta dal documento datato 28 giugno 2016, dal quale emerge l’intervenuta
manutenzione del mezzo agricolo e uno specifico intervento sul sistema
frenante, precisamente il cambio dei dischi dei freni, facendo emergere come il
guasto sia avvenuto in maniera del tutto improvvisa e imprevedibile. La Corte
fiorentina ha parlato di constatata inefficienza, ma la stessa chiazza d’olio,
indicata dalla Corte di appello quale possibile prova di un problema meccanico,
dimostra l’inevitabilità dell’evento. La difesa lamenta l’omessa valutazione
della linea difensiva prospettata nella memoria depositata ai sensi dell’art.121 cod. proc. pen., ribadita in sede di
discussione; la Corte di appello avrebbe fornito motivazione carente,
limitandosi in pochi passaggi a ribaltare la decisione del tribunale senza
esaminare la contrapposta versione fornita dalla difesa. Nel ricorso si
precisa, altresì, che l’installazione dei dispositivi di ancoraggio del
conducente al sedile era del tutto inconferente rispetto al rischio in concreto
verificatosi.

Con un secondo motivo deduce mancanza di motivazione
ed errore di diritto sotto il profilo della valutazione della condotta del
tutto imprevedibile del lavoratore, che si sarebbe dovuta considerare tale da
interrompere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e
l’evento. Il dipendente aveva frequentato uno specifico corso formativo per la
guida di mezzi come il trattore e aveva una certa esperienza, per cui ci si
sarebbe potuti attendere una reazione diversa, come ad esempio quella di
spegnimento del trattore, sufficiente per tali veicoli a fermare il mezzo, a
maggior ragione in terreni pianeggianti.

4. All’udienza odierna, procedendosi a trattazione
orale secondo la disciplina dettata dall’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre
2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020,n. 176, in virtù del
disposto dell’art.16, comma 1,
d.l. 30/12/2021 n. 228, sono comparsi il Procuratore generale e il
difensore del ricorrente, che hanno concluso come indicato nell’intestazione.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.

2. Con il primo motivo di ricorso si prospettano
vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione la cui esistenza
sarebbe desumibile da un documento, allegato al ricorso, attestante l’avvenuta
manutenzione del veicolo circa sei mesi prima dell’infortunio.

2.1. Ma il Collegio rileva che nel ricorso è assente
ogni riferimento alla produzione di tale documento nelle fasi di merito,
rendendo necessario esaminare quale incidenza tale assenza di riferimento abbia
nel presente giudizio.

2.2. Ove il documento non fosse stato sottoposto
all’esame dei giudici di merito, tale produzione sarebbe inammissibile in
questa fase, trattandosi di una vera e propria prova documentale che richiede
un’attività di apprezzamento della sua efficacia nel contesto delle
acquisizioni istruttorie. E gli artt.585, comma
4, e 311, comma 4, cod. proc. pen.
(quest’ultimo richiamato – in tema di misure cautelari reali – dall’art. 325, comma 3, cod. proc. pen.) consentono,
rispettivamente in generale nel giudizio di impugnazione, e in particolare nel
giudizio di legittimità, la formulazione di «motivi nuovi», non anche la
produzione di «documenti nuovi». Secondo quanto ripetutamente affermato dalla
Corte di legittimità (Sez. 1, n. 42817 del 06/05/2016, T., Rv. 267801; Sez. 3,
n. 5722 del 07/01/2016, S., Rv. 266390; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep.
2013, P., Rv. 254302; Sez. 4, n. 3396 del 06/12/2005, dep. 2006, K., Rv.
233241), non è ammissibile la produzione per la prima volta in sede di
legittimità di «documenti nuovi», ovvero già non facenti parte del fascicolo,
diversi da quelli che non costituiscono nuova prova e che non esigono attività
di apprezzamento sulla loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte,
perché tale attività è estranea ai compiti istituzionali della Corte di
Cassazione. I documenti esibiti per la prima volta in sede di legittimità non
sono, in altre parole, ricevibili perché il nuovo codice di rito non ha
previsto all’art.613, diversamente
dall’abrogato art. 533, tale facoltà: si è, in
tal modo, inteso esaltare il ruolo di pura legittimità della Suprema Corte, che
procede non ad. un esame degli atti, ma soltanto alla valutazione
dell’esistenza e della logicità della motivazione (Sez. 2, n. 42052 del
19/06/2019 , M. C., Rv. 277609 – 01).

2.3. Qualora, al contrario, la difesa avesse già
prodotto tale documento nelle fasi di merito, sarebbe stato necessario
specificare tale dato processuale, posto che il giudice di legittimità non può
dedurlo dal mero adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso, che
altrimenti si trasformerebbe nello strumento per introdurre nel giudizio di
legittimità documenti e fatti non dedotti tempestivamente davanti ai giudici
del merito (Sez. 6, n.12645 del 04/03/2015, B., Rv. 263713 – 01).

2.4. A ciò sì aggiunga che nella memoria ex art. 121 cod. proc. pen. allegata al verbale del
28 maggio 2021 (nel quale peraltro non vi è menzione del deposito), non vi è
alcun riferimento a tale documento e la difesa ha sviluppato argomentazioni
inerenti a temi (imprevedibilità oggettiva e soggettiva dell’evento),
congruamente esaminati nella sentenza impugnata.

3. Il secondo motivo si limita a contestare le
valutazioni del fatto svolte in fase di appello con riguardo alla prospettata
abnormità del comportamento del lavoratore, proponendo una rilettura delle
prove in senso favorevole all’imputato.

3.1. Onde valutare la legittimità delle
argomentazioni svolte dai giudici di merito, è bene richiamare in sintesi
alcuni principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di
condotta cosiddetta abnorme del lavoratore, da valutare in applicazione dell’art.41, comma 2, cod. pen., a norma del quale il
nesso eziologico può essere interrotto da una causa sopravvenuta che si
presenti come atipica, estranea alle normali e prevedibili linee di sviluppo
della serie causale attribuibile all’agente e costituisca, quindi, un fattore
eccezionale. Giova soffermarsi sul punto della sentenza in cui la Corte
territoriale ha ritenuto accertato che il sistema frenante del trattore al
quale era stato addetto il lavoratore si è rivelato inidoneo. Le misure
prevenzionistiche dettate dall’art.71
d. Igs. n.81/2008 con riguardo alle attrezzature di lavoro impongono, tra
l’altro, che il datore di lavoro prenda le misure necessarie affinché le
attrezzature di lavoro «siano oggetto di idonea manutenzione al fine di
garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza di cui all’articolo 70» che a sua volta
rimanda alle regole generali raccolte nell’Allegato V, ove si fa
riferimento (Parte II, par.2.6) lett.c) ai dispositivi di comando che
consentano la frenatura e l’arresto delle attrezzature di lavoro mobili semoventi.
Nel caso concreto, i giudici hanno ritenuto che l’improvvisa rottura del
sistema frenante avesse rivelato un difetto di manutenzione e controllo da
parte del datore di lavoro sul quale si era innestata la condotta del
lavoratore, considerata come prevedibile gesto di reazione alla situazione di
pericolo.

3.2. Si deve, a tal fine, ricordare che, in una
sentenza di questa Sezione (Sez. 4, n. 49821 del
23/11/2012, L., Rv. 254094), sono state richiamate le pronunce della Corte
nelle quali si è ritenuto che il comportamento del lavoratore avesse interrotto
il nesso di causalità tra l’azione o l’omissione del datore di lavoro e
l’evento e, in dettaglio, le seguenti:

a) un dipendente di un albergo in una località
termale, terminato il turno di lavoro, si era diretto verso l’auto parcheggiata
nei pressi e, per guadagnare tempo, invece di percorrere la strada normale, si
era introdotto abusivamente in un’area di pertinenza di un attiguo albergo ed
aveva percorso un marciapiede posto a margine di una vasca con fango termale
alla temperatura di circa 80 gradi. L’area era protetta da ringhiere metalliche
ed il passaggio era sbarrato da due catenelle, mentre non esisteva alcuna
protezione all’interno dell’area stessa, sui passaggi che fiancheggiavano le
vasche. In prossimità dell’area si trovavano segnali di pericolo. L’uomo, che
conosceva molto bene la zona, aveva scavalcato le catenelle e si era
incamminato lungo i marciapiedi, ma aveva messo un piede in fallo cadendo nella
vasca e perdendovi la vita (Sez. 4, n. 11311 del 07/05/1985, B., Rv. 171215).
La pronunzia assolutoria, confermata dal giudice di legittimità, era motivata
dal fatto che il lavoratore conosceva benissimo i luoghi e fosse ben
consapevole dei pericoli derivanti dal fango ad alta temperatura, dai vapori
che ne emanavano e dal buio;

b) un operaio addetto ad una pala meccanica che si
era improvvisamente bloccata era sceso dal mezzo senza spegnere il motore e,
sdraiatosi sotto di essa tra i cingoli, aveva sbloccato a mano la frizione
difettosa sicché il veicolo, muovendosi, lo aveva travolto. La Corte ha, in
tale occasione, affermato il principio che la responsabilità dell’imprenditore
deve essere esclusa allorché l’infortunio si sia verificato a causa di una
condotta del lavoratore inopinabile ed esorbitante dal procedimento di lavoro
cui è addetto, oppure a causa di inosservanza di precise disposizioni
antinfortunistiche (Sez.4, n.3510 del 10/11/1989, dep.1990, A., Rv.183633);

c) un lavoratore, addetto ad una macchina dotata di
fresatrice, con il compito di introdurvi manualmente degli elementi di legno,
aveva inserito la mano all’interno dell’apparato, «eseguendo una manovra tanto
spontanea quanto imprudente», per rimuovere residui di lavorazione, subendone
l’amputazione. L’imputazione riguardava il reato di cui all’art. 590 cod. pen. in relazione all’art. 68 d.P.R. n.547/55 per
la mancata adozione di idonei dispositivi di sicurezza. La Corte d’appello
aveva affermato la responsabilità del titolare della ditta e del preposto ai
lavori. La Corte di Cassazione ha, invece, annullato con rinvio ai giudice di
merito perché verificasse se l’incongruo intervento del lavoratore fosse stato
richiesto da particolari esigenze tecniche, osservando che l’operazione
compiuta era rigorosamente vietata; che la macchina era dotata di idoneo
strumento aspiratore; che il lavoratore era perfettamente consapevole che la
fresatrice fosse in movimento; che qualunque accorgimento tecnico volto ad
obbligare l’operatore a tenere ambo le mani impegnate per far andare la
macchina avrebbe dovuto fare i conti con il tipo di lavorazione, nel quale la
manualità dell’operatore era totalmente assorbita nell’introduzione del legno
nell’apparato (Sez.4, n. 10733 del 25/09/1995, D.P., Rv. 203223).V

3.3. La condotta colposa del lavoratore è stata, in
altra pronuncia, ritenuta J; idonea ad escludere la responsabilità
dell’imprenditore, dei dirigenti e dei preposti in quanto esorbitante dal
procedimento di lavoro al quale egli era addetto oppure concretantesi nella
inosservanza di precise norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 1484 del
08/11/1989, dep.1990, D., Rv.183199). In alcune sentenze il principio è stato
ribadito, e si è altresì sottolineato che la condotta esorbitante deve essere
incompatibile con il sistema di lavorazione o, pur rientrandovi, deve
consistere in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle
ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella
esecuzione del lavoro, tali non essendo i comportamenti tipici del lavoratore
abituato al lavoro di routine (Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004, G. Rv.229564;
Sez. 4, n. 9568 del 11/02/1991, L., Rv. 188202); in altre si è sostenuto che
l’inopinabilità può essere desunta o dalla estraneità al processo produttivo o
dall’estraneità alle mansioni attribuite (Sez.4, n. 12115 del 03/06/1999, G.,
Rv.214998; Sez.4, n.8676 del 14/06/1996, I., Rv. 206012), o dal carattere del
tutto anomalo della condotta del lavoratore (Sez.4, n. 2172 del 13/11/1984,
dep.1986, A., Rv.172160).

3.4. Se, dunque, da un lato, è stato posto l’accento
sulle mansioni del lavoratore, quale criterio idoneo a discriminare il
comportamento anomalo da quello che non lo è, nel concetto di esorbitanza si è
ritenuto di includere anche l’inosservanza di precise norme antinfortunistiche,
ovvero la condotta del lavoratore contraria a precise direttive organizzative
ricevute, a condizione che l’infortunio non risulti determinato da assenza o
inidoneità delle misure di sicurezza adottate dal datore di lavoro (Sez.4,
n.3455 del 03/11/2004, dep. 2005, V., Rv.230770).

3.5. In sintesi, si può cogliere nella
giurisprudenza di legittimità la tendenza a considerare interruttiva del nesso
di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore non solo quando essa si
collochi in qualche modo al di fuori dell’area di rischio definita dalla
lavorazione in corso ma anche quando, pur collocandosi nell’area di rischio,
sia esorbitante dalle precise direttive ricevute e, in sostanza,
consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in
essere dal datore di lavoro; cionondimeno, quest’ultimo, dal canto suo, deve
aver previsto il rischio e adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione
alle particolarità del lavoro.

3.6. In definitiva, applicando tali principi al caso
concreto, la pronuncia impugnata risulta rispettosa del dettato dell’art.41, comma 2, cod. pen., in particolare laddove
i giudici di merito hanno ritenuto che il comportamento del lavoratore non
fosse qualificabile come causa sopravvenuta sufficiente a determinare l’evento,
essendo stato accertato che la manutenzione dell’attrezzatura semovente fornita
al lavoratore si era rivelata carente.

3.7. E’, inoltre, ripetutamente affermato nella
giurisprudenza della Corte di Cassazione il principio secondo il quale nella
motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a
compiere un’esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti né a fornire
espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze
istruttorie, essendo necessario e sufficiente che spieghi, in modo logico e
adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente
disattese le opposte deduzioni difensive ancorché non apertamente confutate. In
altre parole, non rappresenta vizio censurabile l’omesso esame critico di ogni
questione sottoposta all’attenzione del giudice di merito qualora dal
complessivo contesto argomentativo sia desumibile che alcune questioni siano
state implicitamente rigettate o ritenute non decisive, essendo a tal fine
sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti
che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del
giudice (Sez.2, n.9242 del 8/02/2013, R., Rv.254988; Sez.6, n.49970 del
19/10/2012, M., Rv.254107; Sez.4, n.34747 del 17/05/2012, P., Rv.253512; Sez.4,
n.45126 del 6/11/2008, G., Rv.241907).

4. Alla inammissibilità del ricorso consegue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; tenuto conto
della sentenza della Corte Costituzionale n.186 del
13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la
ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità, segue, a norma dell’art.
616 cod.proc.pen. l’onere del versamento di una somma, in favore della
Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di
inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 3.000,00.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
in favore della Cassa delle Ammende.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 ottobre 2022, n. 40337
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