Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 marzo 2023, n. 8308

Lavoro, Licenziamento per giusta causa, Abbandono del posto di lavoro senza giustificato motivo, Sproporzione della sanzione espulsiva, Rigetto

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 418/2017, la Corte d’appello di Trieste respinse il reclamo che la (…) s.p.a. aveva proposto contro la pronuncia del Tribunale di Gorizia, con la quale era stata rigettata l’opposizione ex art. 1, comma 57, L. n. 92/2012 della medesima società convenuta avverso l’ordinanza di quel Tribunale che, nella fase sommaria, aveva annullato il licenziamento per giusta causa intimato all’attore (…) operaio carpentiere alle dipendenze di (…) ed aveva applicato in suo favore la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, L. n. 300/1970. Con la medesima sentenza la Corte territoriale aveva dichiarato inammissibile, per difetto d’interesse, il reclamo incidentale che lo (…) aveva proposto contro la decisione resa in sede d’opposizione, reclamo volto a sentir dichiarare l’insussistenza del fatto contestatogli in sede disciplinare (e, cioè, in sintesi, il fatto di essere stato sorpreso dal proprio superiore gerarchico, durante il turno di lavoro notturno, addormentato presso altra zona dello stabilimento, a distanza di circa un’ora dalla pausa prestabilita).

2. Con sentenza 25.3.2019, n. 14064, questa Corte di Cassazione accoglieva il primo e il secondo motivo di ricorso che la (…) aveva proposto avverso detta sentenza della Corte territoriale, dichiarando assorbito il terzo; cassava, quindi, la sentenza impugnata e rinviava alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, perché si uniformasse a quanto statuito, oltre a regolare le spese anche del giudizio di legittimità.

3. Per quanto qui interessa, questa Corte, nel ritenere fondati i suddetti primi due motivi di ricorso per cassazione, dopo ampie considerazioni di ordine giuridico, aveva osservato che: “nel caso di specie, la Corte distrettuale ha ritenuto ingiustificato il licenziamento in quanto diretto a sanzionare una condotta alla quale le parti sociali avevano ricollegato una sanzione conservativa ed ha, poi, tratto le immediate conseguenze in ordine al regime di tutela da applicare (scegliendo, dunque, la sanzione reintegratoria dell’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970). In particolare, il giudice di merito ha ritenuto di sussumere il comportamento contestato nell’ambito della previsione di cui all’art. 9 C.C.N.L. applicato in azienda, nella specie “l’abbandono del posto di lavoro senza giustificato motivo”, punito con sanzione conservativa dal C.C.N.L. di settore.

Così facendo, però, ha interpretato e poi applicato una clausola contrattuale prevedente una sanzione conservativa ad un caso concreto non contemplato dalla medesima. Invero la contrattazione collettiva applicabile annovera ulteriori fattispecie suscettibili di essere punite con sanzioni conservative (quali la mancata presentazione al lavoro, il ritardo all’inizio del lavoro senza giustificato motivo o la sospensione o l’anticipazione della cessazione) facendo riferimento a condotte tutte accomunate dalla caratteristica di essere immediatamente e agevolmente rilevabili dal datore di lavoro in quanto tenute in palese ed aperta violazione dell’obbligo di osservanza dell’orario di lavoro. Ma un’interpretazione rigorosa della clausola contrattuale non consente di sussumere il comportamento adottato dal (…) nella tipizzazione contrattuale in quanto comportamento più articolato e complesso, qualitativamente differente, e consistente non semplicemente nella mancata o nell’interrotta prestazione lavorativa immediatamente percepibile al datore di lavoro bensì nella sottrazione dal controllo datoriale al fine di realizzare un’apparente situazione di regolarità lavorativa.

Non potendo ritenersi ricollegabile la condotta tenuta dal (…) con la tipizzazione contenuta nell’art. 9 del C.C.N.L. di settore, e, dunque, dovendo escludersi, per il fatto de quo l’assoggettabilità a sanzione conservativa, il giudice dovrà procedere nuovamente all’accertamento della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo (tenendo conto delle tipizzazioni espresse dalla contrattazione collettiva e utilizzando la discrezionalità che deriva dalla nozione legale di tali giustificazioni) e, nel caso ritenga sproporzionata la sanzione espulsiva adottata, dovrà — in sede di valutazione del regime sanzionatorio da applicare – applicare il regime generale della tutela risarcitoria dettato dal comma 5, dovendosi escludere, per le ragioni in precedenza enunciate, la ricorrenza dei presupposti di legge per l’applicazione della tutela reintegratoria”.

4. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Trieste in sede di rinvio, a seguito di riassunzione di ambo le parti, accertata l’insussistenza degli estremi della giusta causa, dichiarava risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannava la (…) s.p.a. al pagamento in favore dello (…) dell’indennità risarcitoria onnicomprensiva prevista dall’art. 18, comma 5, L. n. 300/1970, che liquidava in misura pari a diciotto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge; compensava per un terzo le spese del giudizio e condannava (…) alla rifusione della restante parte di tali spese, come distintamente liquidate per i vari gradi e fasi del giudizio.

5. La Corte distrettuale di rinvio, dopo aver riferito quanto ritenuto e statuito nella sentenza rescindente, riteneva anzitutto che la disamina della questione relativa all’insussistenza del fatto contestato non poteva più trovare ingresso in sede di rinvio, stante l’intervenuta formazione sul punto del giudicato interno. Giungeva, inoltre, alla conclusione che, pur non potendo la condotta contestata allo (…) essere sussunta in una delle ipotesi espressamente previste dall’art. 9 del C.C.N.L. Industria Meccanica, il disvalore disciplinare ad essa attribuibile doveva nondimeno ritenersi proporzionato a quello che caratterizza le mancanze “di maggior rilievo”, come tali meritevoli della sanzione della “sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino ad un di tre giorni” ex art. 8, lett. d) del cit. C.C.N.L., sicché doveva trovare applicazione la tutela risarcitoria di cui all’art. 18, comma 5, L. n. 300/1970, per le ragioni e nei termini specificati nella motivazione e nel dispositivo della sua sentenza.

6. Avverso tale decisione (…) ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.

7. Ha resistito l’intimata con controricorso, contenente ricorso incidentale, pure a mezzo di unico motivo.

8. Il ricorrente principale (…) ha depositato controricorso per resistere all’avverso ricorso incidentale, ed ha anche prodotto memoria.

9. Anche la ricorrente incidentale ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l’unico motivo del suo ricorso, lo (…) deduce: “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 100 c.p.c. con riferimento al principio secondo il quale l’onere di proporre impugnazione presuppone la sussistenza del relativo interesse, dato dalla soccombenza – Nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.)”. Secondo il ricorrente principale, in sintesi, il giudice del rinvio aveva errato nel ritenere precluso l’esame della questione riguardante l’insussistenza del fatto materiale da lui riproposta in tale sede, perché egli, all’esito del giudizio di reclamo, non era risultato in alcun modo soccombente, né su domande né su questioni, e la pronuncia della Corte d’appello, contenuta nella prima sentenza resa dalla stessa, d’inammissibilità per carenza d’interesse del suo reclamo incidentale condizionato in conseguenza del rigetto di quello principale, equivaleva, a tutti gli effetti, ad una dichiarazione di assorbimento, ed era del tutto corretta. Lamenta, perciò, anche la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., perché, decidendo come sopra, la Corte territoriale in sede di rinvio aveva anche omesso di pronunciare sul profilo di domanda che aveva formato oggetto del reclamo incidentale condizionato e che era stato riproposto in sede di riassunzione.

2. Con l’unico motivo del suo ricorso incidentale, la (…) denuncia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2104, 2105, 2106 e 2119 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.”. Deduce che la Corte d’Appello di Trieste, pur avendo espressamente riconosciuto che il fatto di aver “abbandonato arbitrariamente la sua postazione lavorativa recandosi all’interno del predetto container al fine di schiacciare un pisolino per un periodo temporale imprecisato” e di aver ripreso la sua attività lavorativa tornando alla sua postazione solo dopo essere stato sorpreso dal Suo superiore gerarchico intento a dormire durante il Suo turno di lavoro”, seppure consistente “non semplicemente nella mancata o nell’interrotta prestazione lavorativa immediatamente percepibile dal datore di lavoro, bensì nella sottrazione dal controllo datoriale al fine di realizzare un’apparente situazione di regolarità lavorativa”, aveva nondimeno disatteso il principio di diritto espresso da questa Corte Suprema nella sentenza rescindente, laddove aveva ritenuto che “… il riferimento alla scala valoriale recepita nelle previsioni della contrattazione collettiva non consente di formulare una valutazione di adeguatezza e proporzionalità della sanzione espulsiva”, in quanto – a suo dire – “… in difetto di ogni riferimento all’effettivo verificarsi di un “grave nocumento morale o materiale” – all’evidenza non contenuta nella contestazione disciplinare – non consente di ritenere attinta l’anzidetta soglia di gravità”.

3. L’unica censura del ricorso dello (…) non è fondata.

3.1. Il ricorrente principale in primo luogo non considera in modo completo quanto considerato dalla Corte territoriale in sede di rinvio.

Quest’ultima, infatti, dopo aver dato conto della decisione di cassazione con rinvio, aveva anzitutto “evidenziato che in sede di rinvio non possono costituire materia del giudizio (a differenza delle domande ed eccezioni non esaminate dal giudice di merito perché considerate assorbite) le questioni già decise nella precedente fase di merito riguardo alle quali il ricorso non sia stato proposto o sia stato rigettato”. Indi, aveva <rilevato che la questione dell’insussistenza del fatto contestato era stata espressamente decisa in senso sfavorevole al ricorrente (pur vittorioso – sia in primo che in secondo grado – sul punto della ascrivibilità del medesimo tra le condotte punibili con sanzione conservativa sulla base delle previsioni del CCNL) sia nell’ordinanza del Tribunale di Gorizia emessa a definizione della fase sommaria sia nella successiva sentenza resa in sede di opposizione (in cui, sulla base delle risultanze istruttorie, era stata ritenuta “dimostrata la presenza obiettiva del fatto materiale costituito dalla completa inerzia del lavoratore rispetto al regolare svolgimento delle mansioni alle ore 3,30 circa del 15.09.2016”)>.

Ha altresì considerato che: “Ed avverso tale statuizione l’interessato aveva bensì incidentalmente gravato la sentenza di primo grado, ma aveva successivamente omesso di impugnare con ricorso incidentale in sede di legittimità la decisione di appello (con cui era stata ritenuta, in rito, l’inammissibilità per difetto di interesse di tale reclamo incidentale), in modo da poter nuovamente discutere della questione in sede di rinvio.

Ne consegue, dunque, che la disamina della questione relativa all’insussistenza del fatto contestato non potrà più trovare ingresso in sede di rinvio, stante l’intervenuta formazione sul punto del giudicato interno”.

3.2. Il ricorrente principale, allora, come si anticipava, non tiene completamente conto del percorso logico-giuridico in base al quale la Corte distrettuale è pervenuta alla conclusione che si fosse formato un giudicato interno sulla questione specifica dell’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, riproposta in sede da quest’ultimo in sede di rinvio.

3.3. Comunque, occorre sottolineare che nella specie il rinvio disposto da questa Corte con la sentenza n. 14064/2019 era indubbiamente un rinvio c.d. prosecutorio (o proprio) e non c.d. restitutorio (o improprio).

In particolare, nel tornare su tale distinzione (consolidata nella giurisprudenza di legittimità), e nel <dare conto delle peculiari caratteristiche del giudizio di rinvio (“vero e proprio”)>, le Sezioni Unite di questa Corte, per quanto qui interessa, hanno evidenziato che: “avuto riguardo alle statuizioni rese in sede di cassazione (totale o parziale) della sentenza impugnata, il rinvio per ragioni di merito (cd. proprio) costituisce la fase rescissoria rispetto al giudizio (rescindente) di cassazione, che, inserendosi nella formazione progressiva del giudicato, risulta finalizzato all’emanazione di una nuova pronuncia di merito che decida la controversia (ovvero integri i capi rimasti indenni della precedente decisione), facendo applicazione dei criteri di giudizio che la Corte ha ritenuto corretti (nell’ipotesi, evidentemente, che non sussistevano i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p.) e/o facendo emenda dei vizi motivazionali dalla stessa Corte rilevati; con la conseguenza che, in quella fase, non possono formare oggetto di discussione tutte le questioni che costituiscono presupposti, esplicitamente o implicitamente, decisi nella pronuncia di cassazione” (così nella motivazione Cass. civ., sez. un., 9.6.2016, n. 11844).

Ebbene, nel caso che ci occupa, questa Corte, nell’accogliere il primo ed il secondo motivo del ricorso per cassazione all’epoca proposto dalla (…) (motivi che riguardavano esclusivamente la violazione di norme di diritto e del CCNL applicabile ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., e nel cassare di conseguenza la prima decisione della Corte territoriale, non aveva riscontrato errores in procedendo in quest’ultima (il che avrebbe dato luogo ad un rinvio restitutorio), bensì aveva riscontrato in sintesi un vizio di sussunzione del caso concreto nella previsione di cui all’art. 9 del CCNL in questione, a sua volta non interpretata rigorosamente secondo questa Corte dai giudici di secondo grado.

Conseguentemente, i vizi riscontrati hanno comportato una cassazione con rinvio (da qualificare come proprio), specificandosi a quale nuovo accertamento in particolare doveva procedere il giudice designato.

3.4. Deve ora essere sottolineato che, come ben risulta dai passi di motivazione riferiti al punto 3 della precedente narrativa in fatto di questa ordinanza, nella sent. n. 14064/2019 questa Corte aveva a più riprese parlato di “comportamento adottato dal (…) ponendo in luce che esso era “più articolato e complesso, qualitativamente differente, e consistente non semplicemente nella mancata o nell’interrotta prestazione lavorativa immediatamente percepibile al datore di lavoro bensì nella sottrazione del controllo datoriale al fine di realizzare un’apparente situazione di regolarità lavorativa”. Pertanto, “Non potendo ritenersi ricollegabile la condotta tenuta dal con la tipizzazione contenuta nell’art. 9 del C.C.N.L. di settore, e, dunque, dovendo escludersi, per il fatto de quo l’assoggettabilità a sanzione conservativa”, era stato precisato in quale chiave dovesse essere emanata la nuova pronuncia di merito dal giudice del rinvio, chiamato ad uniformarsi “a quanto innanzi statuito”.

3.5. La Corte del rinvio ha senz’altro tenuto conto di tutto questo (cfr. anzitutto pagg. 10 e 11 della sua sentenza), nel senso che quanto considerato da questa Corte implicava un giudicato interno circa la questione dell’insussistenza del fatto contestato; fatto che, in assenza di ricorso incidentale all’epoca del lavoratore interessato ad insistere nella tesi dell’insussistenza, nella sentenza rescindente era stato ritenuto sussistente ed atteggiatosi in termini non astratti, ma in concreto, tali da escludere la sua sussunzione nelle ipotesi di cui all’art. 9 del CCNL applicabile.

E pacificamente il giudizio di rinvio realizza un processo chiuso, il cui ambito resta circoscritto alle parti cassate della sentenza di appello o da essa dipendenti (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 5.5.2022, n. 14249).

Per conseguenza, l’attuale ricorrente non poteva in sede di rinvio riproporre la questione dell’insussistenza del fatto contestatogli, il che tenderebbe a porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione rescindente e l’operatività dei principi di diritto in essa enunciati, che presupponevano la sussistenza del fatto stesso.

3.6. Vero è, inoltre, che l’istante, in relazione a quanto richiesto, era risultato comunque vittorioso nel merito all’esito della fase di reclamo, perché – essendo equipollenti dal punto di vista della tutela reintegratoria (c.d. debole) di cui all’art. 18, comma quarto, L. n. 300/1970, l’ipotesi dell’ “insussistenza del fatto contestato” e quella in cui il fatto (sussistente) “rientra tra le condotte punibili con sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili” -, il suo reclamo incidentale era stato dichiarato inammissibile solo per carenza d’interesse circa il profilo dell’insussistenza del fatto perché detta tutela era stata in ogni caso da lui conseguita.

Nondimeno egli era munito di certo interesse a proporre a questa Corte ricorso incidentale condizionato circa la questione della sussistenza del fatto addebitatogli per il caso in cui fosse accolto in tutto o in parte il ricorso per cassazione avverso (come poi avvenuto) che, dando per accertato il fatto stesso, contestava la sua riconducibilità ad ipotesi di sanzione conservativa.

3.7. Va da sé, perciò, che non è riscontrabile alcuna omessa pronuncia nell’impugnata sentenza, la quale, da un lato, ha spiegato perché non potesse essere più investita della questione dell’insussistenza del fatto materiale riproposta dal lavoratore in sede di riassunzione, e, dall’altro, era tenuta ad uniformarsi a quanto statuito in sede rescindente da questa Corte.

4. Inammissibile è l’unico motivo del ricorso incidentale.

4.1. In tale censura, la ricorrente incidentale, pur indicando nella relativa rubrica come violate dalla Corte territoriale le norme di cui agli artt. 2104, 2105, 2106 e 2119 c.c., pare piuttosto addebitare alla stessa la violazione dell’art. 384, comma secondo, c.p.c., per aver disatteso il principio di diritto espresso da questa Corte nella sentenza rescindente.

4.2. Osserva in contrario il Collegio che, come già notato, il giudice di rinvio ha tenuto ben presente in premessa quanto statuito in detta sentenza (cfr. pagg. 10-11 della sua decisione).

Indi, ha compiuto il nuovo accertamento richiesto in termini strettamente aderenti a quello che era stato specificato da questa Corte a riguardo, segnatamente “tenendo conto delle tipizzazioni espresse dalla contrattazione collettiva e utilizzando la discrezionalità che deriva dalla nozione legale di tali giustificazioni” (cfr. in extenso le pagg. 13-15 dell’impugnata sentenza).

In particolare, ma in sintesi, ha operato una riconsiderazione di quanto contestato, ponendo tra l’altro in luce il <difetto di ogni riferimento all’effettivo verificarsi di un “grave nocumento morale o materiale” – all’evidenza non contenuta nella contestazione disciplinare ->, in rapporto ad una più ampia ricognizione delle previsioni del CCNL applicabile che venivano in considerazione (non solo del suo art. 9).

E, come premesso, ha motivatamente ritenuto che: “Pur non potendo, pertanto, la condotta contestata essere sussunta in una delle ipotesi espressamente previste dall’art. 9 C.C.N.L. Industria Meccanica, a margine di tali considerazioni il disvalore ad essa attribuibile deve nondimeno ritenersi proporzionato a quello che caratterizza le mancanze “di maggior rilievo”, come tali meritevoli della sanzione della “sospensione dal lavoro e della retribuzione fino ad un (…) di tre giorni” (art. 8, lett. d)”.

Infine, ha concluso che: <Vertendosi in un caso di sproporzione della sanzione espulsiva, in sede di valutazione del regime sanzionatorio deve dunque trovare necessariamente applicazione, come rilevato dalla S.C., “il regime generale della tutela risarcitoria dettato dal comma 5”>.

4.3. Orbene, tutte le così sintetizzate argomentazioni sono solo molto parzialmente considerate dalla ricorrente incidentale.

Per altro verso, nello sviluppo del motivo in esame, essa propone una propria rilettura del caso sul piano fattuale e probatorio (cfr. in particolare, le pagg. 21-22 del ricorso), il che non può ovviamente trovare ingresso in questa sede di legittimità.

In ogni caso la critica mossa alla decisione della Corte territoriale è indiretta e non coglie la ratio decidendi di questa, volta soprattutto a dare seguito al punto della sentenza rescindente in cui era stato specificato che il giudice del rinvio avrebbe anche potuto ritenere “sproporzionata la sanzione espulsiva adottata”, e quindi, in tal caso, applicare la tutela di cui all’art. 18, comma 5, L. n. 300/1970.

5. Stanti il rigetto del ricorso principale e l’inammissibilità del ricorso incidentale, le spese di questo giudizio di legittimità devono essere interamente compensate tra le parti.

6. Queste ultime, tuttavia, sono tenute al versamento del c.d. raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa integralmente tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 marzo 2023, n. 8308
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