La simulazione di malattia, con il preciso scopo di svolgere attività extralavorativa, costituisce grave inosservanza dei doveri fondamentali insiti nel rapporto di lavoro.
Nota a Cass. 7 ottobre 2022, n. 29229
Fabrizio Girolami
Il licenziamento per giusta causa intimato al dipendente con mansioni di operatore sanitario, il quale, nei giorni di assenza per malattia, abbia svolto attività extralavorativa per proprio conto presso il bar di sua proprietà, è legittimo e proporzionato. Tale condotta, infatti, risulta contraria agli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione della prestazione lavorativa, facendo presumere la simulazione della patologia dichiarata dallo stesso lavoratore che, in ogni caso, non era tale da impedire al dipendente lo svolgimento dell’attività di lavoro.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. lav., con la sentenza n. 29229 del 7 ottobre 2022, a conferma della statuizione operata dalla sentenza di merito della Corte di Appello di Napoli.
Nel caso di specie, l’operatore sanitario era stato licenziato per giusta causa per avere svolto attività lavorativa in alcune giornate durante le quali si era posto in malattia.
Il dipendente aveva impugnato il licenziamento, chiedendo una pronuncia di illegittimità dello stesso “per insussistenza del fatto contestato” (ovverosia per avere simulato uno stato di malattia) e, in ogni caso, per assenza di giusta causa, eccependo l’insussistenza del requisito di proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto ai fatti addebitati, anche alla luce delle ipotesi di “giusta causa di licenziamento” tipizzate dalla C.C.N.L. di categoria. Conseguentemente, il dipendente aveva chiesto la condanna del datore al ripristino del rapporto di lavoro con conseguente risarcimento del danno.
La Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza del giudice di prime cure (Tribunale di Santa Maria Capua Vetere) che aveva stabilito la legittimità del licenziamento in tronco, sulla base degli esiti degli accertamenti investigativi condotti a carico del lavoratore, i quali avevano consentito di appurare che nei giorni di dichiarata malattia, il predetto era intento a lavorare presso il bar di sua proprietà. Detta condotta, in punto di diritto, è riconducibile alla nozione di giusta causa, evidenziando la gravità dei fatti contestati, integranti gli estremi della simulazione fraudolenta della malattia, preordinata allo svolgimento di attività extralavorative. Pertanto, il giudice di merito aveva considerato il licenziamento pienamente proporzionato rispetto al fatto posto in essere dal dipendente.
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del lavoratore (condannandolo al pagamento delle spese del giudizio di legittimità), ritenendo l’iter logico-giuridico della sentenza impugnata del tutto immune da vizi, in quanto:
- la Corte territoriale non ha reputato “sussistente la simulazione di malattia”, come affermato dal lavoratore ricorrente, bensì ha ritenuto “assolutamente contrario agli obblighi di correttezza e buona fede nell’esecuzione della prestazione il comportamento del lavoratore che durante la malattia ponga in essere attività (…) che lascino presumere una simulazione della patologia”;
- sulla base della sopra citata contrarietà ai canoni di buona fede e correttezza dello svolgimento di altra attività lavorativa durante la malattia, la Corte territoriale ha giustamente considerato “del tutto irrilevante, nel caso in esame, (…) il fatto che non vi sia stato un aggravamento della malattia (…) o che la patologia fosse esistente (laddove per la sua non particolare gravità, essa avrebbe consentito al lavoratore di prestare la propria attività lavorativa)”;
- infine, correttamente il giudice di merito “ha valorizzato il comportamento tenuto dal lavoratore, per desumerne, correttamente, che egli non era impossibilitato a svolgere la sua prestazione lavorativa” e, quindi, presumendo la simulazione dello stato di malattia.