Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 febbraio 2023, n. 6042

Tributi, Avvisi di accertamento, IRPEF, addizionale regionale e comunale, IRAP e IVA, Tassazione dei compensi professionali da lavoro autonomo, Disamina delle movimentazioni bancarie del contribuente alla luce della sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale, Imponibili per i quali ci si può avvalere del cd. “scudo fiscale”, Accoglimento 

 

Fatto

 

L’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Udine (d’ora in poi, anche “l’ufficio”), notificò a S.B. (d’ora in poi, anche “il ricorrente” o “il contribuente”) cinque avvisi di accertamento per il recupero di maggiori imposte Irpef, addizionale regionale, Irap, Iva e addizionale comunale, con le consequenziali sanzioni amministrative, per le annualità 2005, 2006, 2007, 2008 e 2009.

Essi trassero origine da un processo verbale di constatazione del 29/9/2011 elevato dalla Guardia di Finanza, a seguito di attività di polizia giudiziaria e di accertamento dei rapporti bancari intrattenuti con gli istituti di credito dal B. per gli anni dal 2006 al 2010.

La CTP di Udine accolse parzialmente i ricorsi proposti dal contribuente, dopo averli riuniti.

Nelle more, l’Ufficio diede atto di avere annullato l’avviso di accertamento relativo all’anno 2005.

Sia l’ufficio che il contribuente proposero appello contro la sentenza della CTP.

La CTR accolse in parte l’appello dell’Ufficio determinando in euro 745.510,01 il maggior imponibile per l’anno 2007; in euro 399.300 il maggior imponibile per l’anno 2008 ed in euro 62.112,15 per l’anno 2009.

Avverso la sentenza di appello il B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi.

Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso, che contiene anche un ricorso incidentale fondato su un solo motivo.

Il Sostituto Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta.

 

Diritto

 

1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 42 commi 1 e 3 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.; inesistenza giuridica degli avvisi di accertamento”, il contribuente deduce che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 37 del 25 febbraio 2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 44 del 2012, con la conseguenza che, oltre alla decadenza dagli incarichi dirigenziali di tutti i funzionari che erano stati nominati dirigenti in base alle norme dichiarate incostituzionali, devono ritenersi illegittimi tutti gli avvisi di accertamento dagli stessi firmati “nel corso dei vari anni”.

Dall’art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e, per l’Iva, dall’art. 56, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, si evincerebbe che un avviso di accertamento non sottoscritto dal capo dell’ufficio, che deve necessariamente essere un dirigente, è inficiato da inesistenza e/o nullità assoluta e insanabile nel caso in cui sia stato firmato da un soggetto che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, non avrebbe potuto assumere l’incarico dirigenziale.

Tale nullità/inesistenza giuridica sarebbe rilevabile dal giudice in ogni stato e grado del processo, anche d’ufficio.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che il processo tributario è strutturato come un processo di tipo impugnatorio, sicché i vizi dell’atto impositivo che non siano dedotti in giudizio nel termine di decadenza previsto dalla legge non possono esser più fatti valere, né il giudice eventualmente adìto li può rilevare d’ufficio (Sez. T, Sentenza n. 22810 del 09/11/2015; Sez. T, Ordinanza n. 5177 del 26/02/2020).

Orbene, l’odierno contribuente non ha nemmeno dedotto di avere, sin dal primo grado, proposto quale motivo di annullamento degli avvisi di accertamento il fatto che essi fossero stati sottoscritti da funzionari che illegittimamente avevano assunto la qualifica di dirigenti, secondo quanto poi sancito dalla Corte Costituzionale, con la conseguenza che il sopravvenuto dictum di quest’ultima, di cui alla sentenza n. 37/2015, non spiega alcuna influenza nell’ambito del presente giudizio.

2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per omessa motivazione ai sensi dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c.”, il contribuente deduce che la sentenza emessa dalla CTR del Friuli Venezia Giulia sarebbe viziata da nullità per omessa motivazione su di un motivo di ricorso sollevato con riferimento al periodo d’imposta 2005.

In particolare, con l’avviso di accertamento n. TI9010303737/2011, relativo al periodo d’imposta 2005, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato l’omessa fatturazione, ai fini Irpef, Irap e Iva, di compensi per euro 1.000.000 incassati dal Governo della Guinea Equatoriale a fronte di prestazioni professionali.

Tale pretesa era stata impugnata in primo grado sulla base di tre motivi: la violazione degli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972; la violazione dell’art. 13 bis del d.l. n. 78 del 2009, convertito in l. n. 102 del 2009, in materia di scudo fiscale; la violazione dell’art. 1353 c.c., in quanto, essendo stato il compenso erogato al contribuente subordinato all’avveramento di una condizione sospensiva, l’importo a lui versato non avrebbe avuto nature reddituale né sarebbe rientrato nel volume d’affare ai fini Iva.

Detta pretesa era stata annullata in primo grado perché l’importo percepito dal Governo della Guinea Equatoriale era stato ritenuto “scudabile” dalla CTP.

Proponendo appello incidentale, il contribuente aveva insistito, dinanzi alla CTR, nel ritenere che l’incasso percepito non costituiva reddito tassabile, anche per poter così profittare dello scudo fiscale in relazione ad altre annualità d’imposta.

Ad avviso del contribuente, la CTR, nel rigettare sul punto l’appello incidentale, si sarebbe limitata a dire che la somma era tassabile per il solo fatto di essere stata incassata, incorrendo così nel vizio di motivazione apparente.

3. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1353 c.c. e 54 del d.P.R. n. 917 del 1986 ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.”, il contribuente, fermo il vizio di omessa motivazione, censura la sentenza d’appello per aver tratto la natura reddituale dell’importo dal mero incasso della somma, senza considerare che la qualificazione dell’importo dipende dalla complessiva interpretazione del contratto concluso tra il governo della Guinea Equatoriale e l’odierno contribuente, che nel caso di specie conteneva una condizione sospensiva (l’ottenimento di un finanziamento dall’Unione europea) che non si sarebbe mai verificata.

3.1. Il secondo e il terzo motivo, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

La motivazione della sentenza d’appello non è apparente, ma semmai stringata, anche se corretta in diritto, e basata sulla considerazione che la tassazione dei compensi professionali da lavoro autonomo è fondata sul principio di cassa: il compenso è destinato a comporre il reddito tassabile relativo all’anno dell’incasso (Sez. T, Ordinanza n. 24996 del 19/08/2022; Sez. T, Sentenza n. 17306 del 30/07/2014), fermo restando che il definitivo mancato avveramento della condizione sospensiva (o l’avveramento della condizione risolutiva) apposta al contratto può generare una componente negativa di reddito (costo) in relazione all’annualità in cui essa, tramite la restituzione dell’importo percepito, si sia verificata.

Nel caso di specie, il contribuente aveva ricevuto la somma di un milione di euro per una prestazione d’opera professionale, con l’intesa che il trattenimento definitivo di quella somma era condizionato all’ottenimento di un finanziamento europeo.

Orbene, quand’anche il contratto di prestazione d’opera intercorso tra le parti fosse stato sottoposto a condizione sospensiva, ciò non toglie che l’incasso, da parte dell’odierno contribuente, della somma di un milione di euro costituiva una componente positiva di reddito, tassabile in base al principio di cassa.

Ne consegue che, sul punto, nessun errore di diritto ha commesso la CTR nella sentenza d’appello.

4. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 57 comma 3 del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.”, il contribuente censura la sentenza di appello nella parte in cui afferma che ricorrevano i presupposti per l’allungamento dei termini di accertamento per il 2005, in quanto vi sarebbe stata la notizia di reato costituita dall’omessa indicazione di corrispettivi per l’ammontare di un milione di euro.

In particolare, il contribuente sostiene che l’esistenza di una notizia di reato presuppone la trasmissione di una denuncia penale, che trovi adeguato riscontro nei fatti contestati, che devono comunque essere valutati dal giudice di merito, senza che quest’ultimo possa ritenere che la notizia di reato sia “insita nell’omessa indicazione dei corrispettivi”.

Inoltre, il contribuente si lamenta del fatto che la notizia di reato non fosse stata allegata all’avviso di accertamento impugnato, con violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990.

5. Con il quinto motivo di ricorso, rubricato “Nullità della sentenza per omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.”, il contribuente dà atto di aver proposto, sin dal primo grado, il motivo di impugnazione, avverso l’avviso di accertamento n. TI9010303737/2011, relativo alla mancanza di presupposti per la proroga dei termini di decadenza stabilita dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972.

Tale motivo era stato rigettato dalla CTP di Udine, ed era stato riproposto con l’appello incidentale.

Tuttavia, la CTR avrebbe omesso totalmente di esaminare la questione circa la necessità che la denuncia all’autorità giudiziaria dovesse essere inoltrata con riferimento a periodi d’imposta ancora “aperti”.

5.1. Il quarto e il quinto motivo attengono alla questione se, ai fini del raddoppio dei termini di decadenza dall’accertamento, sia necessaria la materiale denuncia di reato all’Autorità giudiziaria. I detti motivi, per la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati.

Questa Corte, con orientamento che può dirsi consolidato, ha affermato che, ai fini del raddoppio dei termini di decadenza dall’accertamento, è sufficiente che nella condotta ascritta al contribuente sia astrattamente configurabile, al tempo della sua commissione, il reato di dichiarazione infedele, con conseguente obbligo di denuncia, a prescindere dalla sua effettiva comunicazione (Sez. T, Sentenza n. 29988 del 13/10/2022; Sez. T, Ordinanza n. 11156 del 28/04/2021).

Ne consegue che, qualora il giudice di merito ritenga integrata la fattispecie di reato, può ritenere raddoppiati i termini per l’accertamento a prescindere dall’esistenza di una materiale denuncia inoltrata all’Autorità giudiziaria.

6. Con il sesto motivo di ricorso, rubricato “Nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c.”, il contribuente censura la sentenza di appello nella parte in cui, analizzando la portata reddituale delle movimentazioni bancarie oggetto della CTU disposta dalla CTR, si sarebbe di fatto appiattita sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, senza confrontarsi con le osservazioni contenute negli atti difensivi.

6.1. Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata, quando si è trattato di procedere alla disamina delle movimentazioni bancarie del contribuente alla luce della sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale, ha affermato che “il CTU ha puntualmente provveduto – tenuto conto delle osservazioni delle CTP – alle modifiche necessarie, come esposte nella apposita integrazione alla relazione del CTU…pervenendo alle conclusioni esposte…che, per l’accuratezza e completezza delle analisi a fronte delle argomentazioni difensive delle parti come esposte nei relativi atti di appello principale, controdeduzioni ed appello incidentale, vengono qui richiamate ed integralmente assunte”.

Si tratta, all’evidenza, di una motivazione solo apparente che, oltre a dare sommariamente atto della sequenza procedimentale degli atti difensivi e delle operazioni di consulenze tecnica, non ha spiegato le ragioni in base alle quali sono state disattese le osservazioni che il contribuente e il suo consulente avevano mosso all’elaborato peritale, risolvendosi sostanzialmente in una acritica adesione a quest’ultimo e all’elaborato integrativo (Sez. 3, Sentenza n. 4448 del 25/02/2014).

7. Con il settimo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 1 n. 2 del d.P.R. n. 600 del 1973 ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.”, il contribuente ripercorre le argomentazioni e le prove addotte nel giudizio di merito per confutare le conclusioni cui era giunto il CTU.

7.1. Il settimo motivo è assorbito dall’accoglimento del sesto motivo.

8. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, rubricato “Violazione o falsa applicazione degli artt. 13 bis del d.l. n. 78 del 2009, convertito in l. n. 102 del 2009 e 19, comma 23 bis, del d.l. n. 201 del 2011, conv. in l. n. 214 del 2011, introdotto dall’art. 8, comma 16, lettera i) del d.l. n. 16 del 2012, convertito in l. n. 44 del 2012, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”, l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per aver utilizzato la franchigia dello scudo fiscale anche per la riduzione dell’imponibile ai fini Iva, in violazione dell’art. 13 bis, comma 4, del d.l. n. 78 del 2009 convertito in l. n. 102 del 2009 e dell’art. 8, comma 16, del d.l. n. 16 del 2012, convertito in l. n. 44 del 2012.

8.1. Il motivo è fondato.

Questa Corte ha già chiarito che gli imponibili per i quali ci si può avvalere del cd. “scudo fiscale” sono quelli rilevanti ai fini delle imposte dirette, non quelli rilevanti ai fini Iva (Sez. T, Sentenza n. 34577 del 30/12/2019).

9. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione ai motivi di ricorso accolti e la causa deve essere rinviata per nuovo esame alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Friuli Venezia Giulia, che provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il sesto motivo del ricorso principale, assorbito il settimo.

Dichiara inammissibile il primo motivo e rigetta il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo.

Accoglie l’unico motivo del ricorso incidentale.

Cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Friuli Venezia Giulia in diversa composizione, che liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 febbraio 2023, n. 6042
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