Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 dicembre 2022, n. 37949

Lavoro, Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Contrazione del fatturato, Soppressione della posizione lavorativa, Tutela reintegratoria e indennitaria, Assenza della possibilità di scelta da parte del giudice

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza in data 3 febbraio 2020, la Corte d’Appello di Bologna, in parziale accoglimento del reclamo proposto da N.M. s.r.l., ha ritenuto l’illegittimità del licenziamento intimato dalla società a M.C. in data 23 febbraio 2017 per giustificato motivo oggettivo, dichiarando risolto il rapporto di lavoro dalla data del licenziamento e condannando la datrice al pagamento in favore del lavoratore di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali fino al saldo.

Ha, quindi, la Corte condannato M.C. alla restituzione in favore della N.M. s.r.l. di quanto in eccedenza percepito in esecuzione della ordinanza del Tribunale di Bologna dell’1 ottobre 2018, compensando in ragione della metà le spese di lite.

1.1. In particolare, il giudice di secondo grado, accogliendo l’ultimo motivo di reclamo proposto dalla società, ha ritenuto che, alla luce dei margini di equivocità delle risultanze probatorie e considerata, invece, l’effettività della contrazione del fatturato nel settore vendite addotta a giustificazione della soppressione della posizione lavorativa del C., non fosse corretto il riconoscimento, a fronte del licenziamento illegittimo, della tutela reintegratoria di cui all’art. 18, co. 7 e 4 della legge n. 300 del 1970, in luogo di quella indennitaria prevista dai commi 7 e 5, non ricorrendo una ipotesi di manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso assistito da memoria M.C., affidandolo a sei motivi.

2.1. Resiste, con controricorso, la N.M. s.r.l. e propone, altresì, ricorso incidentale affidato a cinque motivi.

3. Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, per quanto di ragione, assorbiti gli altri e per il rigetto del ricorso incidentale.

 

Considerato in diritto

 

1. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 comma 7, L. 300/70, anche in relazione all’art. 3 L. 604 del 1966, nella parte in cui la Corte ha escluso che l’accertata mancata soppressione del posto di lavoro integri la “manifesta insussistenza del fatto” ai fini dell’applicazione della tutela reale attenuata.

1.1. Con il secondo motivo si allega l’omesso esame di un fatto decisivo sotto il profilo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per aver il giudice di secondo grado posto a base della decisione l’asserita “sensibile contrazione del fatturato nell’ambito del settore delle vendite registrata dall’azienda nel 2016”, che dalla documentazione prodotta da parte ricorrente e dalle prove orali raccolte risultava, invece, insussistente.

1.2. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 co. 7, L. 300/70 e dell’art. 3 L. n. 604 del 1966 per aver la Corte ritenuto che la (asserita) effettività della “contrazione del fatturato nell’ambito del settore delle vendite” pur non avendo determinato la soppressione del posto di lavoro, rilevasse al fine di escludere la “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”.

1.3. Con il quarto motivo si denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 18, co. 7, L. 300/70  e 3 e 5 L. n. 604 del 1966 là dove il giudice di merito, ai fini del giudizio sul licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, non ha svolto alcuna indagine sull’eventuale possibilità di repêchage del dipendente.

1.4. Con il quinto motivo si allega la violazione dell’art. 18 L. n. 300 del 1970 nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che, a fronte della accertata mancata genuina soppressione del posto di lavoro, sia rimessa alla discrezionalità del giudice la scelta sull’applicazione della tutela reale.

1.5. Con il sesto motivo si deduce la violazione dell’art. 18 co. 7, la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 cod. proc. civ., 118, disp. att. cod. proc. civ., 2103, 2697 cod. civ., 30 CCNL Dirigenti Aziende Commerciali nonché l’omesso esame di un fatto decisivo con riferimento al difetto di proposizione di una situazione di mantenimento dello stato occupazionale.

2. Con il primo motivo di ricorso incidentale si deduce la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., per aver la Corte territoriale motivato in maniera perplessa ed incomprensibile con riferimento alla insufficienza della prova circa la effettività della riorganizzazione ed alla ritenuta insussistenza della soppressione del posto di lavoro del ricorrente.

2.1. Con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per aver la Corte liquidato in favore del lavoratore le spese legali della fase di opposizione del giudizio di primo grado in assenza di specifica impugnazione.

2.2. Con il terzo motivo si denunzia ancora violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 329 cod. proc. civ. con riguardo all’accertamento della mancata soppressione del posto di lavoro del C., in assenza di impugnazione, per essere la Corte territoriale incorsa in un vizio di ultrapetizione.

2.3. Con il quarto motivo si censura la decisione impugnata per violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 329 cod. proc. civ., con riferimento all’accertamento di fatto costituito dalla sequenza temporale dei soggetti che hanno assorbito le mansioni svolte dal C..

2.4. Con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello omesso di esaminare il fatto storico del sollevamento di altro dipendente, il M., dalle mansioni contestualmente alla rassegnazione delle dimissioni.

3. Il secondo motivo del ricorso principale, il primo, il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso incidentale, da valutarsi preliminarmente per ragioni logico – sistematiche, sono inammissibili.

3.1. Va preliminarmente rilevato che il presente giudizio di cassazione, ratione temporis, è soggetto non solo alla nuova disciplina di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., in base alla quale, le sentenze possono essere impugnate “per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”, ma anche a quella di cui all’art. 348 ter, ult. co . cod. proc. civ., secondo cui il vizio in questione non può essere proposto con il ricorso per cessazione avverso la sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado, ossia non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d, doppia conforme (v. sul punto, Cass, n. 4223 del 2016; Cass. n. 23021 del 2014); quindi, non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità tutte quelle censure che attengono alla ricostruzione della vicenda storica come operata dai giudici di merito, anche in ordine alla congruità dell’iter procedimentale seguito nella designazione del dirigente, in contrasto sia con i principi enunciati da Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014, che ha rigorosamente interpretato il novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. limitando la scrutinabilità al c.d. “minimo costituzionale”.

3.2. Giova, poi, evidenziare, quanto ai principi vigenti in tema di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., che l’inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., opera non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cfr., sul punto, Cass. n. 7724 del 2022).

3.3. Va, inoltre, sottolineato, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto, totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente;

manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017).

3.4. Nella specie, non solo parte ricorrente principale come anche avviene in seno al ricorso incidentale, non deduce l’omessa valutazione di un fatto storico, ma appunta le proprie censure su aspetti valutativi dell’iter motivazionale, concernenti la asseritamente erronea valutazione di materiale istruttorio.

Invero, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012 (ndr l. n. 134 del 2012), prevede l’ “omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate ( cfr., in questi termini, fra le più recenti, Cass. n. 2268 del 2022).

4. Anche il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile.

Giova rilevare, quanto al vizio dedotto che questa Corte, ha affermato che in caso di censura per motivazione mancante, apparente o perplessa, spetta al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. n. 13578 del 02/02/2020) e, d’altra parte, per aversi motivazione apparente occorre che la stessa, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020).

5. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale, da esaminarsi congiuntamente per reciproca connessione, sono altresì inammissibili.

Mediante tali censure la ricorrente incidentale deduce, rispettivamente, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per aver la Corte liquidato in favore del lavoratore le spese legali della fase di opposizione del giudizio di primo grado in assenza di specifica impugnazione, ancora la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 329 cod. proc. civ. con riguardo all’accertamento della mancata soppressione del posto di lavoro del C., in assenza di impugnazione, per essere la Corte territoriale incorsa in un vizio di ultrapetizione ed infine, in odine all’accertamento di fatto costituito dalla sequenza temporale dei soggetti che avrebbero assorbito le mansioni svolte dal C..

5.1. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 112, giova evidenziare che, nel giudizio di legittimità, deve essere tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne abbia offerto il giudice di merito: nel primo caso, infatti, si verte in tema di violazione dell’art. 112 cpc e si pone un problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta; nel secondo, invece, ricorrente l’interpretazione della domanda e la individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento dei fatti riservato, come tale, al giudice di merito e, in sede di legittimità va solo effettuato, nei limiti di quanto legislativamente consentito, il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (fra le altre, Cass. 7.7.2006 n. 15603; Cass. 18.5.2012 n. 7932; Cass. 21.12.2017 n. 30684).

Deve affermarsi, avuto riguardo alla motivazione chiara e diffusa della Corte d’appello, che, nel caso di specie, propugnando una diversa interpretazione delle risultanze probatorie, parte ricorrente oblitera quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn. 3 e 5 e cioè che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34476 del 2021).

6. Anche il quinto motivo del ricorso incidentale non può trovare accoglimento, stante la sua inammissibilità.

Va preliminarmente richiamato quanto già chiarito in precedenza con riferimento ai limiti strutturali delle censure afferenti al profilo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., cui, nella specie si aggiunge la circostanza che si tratta di motivo formulato in modo promiscuo, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure denunciando violazioni di legge e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine al fatto del sollevamento del M. dalle mansioni contestualmente alla rassegnazione delle dimissioni, criticando sotto vari profili la valutazione dalla stessa compiuta con doglianze intrise di circostanze fattuali, mediante un pervasivo rinvio a deposizioni testimoniali e documenti.

6.1. In particolare, poi, con riferimento alla violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., va rilevato che, secondo quanto statuito recentemente dalle Sezioni Unite, per dedurre tale violazione, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr., SU n. 20867 del 20/09/2020).

Per quanto concerne, inoltre, la dedotta violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., va rilevato che una questione di violazione e falsa applicazione di tale norma non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).

6.2. Nel caso di specie, del tutto inconferente deve reputarsi il richiamo alle due disposizioni considerate, atteso che parte ricorrente lamenta esclusivamente una erronea interpretazione delle prove offerte, delle quali, tuttavia, suggerisce un diverso apprezzamento, meramente contrapponendo alla motivazione della Corte la propria diversa interpretazione, senza apportare elementi che possano indurre a reputare la prima implausibile.

7. Il quinto motivo del ricorso principale, da esaminarsi preliminarmente rispetto ai restanti motivi per ragioni logico – sistematiche, è fondato nei termini che seguono.

7.1. L’art. 18, comma 7, della legge n. 300 del 1970 (come novellato dalla legge n.92 del 2012) – che regola l’apparato sanzionatorio da applicare in caso di accertamento della illegittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo – è stato inciso da due recenti sentenze della Corte Costituzionale, successive alla pronuncia rescindente, proprio con riguardo ai requisiti per l’applicazione della tutela reintegratoria: la sentenza n. 59 del 2021 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92, nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma; la sentenza n. 125 del 2022 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92, limitatamente alla parola «manifesta». Per effetto dell’intervento della Corte costituzionale, il giudice, una volta accertata l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ordina – in simmetria col regime dei licenziamenti soggettivi – la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, senza alcuna facoltà di scelta tra tutela ripristinatoria e tutela economica (cfr., sul punto, Cass. n. 30167 del 2022).

7.2. Ne consegue che l’apprezzamento della sussistenza dei vizi denunciati con il ricorso introduttivo dev’essere fatto con riferimento alla situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità.

Questa Corte ha già affermato che la valutazione della fondatezza o meno del ricorso per cassazione deve farsi con riferimento alla situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità, essendo irrilevante che la decisione impugnata o la stessa proposizione del ricorso siano anteriori alla pronuncia del giudice delle leggi, atteso che gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità di una norma retroagiscono alla data di introduzione nell’ordinamento del testo di legge dichiarato costituzionalmente illegittimo (sulla portata retroattiva delle pronunce di incostituzionalità cfr., fra le tante, Cass. n. 1166 del 2013, Cass. n. 360 del 2019).

Ci troviamo, quindi, di fronte ad una norma che, per effetto di jus superveniens, sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita, situazione che deve ritenersi comprensiva sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale (cfr. Cass. n. 13873 del 2012), operante ex tunc.

Posto, quindi, che il motivo considerato verte sulla ricorrenza del requisito attinente al regime sanzionatorio del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (la “manifesta insussistenza” del fatto) che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte precedentemente all’intervento della Corte Costituzionale, consentiva al giudice di merito di scegliere la tutela ripristinatoria o la tutela economica, requisito da ritenersi non più vigente, il motivo medesimo deve essere accolto occorrendo un nuovo esame alla luce della intervenuta dichiarazione di incostituzionalità della norma considerata.

8. I restanti motivi devono reputarsi assorbiti.

9. Alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, dichiarati inammissibili il secondo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale, va accolto il quinto motivo del ricorso principale per quanto di ragione, assorbiti gli altri. La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rimessa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili il secondo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale. Accoglie il quinto motivo del ricorso principale per quanto di ragione, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 dicembre 2022, n. 37949
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