Il mancato assolvimento dell’onere del repêchage, nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, comporta sempre la reintegrazione del lavoratore.

Nota a Cass. (ord.) 11 novembre 2022, n. 33341 e 18 novembre 2022, n. 34051

Francesco Belmonte

In seguito agli interventi della Corte Costituzionale in materia di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, nelle ipotesi di insussistenza del fatto alla base del recesso (come nel caso di impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore), il giudice deve applicare la tutela reale di cui all’art. 18, co. 4, Stat. lav. (come novellato dalla L. n. 92/2012), implicante la reintegra del lavoratore ed il pagamento di un’indennità risarcitoria limitata a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

In tale linea si è pronunciata la Cassazione in due differenti pronunce (ord.11 novembre 2022, n. 33341 e 18 novembre 2022, n. 34051) riguardanti entrambe l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in ragione della mancata dimostrazione, da parte del datore di lavoro, dell’impossibilità di un’utile ricollocazione lavorativa del dipendente licenziato.

I giudici di merito (App. Salerno n. 103/2019 e App. Roma n. 3859/2019), in entrambe le fattispecie, avevano dichiarato l’illegittimità dei recessi ed applicato la “sola” tutela indennitaria c.d. forte (art. 18, co. 7, Stat. lav.), con conseguente risoluzione del rapporto di lavoro.

La Cassazione, tuttavia, rileva che nelle more della definizione dei giudizi è intervenuta in materia di licenziamenti economici la Corte Costituzionale con le sentenze n. 59 del 1° aprile 2021 e n. 125 del 19 maggio 2022, delineando un nuovo assetto di tutele per i lavoratori illegittimamente licenziati «per insussistenza del fatto» posto alla base del recesso.

In particolare, nella prima pronuncia (n. 59/2021, in q. sito con nota di F. BELMONTE), la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, co. 7, secondo periodo, Stat. lav. (come modificato dalla L. n. 92/2012), nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al medesimo art. 18, co. 4 (c.d. tutela reale “debole”).

La sentenza costituzionale n. 125/2022 (in q. sito con nota di F. BELMONTE), con prospettiva ancor più radicale, ha dichiarato, poi, l’illegittimità costituzionale della medesima disposizione statutaria limitatamente alla parola «manifesta».

Il testo dell’art. 18, co. 7, Stat. lav., quale risultante all’esito degli interventi della Corte Costituzionale, comporta ora che nelle ipotesi di insussistenza del fatto alla base del licenziamento per ragioni economiche, il giudice deve applicare la tutela reale c.d. “debole” di cui al co. 4 dell’art. 18.

Secondo l’orientamento consolidato della Cassazione, il fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo è rappresentato sia dalle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, sia dall’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (v., tra le tante, Cass. n. 24882/2017, in q. sito con nota di A. LARDARO; Cass. n. 160/2017, in q. sito con nota di F. BELMONTE e Cass. n. 12101/2016) e tale ricostruzione è stata avallata dalla Corte Costituzionale la quale, nella sentenza n. 125/2022, dopo avere ricordato che è onere del datore di lavoro dimostrare i presupposti legittimanti il licenziamento – alla luce dell’art. 5, L. n. 604/66, che completa e rafforza, sul versante processuale, la protezione del lavoratore contro i licenziamenti illegittimi -, ha precisato che “Il fatto che è all’origine del licenziamento per giustificato motivo oggettivo include tali ragioni e, in via prioritaria, il nesso causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro e il recesso dal contratto, che si configura come extrema ratio, per l’impossibilità di collocare altrove il lavoratore”.

Per tale via, i giudici di legittimità si sono necessariamente uniformati alle statuizioni del Giudice delle Leggi, in ragione della circostanza che “anche nel giudizio di cassazione, qualora sopravvenga dopo la deliberazione della decisione della Corte di Cassazione e prima della pubblicazione della stessa, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge e tale dichiarazione risulti potenzialmente condizionante rispetto al contenuto ed al tipo di decisione che la Corte stessa era chiamata a rendere, sussiste il dovere della Corte di Cassazione di tenere conto della suddetta dichiarazione, posto che anche il giudizio di cassazione pende sino a quando la sentenza non sia stata pubblicata e considerato che le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dopo la pubblicazione della sentenza della Corte Cost.” (Cass. n. 16081/2004 e Cass. n. 5884/1999).

Onere di ripescaggio del datore di lavoro
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