L’Agenzia ha precisato che i risparmi derivanti dai buoni pasto non erogati dal datore di lavoro in un anno (nel 2020) possono essere corrisposti ai lavoratori sotto forma di misure di sostegno al reddito nell’anno successivo (nel 2021), tuttavia, rientrano nel reddito imponibile.

Nota a AdE Risposta 14 luglio 2022, n. 377

Antonio Guidone

Con la Risposta ad interpello n. 377 del 14 luglio 2022, l’Amministrazione finanziaria ha fornito chiarimenti relativi al regime fiscale applicabile ad un contributo corrisposto dal datore di lavoro, una tantum, per effetto dal risparmio dallo stesso conseguito sui buoni pasto non erogati nell’anno d’imposta precedente.

Nel caso in esame, l’Istante evidenziava che l’art. 1, co. 870, della L. 30 dicembre 2020, n. 178, rendeva possibile, a causa del periodo di emergenza epidemiologica, l’utilizzo dei risparmi derivanti dai buoni pasto non erogati, previa certificazione dei competenti organi di controllo, per fornire ai dipendenti trattamenti economici accessori.

Sulla base di tale disposizione, listante sottoscriveva un accordo integrativo con le organizzazioni sindacali nel quale si stabiliva che il risparmio ottenuto sarebbe stato utilizzato per finanziare iniziative di sostegno al reddito dei dipendenti (welfare integrativo). Più in dettaglio, l’istante si impegnava corrispondere un contributo una tantum alla generalità del personale, contributo da erogare in misura fissa e uguale per tutti i lavoratori (rientranti nel predetto accordo integrativo), indipendentemente dalla qualifica e dal livello professionale.

Nella fattispecie, il menzionato accordo disponeva, a favore dei dipendenti, la concessione dei seguenti benefici:

a) iniziative di sostegno al reddito della famiglia (sussidi e rimborsi);

b) supporto all’istruzione e promozione del merito dei figli;

c) contributi a favore di attività culturali, ricreative e con finalità sociale:

d) prestiti a favore in caso di difficoltà ad accedere ai canali ordinari del credito bancario o in caso di spese non differibili;

e) polizze sanitarie integrative delle prestazioni erogate dal SSN.

Ciò premesso, l’istante chiedeva chiarimenti sul corretto trattamento fiscale applicabile al menzionato contributo.

Nel rispondere al quesito, l’Amministrazione finanziaria ricorda che, in base al principio di onnicomprensività, sancito dall’art. 51, co. 1, del TUIR, il reddito di lavoro dipendente è formato da tutte quelle somme e valori in genere, percepiti a qualunque titolo nel periodo d’imposta, purché relativi al rapporto di lavoro.

Detto principio non è assoluto e al successivo co. 2, del menzionato articolo, sono previste specifiche deroghe. In particolare, non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente:

  1. le prestazioni sostitutive delle somministrazioni vitto fino a 4 euro giornalieri, aumentati ad 8 euro nel caso siano rese in forma elettronica, tra cui i buoni pasto (lett. c);
  2. una serie di prestazioni, opere e servizi corrisposti ai dipendenti in natura o sotto forma di rimborso spese, per la loro valenza sociale(lett. f).

Fatte queste premesse, nonostante l’art. 1, co. 870, della L. n. 178/ 2020 prevedesse che le risorse risparmiate dai buoni pasto non erogati nel 2020, potessero essere utilizzate per il welfare integrativo, alla luce della normativa analizzata, nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria osserva che il contributo una tantum offerto dal datore di lavoro non conservava più la natura di buono pasto e, pertanto, non era più riconducibile ad alcuna delle ipotesi disciplinate dall’art. 51, co. 2, del TUIR.

Per tali motivi, il predetto contributo concorrerà alla formazione del reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 51, co. 1, del TUIR. Si realizzava un fenomeno lato sensu novativo che assegnava una nuova natura alle somme corrisposte che non le rendeva riconducibili in alcune delle fattispecie esentative previste dal legislatore.

Risparmi derivanti dai buoni pasto non erogati in un anno: sono erogabili sotto forma di contributo una tantum, imponibile nell’anno successivo
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