Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 novembre 2022, n. 34845

Lavoro, Differenze retributive, Art. 29, co. 2, D. Lgs. n.
276/2003, Responsabilità solidale tra appaltante e appaltatore

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Venezia, previa riunione di
procedimenti, ha confermato le sentenze del Tribunale di Verona di condanna
della società B.T. S.p.A. al pagamento, quale appaltante, in solido con
cooperativa appaltatrice, di somme a titolo di differenze retributive spettanti
a sette autotrasportatori, con esclusione delle ore di straordinario e nei
limiti della prescrizione quinquennale a ritroso dal 20/5/2012, ed alla
correlativa regolarizzazione contributiva;

2. la società propone ricorso per Cassazione
affidato a quattro motivi (che ricalcano sostanzialmente quelli di appello);
non si sono costituiti nel presente grado di giudizio i lavoratori intimati;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo di ricorso, la società
ricorrente deduce violazione ed erronea applicazione dell’art. 29, secondo comma,
d. lgs. n. 276/2003 e del combinato disposto degli artt. 416, terzo comma, e
115, primo comma, c.p.c.; sostiene che la Corte d’appello ha erroneamente
ritenuto sufficiente ad interrompere la decadenza la diffida stragiudiziale del
legale degli originari ricorrenti in data 15/5/2012 (rispetto alla cessazione
dell’appalto con la cooperativa in data 31/3/2011), e che ha omesso di
considerare la mancata contestazione ad opera dei lavoratori di tale eccezione
di decadenza;

2. il motivo non è fondato;

3. in primo luogo, esso non si confronta con la
duplice motivazione della sentenza impugnata in ordine all’impedimento della
decadenza nel caso in questione, ossia tanto in base alla (qui contestata)
interpretazione della sufficienza della diffida stragiudiziale a fini
interruttivi, quanto, soprattutto, dalla circostanza espressamente qualificata
come “dirimente … che i ricorsi giudiziali sono stati depositati presso la
cancelleria del Tribunale di Verona entro i due anni dalla cessazione
nell’appalto”;

4. si tratta di motivazione coerente con il
principio generale in materia di processo del lavoro circa l’idoneità del
deposito del ricorso nella Cancelleria del Tribunale in funzione di giudice del
lavoro ad interrompere la decadenza, perché la fissazione udienza e la
conseguente notifica di ricorso e decreto non dipendono dal controllo della
parte (cfr. Cass. n. 3818/2021, n. 29429/2018);

5. in secondo luogo, se è vero che (Cass. n.
8443/2020) la decadenza di cui all’art. 32 della legge n. 183 del 2010 è
rilevabile solo su eccezione di parte, trattandosi di diritto disponibile, con
la conseguenza che soltanto dal momento della costituzione del datore e per
effetto della proposizione della relativa eccezione sorge l’onere del
lavoratore ricorrente di documentare il rispetto dei termini per l’impugnazione
stragiudiziale, nel caso in esame la Corte ha rilevato che il giudice di primo
grado aveva tenuto conto dei fatti idonei ad interrompere la decadenza (lettera
di messa in mora e comunque incardinazione del processo entro il biennio dalla
fine dell’appalto), evidentemente risultanti dagli atti e che quindi non
necessitavano di espressa contro-eccezione;

6. con il secondo motivo, parte ricorrente censura
la sentenza impugnata per violazione ed erronea applicazione dell’art. 414,
quarto e quinto comma, c.p.c., dolendosi del rigetto del secondo motivo
d’appello con il quale aveva eccepito la nullità del ricorso introduttivo per
omessa indicazione degli elementi costitutivi della pretesa fatta valere;

7. il motivo non è fondato, essendosi il giudice di
merito conformato (peraltro nell’ambito di una valutazione allo stesso rimessa
ed incensurabile in sede di legittimità), espressamente richiamandola, alla
giurisprudenza di questa Corte in materia (Cass. n. 3126/2011), che afferma
che, nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del
giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o
per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su
cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente l’omessa indicazione dei
corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che attraverso l’esame
complessivo dell’atto – che compete al giudice del merito ed è censurabile in
sede di legittimità solo per vizi di motivazione – sia impossibile
l’individuazione esatta della pretesa dell’attore e il convenuto non possa
apprestare una compiuta difesa; ne consegue che la suddetta nullità deve essere
esclusa nell’ipotesi in cui la domanda abbia per oggetto spettanze retributive,
allorché l’attore abbia indicato – come nel caso di specie – il periodo di
attività lavorativa, l’orario di lavoro, l’inquadramento ricevuto ed abbia
altresì specificato la somma complessivamente pretesa e i titoli in base ai
quali vengono richieste le spettanze, rimanendo irrilevante la mancata
formulazione di conteggi analitici o la mancata notificazione, con il ricorso,
del conteggio prodotto dal lavoratore;

8. con il terzo motivo, parte ricorrente deduce
violazione ed erronea applicazione dell’art. 416 c.p.c. e dell’art. 42, comma 2
bis, del CCNL Trasporto Merci e Spedizioni;

9. anche questo motivo deve essere respinto,
essendosi il giudice di merito conformato, espressamente richiamandola, alla
costante giurisprudenza di questa Corte in materia, in base alla quale, nel
processo del lavoro, l’onere di contestare specificamente i conteggi relativi
al “quantum” sussiste anche quando il convenuto contesti in radice la
sussistenza del credito, poiché la negazione del titolo degli emolumenti pretesi
non implica necessariamente l’affermazione dell’erroneità della loro
quantificazione, mentre la contestazione dell’esattezza del calcolo ha una sua
funzione autonoma, dovendosi escludere una generale incompatibilità tra il
sostenere la propria estraneità al momento genetico del rapporto e il
difendersi sul “quantum debeatur”; ne consegue che la parte, qualora
neghi non l’esistenza del rapporto lavorativo ma solo la propria titolarità
passiva dell’obbligazione contrattuale, riferendola ad altri, non è esonerata
dalla contestazione dei conteggi, i quali, in assenza di tale censura, si
consolidano nell’importo formulato (cfr. Cass. n. 10116/2015; conf. Cass.
29236/2017);

10. nel caso in esame, il fatto che siano stati
chiesti chiarimenti sui conteggi non ne fa inferire la nullità come assunto da
parte ricorrente, né la contestazione circa l’applicabilità del CCNL logistica
e trasporto merci si è concretizzata in una indicazione dei conteggi ritenuti
corretti, risolvendosi così in una censura generica e non idonea ad inficiare
le argomentazioni dei giudici di merito sulla specifica questione;

11. con il quarto motivo, deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c. per applicazione meccanicistica del
principio della soccombenza.

12. il motivo non è meritevole di accoglimento,
perché la facoltà di disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti
rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a
dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà,
con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata
senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere
censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione
(Cass. n. 11329/2019; v. anche Cass. n. 20617/2018);

13. non vi è luogo a provvedere sulle spese del
presente giudizio, stante la mancata costituzione degli intimati;

14. al rigetto dell’impugnazione consegue il
raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti
processuali;

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se dovuto.

 

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