Nell’ipotesi di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, l’attribuzione di un punteggio ai dipendenti, che rifletta il giudizio datoriale sulla loro professionalità e comporti l’espulsione di coloro che abbiano ottenuto una valutazione mediocre, non è ammissibile in quanto concretizza l’esercizio di un ampio margine di discrezionalità da parte dell’azienda.

Nota a Cass. 15 novembre 2022, n. 33623

Giuseppe Catanzaro

La graduatoria basata sull’attribuzione di punteggi evidenzia, quanto al criterio delle esigenze tecnico produttive ed organizzative, l’espressione di un giudizio, cui poi viene associato un punteggio basato su un ampio margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro. Pertanto, “il criterio adottato non è oggettivamente verificabile e controllabile e, quindi, lascia spazio ad una scelta arbitraria dei dipendenti da licenziare, venendo meno così alla funzione dei criteri di scelta che è quella di sottrarre l’individuazione dei lavoratori da licenziare a qualsiasi margine di discrezionalità”.

Questa la pronunzia della Corte di Appello di Catania, avallata dalla Corte di Cassazione 15 novembre 2022, n. 33623, la quale ha chiarito che:

a) ai fini dell’individuazione dei lavoratori da licenziare per riduzione di personale (v. artt. 5, co.1 e 4, co.9, L. n. 223/1991), i criteri di scelta devono consentire di formare una graduatoria rigida che consenta di essere controllata, non potendo sussistere un margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro (v. Cass. n. 5582/2012 e n. 6841/2010);

b) qualora l’azienda comunichi “un criterio vago, il lavoratore è privato della tutela assicuratagli dalla legge predetta, perché la scelta in concreto effettuata dal datore di lavoro non è raffrontabile con alcun criterio oggettivamente predeterminato” (v. Cass. n. 23041/2018) “e si finirebbe in realtà per predicare l’assoluta discrezionalità del datore di lavoro nell’individuazione dei lavoratori da licenziare” (Cass. n. 27165/2009 e Cass. n. 16588/2004);

c) per garantire la trasparenza della procedura di licenziamento collettivo è necessario che il criterio o i criteri prescelti siano oggettivi e non applicabili discrezionalmente. Ciò, poiché un criterio basato sulla discrezionalità non è verificabile, “mentre la legge impone ‘il rispetto dei criteri’ e quindi dà per presupposto che la loro applicazione sia verificabile. Un criterio non verificabile, in realtà, non è un criterio di scelta, è un diverso modo di fondare il potere di scelta, che prescinde dal rispetto di un criterio oggettivo” (v. Cass. n. 12544/2011). Non vi può cioè essere “un’area residua di discrezionalità di scelta da parte del datore di lavoro nella quale non risulti operante un criterio predeterminato, al fine di evitare che egli possa scegliere a sua discrezione quali lavoratori in concreto licenziare in occasione di una riduzione di personale” (Cass. n. 10424/2012).

Nella fattispecie, la Corte di appello ha ritenuto che, pur in presenza di una graduatoria, il criterio utilizzato non era oggettivamente verificabile e controllabile, lasciando spazio ad una scelta arbitraria dei dipendenti da licenziare.

Ciò, malgrado fosse stato raggiunto un accordo nel corso della procedura sindacale nel quale era stato stabilito che: quanto al criterio delle esigenze tecnico produttive, “i lavoratori saranno valutati dai responsabili delle aree operative tenendo conto della preparazione professionale e delle prestazioni qualiquantitative tali da consentire il mantenimento in servizio di lavoratori in possesso delle professionalità necessarie per la efficiente prosecuzione dell’attività aziendale, con attribuzione di un punteggio a seconda del giudizio attribuito ad ogni dipendente (mediocre punti 250, sufficiente punti 500, buono punti 750, ottimo punti 1000)”.

Licenziamenti collettivi in base ad un punteggio
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