Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 gennaio 2023, n. 1598

Lavoro, Licenziamento per giusta causa, Valutazione di proporzionalità, Identificazione della condotta oggetto di addebito, Riconducibilità della condotta ascritta a quelle punite dal contratto collettivo con sanzione meno grave del licenziamento per giusta causa, Rigetto

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Roma, pronunziando in sede di rinvio da Cass. n. 6606/2018, ha respinto la domanda con la quale S.G. aveva chiesto accertarsi la illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli da T. s.p.a. il 21.1.2011, a seguito di contestazione disciplinare relativa a tre episodi in cui il ricorrente, in servizio di scorta al treno in partenza da Roma Tiburtina e diretto a Fiumicino aeroporto, servizio previsto e comandato ad “agente solo”, invece di attendere alle sue attività di assistenza a clientela e di controlleria, contravvenendo alla normativa vigente (art.91 ter della PGOS, art. 9 ISPAT – Istruzioni Personale accompagnamento Treni -, della DEIF n. 23 del 60151 2010 e della Circ. Divisionale 131101 2009), si era trattenuto in cabina guida, dalla quale, in mancanza dei presupposti per emettere un tale comando, aveva ordinato la partenza al macchinista in turno di condotta ed in due dei tre episodi contestatigli aveva turbato la regolarità della circolazione e provocato disservizio alla clientela e danno all’immagine alla società, avendo costretto l’azienda a sopprimere parzialmente il treno, per non avere dato ottemperanza all’ordine di farsi sostituire per non creare ulteriori disagi alla circolazione.

2. La sentenza rescindente, in accoglimento del terzo motivo di ricorso per cassazione con il quale il ricorrente aveva lamentato violazione e falsa interpretazione dell’art. 2106 cod. civ. e dell’art. 416 cod. proc. civ. in ordine alla presunta tardività della doglianza con cui si evidenziava la sproporzione tra infrazione e sanzione disciplinare espulsiva, ha cassato la sentenza di secondo grado in dichiarata condivisione dell’assunto del ricorrente per il quale i rilievi sulla sproporzione tra infrazione e sanzione disciplinare espulsiva sono da qualificare come mere difese, liberamente deducibili in quanto non incidenti nel senso di una diversa qualificazione ai fini della causa petendi e come tali non soggetti a limiti temporali, e in relazione alla sostanza della critica rivolta alla sentenza impugnata quanto alla omessa disamina della proporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione contestata.

3. Il giudice del rinvio, all’esito della ricognizione della disciplina collettiva in tema di sanzioni disciplinari, ha ritenuto il comportamento del lavoratore di gravità tale da ledere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto avrebbe comportato un pregiudizio per gli scopi aziendali <<dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di correttezza e buona fede >> ; la condotta tenuta, valutata unitariamente e tenuto conto della delicatezza delle mansioni di capotreno rivestite dal G. esprimeva, per la sua intensità, una potenzialità negativa anche su futuro adempimento degli obblighi lavorativi.

4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso S.G. sulla base di quattro motivi. La parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso illustrato con memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per mancanza assoluta di motivazione in relazione alla sussistenza di legittime normative contradette dal lavoratore. Lamenta che la Corte di merito nel formulare la valutazione di proporzionalità aveva del tutto omesso di individuare il precetto giuridico violato dal lavoratore in relazione al quale andava misurata la sussistenza e proporzionalità dell’addebito; la sentenza aveva, invece, dato per scontata la violazione di normative che il lavoratore era tenuto ad osservare ma non aveva identificato il precetto violato, come indispensabile al fine della valutazione di gravità dell’illecito; in particolare era stato dato per scontata che la violazione della normativa di cui alla DEIF (disposizioni di esercizio impresa ferroviaria) emanata da T. fosse legittima e cogente, senza dare motivazione alcuna, come necessario, in merito al prospettato contrasto di tali disposizioni con quelle adottate dall’ANSF (Agenzia nazionale per la sicurezza delle Ferrovie), di rango superiore alle prime.

2. Con il secondo motivo deduce violazione del criterio di proporzionalità di cui all’art. 2106 cod. civ. in relazione alla verifica dell’elemento soggettivo sotto il profilo della consapevolezza della legittimità della previsione violata; pur ammesso che la difformità tra le norme di origine ANSF e quelle dettate da T. dovesse essere risolta nel senso della prevalenza di quest’ultime, la esistenza di tale contrasto determinava il venir meno nella condotta del G. di quella connotazione di pervicace ostilità e di ribellismo alla base del giudizio negativo della Corte.

3. Con il terzo motivo deduce violazione della proporzionalità di cui all’art. 2106 cod. civ. anche sotto il profilo della non gravità o tenuità dell’elemento oggettivo del supposto illecito; la Corte di merito non aveva onorato il mandato affidato perché non aveva considerato che secondo la disciplina collettiva nel caso di inosservanza di leggi, regolamenti e obblighi di servizio, la sanzione espulsiva, ai sensi dell’art. 58 c.c.n.l. può essere irrogata solo quando ne siano derivati danni gravi al materiale, all’armamento e a cose di terzi ed anche danni gravi alle persone, laddove quando quella inosservanza produce interruzione o turbativa nella regolarità o nella continuità di servizio, trova applicazione, ai sensi dell’art. 57 c.c.n.l., la misura conservativa della sospensione dal servizio e dalla retribuzione da 8 a 10 giorni.

4. Con il quarto motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 384 cod. proc. civ. per non avere applicato il principio di diritto alla base della cassazione della sentenza di secondo grado che imponeva di verificare se la condotta imputata fosse riconducibile ad una ipotesi sanzionata dall’autonomia collettiva con sanzione conservativa o meno.

5. Il primo motivo di ricorso deve essere respinto

5.1. Occorre premettere che la questione posta con il motivo in esame, che denunzia assenza di motivazione in relazione al profilo concernente la identificazione della condotta oggetto di addebito, anche in punto di possibile contrasto delle DEIF con le disposizioni emesse dall’ANSF, risulta superata in conseguenza del rigetto da parte della sentenza rescindente dei primi due motivi di ricorso per cassazione.

5.2. Dallo storico di lite della sentenza rescindente emerge, infatti, che con il primo motivo di ricorso per cassazione era stato denunziato omesso esame di un fatto decisivo, «sostenendosi che un fatto rilevante, costituito dal contrasto tra normativa di rango superiore (ISPAT E PGOS) ed inferiore (DEIF) non era stato oggetto di valutazione e che la circostanza che il treno fosse in moto o in stato di arresto non avesse alcun rilievo ai fini considerati, perché era nella discrezionalità e professionalità del capotreno decidere la migliore ubicazione per l’espletamento del servizio e per finalità di sicurezza, che dovevano rilevare più del controllo dei passeggeri»; con il secondo motivo era stata «dedotta violazione e falsa applicazione del d. Igs. 162/2007 quale norma di rango superiore che stabilisce, attraverso le norme derivate ISPAT e PGOS, l’ubicazione del personale ai fini di sicurezza, sul rilievo che queste ultime prevedono che il posto di capotreno sia in cabina di guida nel senso di marcia e, al contrario, la DEIF 23 e circolare n. 1 del 31.10.09 dispongono che debba ubicarsi nella parte trainata per svolgere il suo servizio continuativamente a contatto con la clientela, salvo il caso in cui sia prevista la sua presenza in cabina dalla normativa vigente; si sostiene che vada privilegiato il profilo di sicurezza sancito dalle norme di rango superiore >> .

5.3. In relazione a tali motivi il giudice di cassazione si è così espresso: « premesso che il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c. per effetto della modifica introdotta dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla I. 7. agosto 2012, n. 134, è applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (12 agosto 2012) e, pertanto, anche alla sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata in data 8.9.2015, il primo motivo va disatteso, perché nello stesso ricorso si ammette che il fatto – costituito dalla circostanza che la permanenza nella cabina di guida era, in base alla normativa applicabile, nella facoltà decisionale del capotreno sia a treno in movimento che a treno fermo – è stato esaminato, osservandosi che l’argomentare della sentenza impugnata sarebbe capzioso, il che dimostra l’insussistenza del vizio denunciato; 6. il secondo motivo è in parte inammissibile, laddove con riguardo a disposizioni sottoordinate (disposizioni regolamentari e direttive di circolazione) relative all’ubicazione del personale a fini di sicurezza e circolazione, non si indica dove e come le stesse siano state depositate nei gradi di merito, il che contravviene a principi sanciti dall’art. 366, primo comma, n 6, c.p.c. – che costituisce la consacrazione normativa del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – per essere la trascrizione completa dei documenti che sono posti a fondamento dello stesso indispensabile ai detti fini, nonché dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), imposto al fine di porre il giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (cfr. Cass. 11.1.2016 n. 195, tra le tante, nonché Cass. S.U. 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. S. U. 3 novembre 2011, n. 22726). Quanto, poi, al richiamo del d. Igs. 162/2007, del quale si assume la violazione, in realtà, non si indica specificamente quale sia la norma di tale testo normativo che sia stata disattesa, e peraltro, dall’esame dello stesso si evince solo che l’Agenzia preposta alla sicurezza del sistema ferroviario nazionale è incaricata a) di definire il quadro normativo in materia di sicurezza, b) di controllare, promuovere e, se del caso, imporre, le disposizioni e l’emanazione delle prescrizioni di esercizio da parte dei Gestori delle Infrastrutture e delle imprese ferroviarie, in coerenza con il quadro normativo nazionale di cui alla lett. a), c) di stabilire i principi e le procedure e la ripartizione delle competenze degli operatori ferroviari in ordine all’emanazione delle disposizioni di cui alla lettera b) (art. 6, co. 2, D. Lgs. 162/07), ed ulteriormente che i Gestori dell’infrastruttura e le imprese ferroviarie emettono le prescrizioni e, se del caso, le disposizioni di esercizio necessarie ai fini delle lettere a) e b) del comma 2 dell’art.6 (art. 8, co. 4 d. Igs. cit.). il motivo è articolato in carenza di ogni puntualità e specificazione della critica rivolta alla decisione impugnata, adombrandosi nella sostanza che il dipendente abbia privilegiato l’applicazione di normativa attinente alla sicurezza rispetto a quella riguardante in generale la circolazione ferroviaria, con proposizioni che sono prive del necessario collegamento con il decisum e non consentono appieno la comprensione della questione devoluta».

5.4. Dalla motivazione della sentenza rescindente che sorregge il rigetto dei primi due motivi del precedente ricorso per cassazione del G. deriva che la condotta oggetto di addebito risultava ormai cristallizzata, anche sotto il profilo della identificazione del precetto violato, nei termini definiti dalla sentenza di secondo grado, richiamata dalla sentenza rescindente mediante il riferimento alla contestazione disciplinare; in conseguenza, nessun obbligo motivazionale era configurabile in relazione a tale profilo, essendo il mandato al giudice del rinvio limitato alla verifica di proporzionalità della sanzione rispetto ad un addebito già compiutamente identificato.

6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto parte ricorrente, pur formalmente denunziando violazione di norme di diritto sotto il profilo della non corretta applicazione della clausola generale di cui all’art. 2106 cod. civ., non individua alcuno specifico contrasto con i criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale nei parametri astratti ai quali ha fatto riferimento il giudice di merito nel ritenere proporzionata la sanzione espulsiva, come richiesto onde inficiare la relativa valutazione (Cass. n. 28492/2018, Cass. n. 7426/2018, Cass. n. 25144/2010, Cass. n. 7838/2005); le critiche articolate, infatti, tendono, piuttosto, a contestare la valutazione di proporzionalità del licenziamento in particolare in relazione alta considerazione dell’elemento soggettivo, richiamando la influenza che sull’atteggiamento psicologico del ricorrente avrebbe avuto il (preteso) contrasto tra le discipline, di diverso rango, regolanti la materia; in tal modo parte ricorrente dimostra di sollecitare direttamente un diverso apprezzamento delle concrete circostanze del caso concreto, investendo un accertamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito ed incrinabile solo dalla deduzione, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ., di omesso esame di un fatto, nel senso di fatto storico -fenomenico, che ove considerato avrebbe avuto attitudine, con carattere di certezza e non di mera probabilità, a determinare un diverso esito della lite (v.. per tutte Cass. Sez. Un. n. 8053/2014), fatto da evocare nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366, comma 1 n. 6 cod. proc. civ.; nello specifico, la circostanza invocata dal ricorrente relativa ad un preteso contrasto tra le normative disciplinanti la materia, oltre a non avere carattere decisivo nella verifica dell’atteggiamento psicologico del lavoratore, non è sorretta dall’autosufficiente riferimento agli atti e documenti di causa, non avendo parte ricorrente specificato se ed in quale atto e documento del giudizio di merito risultava che la incertezza circa le disposizioni applicabili aveva influito sull’elemento soggettivo della condotta.

7. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso, esaminati congiuntamente per connessione, sono infondati.

7.1. La Corte territoriale si è attenuta al mandato ricevuto dalla sentenza di cassazione in quanto ha espressamente verificato l’eventuale riconducibilità della condotta ascritta a quelle punite dal contratto collettivo con sanzione meno grave del licenziamento per giusta causa ed ha escluso tale riconducibilità sulla base di valutazione che sostanzialmente teneva conto sia della pluralità di episodi verificatisi in un breve arco temporale sia della intensità dell’elemento soggettivo in quanto espressione, tra l’altro, di « una pervicace volontà di contestazione dei poteri datoriali in ordine ai modi di esecuzione della prestazione lavorativa»; in coerenza con il carattere meramente esemplificativo delle fattispecie sanzionate dal contratto collettivo con il licenziamento per giusta causa, il giudice del rinvio ha quindi affermato che la condotta in oggetto era punibile << a norma di legge».

7.2. Tale motivazione si sottrae alle censure articolate dovendo escludersi, alla luce della ricostruzione fattuale della condotta ascritta, la dedotta corrispondenza fra il concreto comportamento del G. e le fattispecie punite con misura conservativa dal contratto collettivo ed in particolare con quella dell’art. 57 c.c.n.I., invocata dal ricorrente, con la quale il giudice del rinvio si è espressamente confrontato ritenendo con valutazione congruamente motivata, la non sussumibilità nella stessa della concreta fattispecie.

8. In base alle superiori considerazioni si impone quindi il rigetto del ricorso con regolamento secondo soccombenza delle spese di lite liquidate ai sensi del D.M. n. 147/2022.

9. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019)

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori, come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.

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