Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 gennaio 2023, n. 1289

Lavoro, Agevolazione tariffaria sulla fornitura di energia elettrica, Accordo aziendale, Estensione dell’agevolazione agli ex dipendenti posti in quiescenza, Regolamentazione collettiva sulle agevolazioni tariffarie, Natura retributiva o meno dell’agevolazione tariffaria, Configurabilità di un diritto quesito in capo agli ex dipendenti al mantenimento del beneficio, Esclusione, Rigetto

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di Appello di Genova, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione di primo grado con cui era stato respinto il ricorso proposto dai pensionati indicati in epigrafe, già dipendenti E., volto ad ottenere nei confronti di detta società l’accertamento del diritto a fruire delle riduzioni tariffarie sulla fornitura di energia elettrica sulla scorta della disciplina collettiva vigente in costanza di rapporto di lavoro.

2. La Corte, in estrema sintesi, ha ritenuto che “il recesso dall’erogazione del beneficio, comunicato con l’accordo del 27 novembre 2015 dalla regolamentazione collettiva sulle agevolazioni tariffarie, con estinzione del beneficio alla data del 31 dicembre 2015, risulta pertanto legittimo, atteso che l’accordo aziendale del 19 aprile 2002 – con il quale era stata convenuta la conferma delle ‘disposizioni di cui all’art. 33 del CCNL 21 febbraio 1989 in materia di energia elettrica’ per i lavoratori in servizio alla data del 30 giugno 1996 – non aveva una durata determinata”.

3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i soccombenti con quattro motivi; E. Spa ha resistito con controricorso.

Le parti hanno comunicato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1372, 1373, 1453, 1375, 1398, 1399,  1703 e ss. e 1387 cc nonché la violazione dell’art. 33 del c.c.n.l. del 21.02.1989 e dell’accordo aziendale del 19.04.2002; si deduce l’illegittimità della revoca dell’agevolazione tariffaria stante l’inopponibilità ai pensionati sia del recesso del datore dal contratto collettivo che prevedeva il beneficio, sia del successivo accordo del 27.11.2015 stipulato con le OO.SS. ai fini della concessione dell’una tantum in sostituzione dell’agevolazione tariffaria.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2099 e 2103 c.c., nonché dell’art. 36 Cost.; la Corte d’Appello avrebbe errato nel non riconoscere la natura retributiva dell’agevolazione tariffaria stante la rilevanza della stessa ai fini fiscali, previdenziali e pensionistici, nonché ai fini del calcolo del TFR, con violazione anche del principio di irriducibilità della retribuzione.

Con il terzo mezzo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1988, 2702, 1362 c.c., in quanto la Corte d’Appello non avrebbe correttamente interpretato le certificazioni, rilasciate dal datore al momento del pensionamento, con le quali si era espressamente riconosciuto il diritto al mantenimento della riduzione tariffaria per ciascuno dei ricorrenti.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1373, 1387, 1398 c.c., e dei generali principi in tema di recesso dai contratti; si deduce l’illegittimità e l’inefficacia del recesso datoriale per le seguenti ragioni: per il primo aspetto l’agevolazione risultava connessa al rapporto di lavoro e al contratto di lavoro di ciascuno dei lavoratori e quindi, al perdurare in vita degli stessi, per cui l’erogazione del beneficio era da ritenersi temporizzata in quanto collegata a un termine contrattualmente previsto dalle parti, certo nell’an, ma incerto nel quando; per il secondo aspetto il recesso era stato comunicato alle OO.SS. non più rappresentative degli ex dipendenti e dunque non legittimate a ricevere la disdetta inviata dal datore di lavoro.

2. I motivi, esaminati congiuntamente per connessione, sono infondati.

2.1. Dalla ricostruzione emergente dagli atti di causa risulta che, da un punto di vista storico, l’agevolazione tariffaria sull’energia elettrica venne introdotta per la prima volta nel contratto collettivo post corporativo a favore dei dipendenti delle aziende elettriche private con la finalità di attribuire un beneficio alle famiglie dei dipendenti che si servivano per uso domestico della energia erogata dal proprio datore di lavoro.

La misura in oggetto fu strettamente collegata all’uso familiare dell’abitazione principale del dipendente tanto che in presenza di più dipendenti E., componenti del medesimo nucleo familiare, l’agevolazione tariffaria spettava per una sola utenza e comunque entro determinati limiti; essa venne estesa agli ex dipendenti posti in quiescenza e riconosciuta anche in favore di soggetti non dipendenti quali le vedove e i vedovi dei dipendenti.

La previsione di tale beneficio fu mantenuta nei diversi contratti collettivi succedutisi nel tempo fino al contratto collettivo del 1996 che escluse tale misura per i dipendenti assunti a partire dal 1° luglio 1996. Il successivo contratto collettivo 2001 abolì l’istituto stabilendo la necessità di una rinegoziazione della complessiva disciplina aziendale in vigore. In tale contesto si colloca la stipula dell’accordo aziendale di cui al verbale del 19 aprile 2002 (cd. accordo di armonizzazione) con il quale le parti convenivano che, per i lavoratori in servizio alla data del 30 giugno 1996, restavano confermate le disposizioni di cui all’art. 33 del c.c.l. 21.2.1989 in materia di energia elettrica.

Con il contratto collettivo elettrici dell’anno 2006 E. s.p.a. e le organizzazioni sindacali assunsero formale impegno alla definizione a livello aziendale della questione relativa al riesame della materia delle agevolazioni tariffarie ed in attuazione di tale impegno venne avviato un processo negoziale confluito nella sottoscrizione, nel maggio 2011, di alcuni autonomi accordi programmatici, dedicati alle agevolazioni tariffarie ed alla contestuale attuazione di misure di sostegno del sistema della previdenza complementare, misure modulate in maniera differenziata per fasce di dipendenti distinte in relazione all’epoca di assunzione; tale processo fu portato a conclusione con l’accordo in data 1° dicembre 2011 tra E. e le parti sindacali e prevedeva, per quel che qui rileva, la sostituzione, a decorrere dal 1° febbraio 2012, dell’istituto delle agevolazioni tariffarie con misure di sostegno al sistema della previdenza complementare in Azienda.

Tali accordi furono sottoscritti dai rappresentanti di tutte le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo elettrici.

In data 12 ottobre 2015 E. s.p.a. comunicò alle Segreterie Nazionali delle Organizzazioni Sindacali formale recesso dalla regolamentazione collettiva sulle agevolazioni tariffarie, con estinzione del beneficio alla data del 31 dicembre 2015 anche per gli ex dipendenti ed i loro superstiti. In data 27 novembre 2015, in seguito a confronto tra E. s.p.a. e le organizzazioni sindacali, fu sottoscritto uno specifico accordo con il quale veniva previsto che dal 1° gennaio 2016 agli ex dipendenti e superstiti fruitori del beneficio alla data del 31 dicembre 2015 era riconosciuta una tantum ed a titolo di liberalità una somma lorda quantificata in base all’età del singolo beneficiario la cui erogazione fu condizionata alla sottoscrizione di un verbale di conciliazione.

2.2. Dalla evoluzione della disciplina collettiva in materia di agevolazione tariffaria si evince, quindi, che a partire quanto meno dal contratto collettivo del 1996 si avvertì la necessità di un superamento dell’istituto, ritenuto evidentemente anacronistico in considerazione sia della mutata natura dell’E., da ente pubblico economico a società per azioni per effetto del d.l. n. 333/1992 (art. 15) convertito in legge n. 359/1992, sia in relazione al processo di liberalizzazione del mercato elettrico disposto con il d. lgs. n. 79/1999, in attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, processo completato il 1° luglio 2007 (d.l. n. 73/2007 convertito in legge n. 125/2007).

Evidentemente l’apertura alla vendita dell’energia elettrica in regime di libero mercato anche per le utenze domestiche, con la presenza di molteplici distributori e società di vendita in concorrenza fra loro, aveva determinato oggettive difficoltà tecnico gestionali nell’applicazione dell’agevolazione tariffaria nel mercato della maggiore tutela regolato dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (AEEG). In particolare, l’Autorità intervenne con delibera del 29 dicembre 2007 sollecitando l’incentivazione del riassorbimento degli sconti sui consumi elettrici riconosciuti ai dipendenti del settore assunti prima del 1° luglio 1996, al fine di evitare distorsioni del segnale del prezzo percepito per tali consumatori domestici e di ridurre il rischio di un uso inefficiente dell’energia elettrica e le complicazioni amministrative in capo al distributore e al venditore.

Alla luce di tale complessivo contesto e, in particolare, della evoluzione della disciplina collettiva in tema di agevolazione tariffaria devono essere esaminate le questioni poste dai motivi in esame.

2.3. Una prima questione concerne la natura, retributiva (rectius corrispettiva) o meno, dell’agevolazione tariffaria in controversia; la relativa verifica, condotta alla luce delle caratteristiche dell’istituto quale regolato dalle norme collettive (v. paragrafo 2.1.), induce ad escludere ogni rapporto di corrispettività tra l’agevolazione tariffaria e la prestazione del singolo lavoratore; il riconoscimento del relativo diritto e della sua misura, prescindeva, infatti, del tutto dalla qualità e quantità della prestazione lavorativa resa dal singolo dipendente nonché dalla durata del pregresso rapporto e dalla posizione che il lavoratore aveva assunto in azienda; in conseguenza, tale istituto risultava sottratto al rispetto del canone di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost., configurandosi come un beneficio che trovava origine nel complessivo regolamento del rapporto di lavoro senza essere specificamente destinato alla remunerazione della prestazione resa dal dipendente.

2.4. In senso contrario a tale approdo non sono utilmente invocabili alcuni precedenti di questa Corte (Cass. n. 24268 del 2013 e Cass. n. 24533 del 2013), che hanno scrutinato fattispecie non sovrapponibili a quella in esame, in quanto nelle richiamate decisioni l’affermazione della natura retributiva dell’agevolazione tariffaria concessa ai lavoratori si connetteva al carattere alternativo che tale agevolazione aveva assunto rispetto al riconoscimento di un assegno ad personam non assorbibile, di pacifica natura retributiva.

Né orienta a soluzione opposta a quella qui condivisa la presenza di “certificazioni” in cui la società avrebbe riconosciuto il mantenimento del diritto alla riduzione tariffaria ai ricorrenti all’atto del loro pensionamento; ciò sia perché tali documenti esprimono solo la posizione dell’E., che non può essere significativa della comune volontà delle parti collettive nella regolamentazione dell’istituto, sia perché l’interpretazione di tali atti unilaterali si traduce in un accertamento di fatto ed è affidata al giudice del merito – che l’ha considerata “mera documentazione di carattere amministrativo” – e non è sindacabile in questa sede di legittimità (cfr. Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), peraltro non essendo stato adeguatamente indicato, per ciascuno dei ricorrenti, né il contenuto del documento né dove e come, nell’ambito del giudizio di merito, esso sia stato prodotto e dove sia reperibile (Cass. n. 29093 del 2018; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n.16900 del 2015; Cass. n. 26174 del 2014; Cass. n. 22607 del 2014; Cass., Sez. Un., n. 7161 del 2010).

2.5. Neppure può valere a sorreggere l’affermazione della natura retributiva dell’agevolazione tariffaria in oggetto la circostanza del suo inserimento nel CUD e la sua qualificazione come <<reddito da lavoro>> ai fini IRPEF (Cass. n. 586 del 2017; Cass. n. 11414 del 2015), tenuto conto delle specifiche finalità della legge tributaria per la quale ciò che rileva è che una determinata erogazione (o il suo controvalore) costituisca indice di capacità contributiva che lo renda assoggettabile a prelievo fiscale; tanto esclude che dalla qualificazione a fini fiscali dell’agevolazione tariffaria possano trarsi indicazioni destinate ad incidere sulla configurazione dell’istituto in oggetto nell’ambito del rapporto di lavoro.

2.6. Una seconda questione che si pone concerne la configurabilità di un diritto quesito in capo agli odierni ricorrenti, ex dipendenti, al mantenimento del beneficio.

A riguardo occorre premettere che, secondo l’orientamento del giudice di legittimità, <<nell’ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione collettiva in mancanza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte dei singoli lavoratori, solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, come nel caso dei corrispettivi di prestazioni già rese, e non invece in presenza di quelle situazioni future o in via di consolidamento, che sono frequenti nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra loro e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi>> (Cass. n. 14944 del 2014; Cass. n 20838 del 2009).

Pertanto, gli unici diritti intangibili sono quelli che sono già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore, quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già eseguita, situazioni queste non configurabili in relazione alla pretesa azionata dagli odierni ricorrenti, espressione di una mera aspettativa al mantenimento nel tempo della più favorevole normativa collettiva che tale beneficio ha previsto.

L’agevolazione tariffaria in questione trova, infatti, la propria fonte nelle disposizioni del contratto collettivo le quali, come ripetutamente chiarito dal giudice di legittimità, non si incorporano nel contenuto del contratto individuale dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo delle organizzazioni sindacali, ma operano sul singolo rapporto come fonte eterogenea di regolamento del rapporto, concorrente con la fonte individuale, con la conseguenza che, in caso di successione dei contratti collettivi, si realizza una sostituzione delle nuove clausole e le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole, restando la conservazione di quel trattamento affidata all’autonomia contrattuale delle parti collettive stipulanti, le quali possono prevederla con apposita clausola di salvaguardia (Cass. n. 16043 del 2018; Cass. n. 1298 del 2000; Cass. n. 11466 del 1997; Cass. n. 11052 del 1995), volontà nello specifico non rinvenibile.

2.7. Una volta esclusa la configurabilità del consolidarsi di un diritto quesito al mantenimento del beneficio in capo ai lavoratori per effetto delle richiamate pattuizioni collettive, il recesso di E. s.p.a. risulta senz’altro consentito alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, che si richiama anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., secondo il quale qualora il contratto collettivo non abbia un predeterminato termine di efficacia, esso non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione va estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all’esigenza di evitare – nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto – la perpetuità del vincolo obbligatorio. Ne consegue che, in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione (tra molte: Cass. n. 14961 del 2022; Cass n. 40409 del 2021; Cass. n. 23105 del 2019; Cass. n. 18548 del 2009; Cass. n. 19351 del 2007).

3. Alla stregua delle argomentazioni esposte il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione ai procuratori della controricorrente che hanno dichiarato di averle anticipate.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, con distrazione.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

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