La risoluzione del rapporto di lavoro intramurario per fine pena dà luogo ad uno stato di disoccupazione involontaria con conseguente diritto alla percezione dell’indennità di NASpI.

Nota a Trib. Milano 10 aprile 2024, n. 1335

Sonia Gioia

La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (c.d. NASpI), istituita dall’art. 1, D.LGS. 4 marzo 2015, n. 22 (concernente “Disposizioni  per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”) per fornire una tutela di sostegno al reddito ai prestatori con rapporto di lavoro subordinato che siano rimasti involontariamente disoccupati, spetta anche al detenuto, impiegato alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, il cui rapporto di lavoro sia cessato per fine pena.

Lo ha stabilito il Tribunale di Milano (10 aprile 2024, n. 1335), in relazione ad una fattispecie concernente un detenuto – impiegato alle dipendenze del DAP con mansioni di addetto alla distribuzione del vitto, alla pulizia degli spazi esterni e alla rotazione dei sacchi della spazzatura – che rivendicava il diritto all’indennità di disoccupazione in seguito alla risoluzione del rapporto di lavoro conseguente alla scarcerazione.

All’esito del procedimento amministrativo, l’INPS aveva rigettato la domanda di NASpI, proposta dal ricorrente tramite patronato, ritenendo che la scarcerazione non è equiparabile al licenziamento e non dà luogo ad uno stato di disoccupazione involontaria rilevante ai fini della tutela previdenziale della NASpI e che, in ogni caso, il sussidio di disoccupazione può essere erogato solo al termine di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di aziende diverse dagli Istituti penitenziari (Msg INPS 5 marzo 2019, n. 909).

Ciò, dal momento che l’attività di impiego prestata dal detenuto all’interno del carcere ed al medesimo assegnata dalla Direzione dell’Istituto penitenziario “non è equiparabile alle prestazioni di lavoro svolte al di fuori dell’ambito carcerario e, comunque, alle dipendenze di datori di lavoro diversi dall’Amministrazione penitenziaria”, poiché  tale attività prevede la predisposizione di una graduatoria per l’ammissione al lavoro ed è soggetta a turni di rotazione e avvicendamento, che non si configurano come licenziamento ma come sospensione dell’attività lavorativa e, in quanto tali, non danno diritto all’indennità di NASpI (Cass. n. 18505/2006).

Di diverso avviso, invece, è stato il Tribunale di Milano, secondo cui il lavoro prestato dai detenuti – sia in favore del DAP all’interno o all’esterno dello stabilimento presso cui si applica la pena restrittiva della libertà personale che all’esterno e alle dipendenze di altri datori di lavoro – deve ritenersi, “nonostante le peculiarità della disciplina di alcuni istituti derivanti dall’interferenza del trattamento penitenziario”, pienamente assimilabile ad un ordinario rapporto di impiego (CEDU 7 luglio 2011, n. 37452/02; Cass. n. 396/2024; Cass. (ord.) 27340/2019).

L’organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario, infatti, devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai detenuti e agli internati una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale – considerato che “il lavoro carcerario è tanto più rieducativo quanto più è uguale a quello dei liberi” – ed è garantita loro, nei limiti degli stanziamenti regionali, la tutela assicurativa e ogni altra tutela prevista dalle disposizioni di legge (art. 2, D. LGS. 2 ottobre 2018, n. 12, recante “Riforma dell’ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario”, in attuazione della delega di cui all’art. 1, co. 82, 83 e 85, lett. g), h), r), L. 23 giugno 2017, n. 103).

“Il lavoro intramurario è equiparato al lavoro subordinato anche ai fini previdenziali e assistenziali”, dal momento che le peculiarità della regolamentazione carceraria non rilevano in alcun modo ai fini della spettanza o meno di tali forme di tutela.

Con particolare riguardo all’erogazione dell’indennità di disoccupazione, la perdita di impiego  alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria per fine pena integra a tutti gli effetti lo stato di disoccupazione involontaria richiesto dalla legge per l’accesso al trattamento di NASpI, poiché la cessazione del rapporto  esula dalla discrezionalità del lavoratore: la scarcerazione, infatti, non dipende dalla volontà del detenuto né lo stesso può rifiutarla al fine di mantenere in essere il contratto di impiego.

A tal fine, non assume rilievo la circostanza che l’internato al momento dell’assunzione possa già sapere quando sarà scarcerato e, conseguentemente, quando il suo rapporto di lavoro cesserà, “trattandosi di situazione esattamente sovrapponibile a quella del lavoratore assunto a tempo determinato”, cui è riconosciuto il diritto all’indennità di disoccupazione anche se la cessazione del contratto è in qualche modo riconducibile alla volontà che egli ha manifestato all’atto dell’assunzione a termine.

Non ostano al riconoscimento del diritto all’indennità di disoccupazione né il fatto che il DAP non persegua scopi di lucro, “essendo pacifico” che la NASpI spetta a tutti i prestatori subordinati che abbiano perduto involontariamente l’occupazione (art. 1, D. LGS. n. 22 cit.),  né che i posti di impiego vengano assegnati ai detenuti “a rotazione”, atteso che si tratta di modalità necessaria a conciliare l’impegno sancito in capo all’Amministrazione penitenziaria di “assicurare” agli internati un impiego con la nota scarsità quantitativa di offerta di lavoro in carcere, da cui non può dipendere alcuna conseguenza in termini di trattamento previdenziale (art. 15, co. 2, L. 26 luglio 1975, n. 354, recante “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”) (v. anche Trib. Siena 1 giugno 2022, n. 216, annotata in q. sito da S. GIOIA).

La circostanza che la Direzione carceraria versi all’INPS i contributi per la disoccupazione anche per i detenuti – lavoratori costituisce, poi, un ulteriore elemento “utile a corroborare la soluzione che riconosce all’ex – detenuto la tutela previdenziale richiesta”.

Pertanto, nel caso di cessazione del lavoro intramurario per fine pena, il detenuto ha diritto all’erogazione dell’indennità di NASpI, così come già pacificamente riconosciuto ai reclusi impiegati presso un datore di lavoro esterno, a condizione ovviamente che ricorrano i requisiti prescritti dall’art. 3, co. 1, D. LGS. n. 22 cit., vale a dire:

a) Lo stato di disoccupazione, ai sensi dell’art. 1, co. 2, lett. c), D. LGS. 21 aprile 2000, n. 181 e succ. mod. (recante “Disposizioni per agevolare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro”);

b) La possibilità di far valere almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di mancanza d’impiego;

c) L’aver svolto – per i soli eventi di disoccupazione verificatisi prima del 1 gennaio 2022 – almeno 30 giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di inattività.

Una diversa interpretazione, che non riconosca il diritto all’indennità di NASpI agli internati dipendenti del DAP rimasti privi di occupazione a seguito della scarcerazione, configura una  violazione del principio di parità di trattamento nonché degli obblighi, costituzionalmente previsti a carico dello Stato, di tutelare il “lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” e di garantire ai prestatori “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita (…) in caso di disoccupazione involontaria, privando, in tal modo, il lavoratore di uno strumento di sostegno al reddito  “proprio nel momento più delicato del progetto di reinserimento sociale, caratterizzato dalla difficoltà di trovare una nuova occupazione lavorativa per chi ha una pregressa esperienza detentiva” (artt. 3, 4, 35 e 38 Cost. e art. 20, L. n. 354 cit.).

Le peculiarità del lavoro svolto dai detenuti, derivanti dalla inevitabile connessione tra profili del rapporto di impiego e profili organizzativi, disciplinari e di sicurezza, propri dell’ambiente carcerario, e la circostanza che il datore di lavoro possa coincidere con il soggetto che sovrintende alla esecuzione della pena non valgono, infatti, “ad affievolire il contenuto minimo di tutela che, secondo la Costituzione, deve assistere ogni rapporto di lavoro subordinato” (Corte Cost. n. 158/2001).

In attuazione di tali principi, il Tribunale ha riconosciuto il diritto dell’ex detenuto dipendente del DAP a percepire l’indennità di NASpI, rigettando la tesi dell’ente previdenziale che escludeva dall’accesso al beneficio tutti i detenuti impiegati presso la Direzione carceraria e rimasti privi di occupazione in seguito a turnazione o a scarcerazione.

Sentenza

Scarcerazione del detenuto dipendente dell’Amministrazione penitenziaria e diritto alla NASpI
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