L’assistenza al parente con disabilità deve essere intesa in senso ampio, potendo comprendere attività non strettamente legate alla presenza fisica del lavoratore accanto al familiare.

Nota a Cass. (ord.) 10 ottobre 2024, n. 26417

Francesco Belmonte

L’assistenza al familiare con disabilità in situazione di gravità, che legittima il diritto del lavoratore ai permessi mensili retribuiti di cui all’art. 33, co. 3, L. n. 104/92, non deve essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione.

Si configura un abuso del diritto qualora il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi dall’assistenza, cioè in difformità dalle modalità richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è previsto.

Così si è pronunciata la Corte di Cassazione (10 ottobre 2024, n. 26417), in relazione ad una fattispecie concernente il licenziamento per giusta causa intimato ad una lavoratrice per un indebito utilizzo dei permessi (5 giornate lavorative) richiesti all’azienda per assistere il padre gravemente malato.

In particolare, la società datrice contestava alla dipendente di essersi recata presso il padre invalido soltanto in una parte delle giornate di permesso, dedicandosi per il resto ad attività estranee all’assistenza del congiunto (spesa, poste, farmacia, medico).

Per la Cassazione, in linea con le statuizioni dei giudici di merito (App. Roma n. 470/2022), il licenziamento deve ritenersi illegittimo in ragione delle seguenti argomentazioni fondanti il proprio consolidato orientamento in materia:

a) la condotta del lavoratore che si avvale dei permessi in questione non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra, come è noto, l’ipotesi di abuso del diritto, poiché tale comportamento si palesa, nei confronti del datore di lavoro, come lesivo della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel prestatore, ed integra nei confronti dell’ente previdenziale erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità e uno sviamento dell’intervento assistenziale (Cass. n. 4984/2014);

b) tuttavia, l’assistenza non può essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione, ma deve necessariamente comprendere lo svolgimento di tutte le attività (come quelle contestate nel caso di specie) che il soggetto non sia in grado di compiere autonomamente. “L’abuso quindi va a configurarsi solo quando il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi dall’assistenza, da intendere in senso ampio, in favore del familiare” (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 12679/2024; Cass. n. 6468/2024; Cass. 25290/2022 e Cass. n. 21529/2023, in sito con nota di F. DURVAL).

Sentenza:

CORTE DI CASSAZIONE (ord.) 10 ottobre 2024, n. 26417

Svolgimento del processo

1.il Tribunale di Frosinone, a conferma di ordinanza in esito alla fase sommaria del rito di cui alla legge n. 92/2012 , annullava il licenziamento disciplinare intimato l’11.3.2019 da ALIANTE Srl alla dipendente A.A. (inquadrata nel 6 livello CCNL Terziario, con mansioni di ausiliaria alle vendite a tempo pieno presso supermercato in Sora) e condannava la società alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro e al risarcimento del danno;

2. la Corte d’Appello di Roma rigettava il reclamo della società, osservando in particolare che:

– la lettera di contestazione degli addebiti a base del licenziamento intimato, ritenute insufficienti le giustificazioni della lavoratrice, faceva riferimento al ritenuto utilizzo indebito da parte della dipendente dei permessi di cui all’art. 33 , comma 3, legge n. 104/1992, come da relazione investigativa, in 5 giornate tra ottobre e dicembre 2018; la società contestava alla lavoratrice di essersi recata presso il padre invalido assistito soltanto in una parte delle giornate di permesso, dedicandosi per il resto ad attività estranee all’assistenza del congiunto;

– integra ipotesi di abuso del diritto il comportamento del lavoratore che si avvalga del permesso di cui all’ art. 33, legge n. 104/1992  non per l’assistenza al familiare, ma per soddisfare le proprie esigenze personali;

– nella fattispecie in esame, la finalizzazione a scopi personali delle ore di permesso era da escludersi in fatto, in base alle prove raccolte, dovendosi ricollegare le attività poste in essere dalla lavoratrice nelle giornate investigate alle effettive esigenze del genitore disabile (spesa, poste, farmacia, medico), anche al di fuori del domicilio del medesimo, oppure ospitandolo presso la propria abitazione;

– non è sindacabile la compatibilità tra turno lavorativo ed esigenze di assistenza ai sensi della legge n. 104/1992 ;

– era applicabile nel caso concreto la tutela di cui all’ art. 18 , comma 4, legge n. 300/1970 , come modificato dalla  legge n. 92/2012  essendo escluso il fatto addebitato alla lavoratrice;

3. avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso per cassazione la società con sei motivi, illustrati da memoria; resiste con controricorso la lavoratrice; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

Motivi della decisione

1.con il primo motivo, parte ricorrente deduce ( art. 360 , n. 3, c.p.c.), violazione o falsa applicazione dell’ art. 33  della legge n. 104/1992  e dell’ art. 12  delle Disposizioni sulla legge in generale, in relazione all’interpretazione della norma quanto alla durata di assistenza e di prestazione giornaliera;

2. con il secondo motivo, deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2727  e 2729  c.c. (art. 360 , n. 3, c.p.c.); si duole del fatto che la Corte d’Appello abbia ritenuto provata la presenza del padre a casa della dipendente nei fine settimana;

3. con il terzo motivo, deduce nullità della sentenza, violazione o falsa applicazione degli artt. 416 , 115  e 116  c.p.c. (art. 360, n. 4, cpc) e conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 33  della legge n. 104/1992 , nonché degli artt. 1455, 2104, 2105 e 2119  c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.); sostiene che ricade sul lavoratore, sorpreso lontano dalla residenza dell’invalido, la prova di essersi comunque adoperato nell’interesse di quest’ultimo:

4. con il quarto motivo, deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.;

5. con il quinto motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1362c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.); sostiene che la Corte di merito non si è attenuta al criterio di interpretazione letterale della contestazione disciplinare, così violando il primo comma dell’art. 1362c.c., applicabile anche agli atti unilaterali, in quanto la società non si è limitata a contestare l’abuso del diritto alla fruizione del permesso, bensì ha sostenuto che le modalità con cui la lavoratrice aveva usufruito dei permessi integravano anche un inadempimento della lavoratrice all’obbligo di fedeltà e lealtà nei confronti del datore di lavoro;

6. con il sesto motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 112c.p.c. e nullità della sentenza per omessa pronuncia sul contestato inadempimento ulteriore della lavoratrice agli obblighi derivanti dagli artt. 2104e 2105 c.c. (art. 360, n. 4, c.p.c.);

7. il primo, quinto e sesto motivo, da trattare congiuntamente per connessione, in quanto attinenti alle modalità di fruizione dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, legge n. 104/1992, non sono fondati;

8. preliminarmente deve essere escluso ogni vizio di ultra- o extra- petizione della gravata pronuncia, vizio che si ha quando il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, altera gli elementi obiettivi dell’azione ovvero, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa emette un provvedimento diverso da quello richiesto oppure attribuisce o nega un bene diverso dalla vita diverso a quello conteso (Cass. n. 6714/2021, n. 18868/2015, n. 455/2011), ipotesi non ravvisabili nella fattispecie;

9. tanto premesso, la norma in esame stabilisce (nel testo vigente, come da ultimo sostituito dall’art. 3, comma 1, lett. b), n.1, D.Lgs. n. 105/2022, ma le modifiche recenti non sono rilevanti rispetto alla fattispecie concreta per cui è causa) che: “Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un’unione civile ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un’unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un’unione civile di cui all’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”;

10. come osservato dalla dottrina, alla precisione della norma nell’individuare le situazioni assistenziali sul piano soggettivo non corrisponde alcuna esplicitazione normativa dei contenuti dell’assistenza che possa o debba essere riservata alla persona con disabilità da parte del lavoratore che eserciti il diritto; la giurisprudenza di legittimità si è orientata ad affermare che elemento essenziale della fattispecie di cui all’art. 33, comma 3, legge n. 104/1992 è l’esistenza di un diretto nesso causale tra la fruizione del permesso e l’assistenza alla persona disabile, precisando che tale nesso causale va inteso non in senso così rigido da imporre al lavoratore il sacrificio, in correlazione col permesso, delle proprie esigenze personali o familiari in senso lato, ma piuttosto quale chiara ed inequivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall’obbligo della prestazione di lavoro alla preminente soddisfazione dei bisogni della persona disabile, senza automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all’assistenza in relazione all’orario di lavoro;

11. è stato quindi chiarito che il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi di abuso del diritto, giacché tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro, come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente, ed integra, nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità e uno sviamento dell’intervento assistenziale (Cass n. 4984/2014); ciò anche per il disvalore sociale connesso a tali condotte abusive, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi, comunque con necessità di diversa organizzazione del lavoro in azienda e di sostituzioni (Cass. n. 8784/2015); né il permesso ex art. 33 della legge n. 104/1992riconosciuto al lavoratore in ragione dell’assistenza al disabile, rispetto alla quale l’assenza dal lavoro deve porsi in relazione causale diretta, può essere utilizzato in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza; ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari (Cass. n. 17968/2016);

12. entro tale perimetro funzionale, è stato peraltro precisato che l’assistenza non può essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione, ma deve necessariamente comprendere lo svolgimento di tutte le attività che il soggetto non sia in condizioni di compiere autonomamente; l’abuso quindi va a configurarsi solo quando il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi dall’assistenza, da intendere in senso ampio, in favore del familiare (Cass. n. 12679/2024, n. 6468/2024, n. 25290/2022, n. 1394/2020, n. 21529/2019, n. 30676/2018, n. 23891/2018, n. 29062/2017, n. 17968/2016, n. 9217/2016, n. 8784/2015), atteso che l’interesse primario cui è preposta la legge n. 104/1992 è quello di assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza al disabile che si realizzano in ambito familiare, attraverso una serie di benefici a favore delle persone che se ne prendono cura, pur dovendosi scongiurarsi utilizzi fraudolenti della normativa (così Cass. n. 20243/2020);

13. posto che il diritto di fruire dei permessi da parte del familiare di persona disabile si pone in relazione diretta con le esigenze di assistenza, nell’assetto di interessi potenzialmente contrapposti come delineato dal legislatore le esigenze organizzative del datore di lavoro non incidono sulla scelta del lavoratore dei giorni in cui fruire dei permessi, che debbono essere comunicati al datore di lavoro, ma non sono soggetti al suo gradimento o alla sua discrezionalità; né il datore di lavoro può sindacare, in assenza di accordi in tale senso tra le parti sociali, la scelta delle giornate in cui esercitare l’assistenza al disabile, e quindi tale scelta si pone al di fuori degli obblighi di diligenza e fedeltà del lavoratore nell’attuale quadro normativo;

14. è stato posto in luce da questa Corte (Cass n. 12679/2024 cit.) che i permessi ex art. 33, comma 3, legge n. 104/1992 sono delineati quali permessi giornalieri su base mensile, e non su base oraria o cronometrica, e che possono essere fruiti a condizione che la persona gravemente disabile non sia ricoverata a tempo pieno, sicché l’assistenza del familiare può realizzarsi in forme non specificate;

15. deve pertanto in questa sede riaffermarsi che l’assistenza a persona con disabilità in situazione di gravità che legittima il diritto del lavoratore dipendente, pubblico o privato, ai permessi mensili retribuiti ex art. 33, comma 3, legge n. 104/1992 non va intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione; si configura abuso quando il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi dall’assistenza in senso ampio in favore del familiare, cioè in difformità dalle modalità richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è previsto, da accertarsi nel merito; non integra abuso la prestazione di assistenza al familiare disabile in orari non integralmente coincidenti con il turno di lavoro, in quanto si tratta di permessi giornalieri su base mensile, e non su base oraria;

16. a tali principi è conforme la sentenza gravata, che resiste alle censure di parte ricorrente, posto, altresì, che la verifica in concreto, sulla base dell’accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio, dell’esercizio con modalità difformi da quelle richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è consentito appartiene alla competenza e all’apprezzamento del giudice di merito;

17. in particolare, la sentenza gravata ha condivisibilmente osservato (par. 3.3) che la richiesta di permesso viene avanzata dal dipendente necessariamente ex ante al fine di consentire al datore di lavoro di predisporre la consequenziale organizzazione; al momento della richiesta il dipendente può ancora non sapere esattamente quali incombenze dovrà adempiere nell’interesse del disabile assistito e quanto tempo sarà necessario per il loro assolvimento; per questa ragione, la richiesta è legittimamente riferita all’intera giornata, fermo restando che in concreto e caso per caso l’assistenza potrà essere distribuita durante l’arco della giornata secondo le variabili esigenze del disabile e secondo la tipologia delle incombenze da adempiere;

18. il secondo e terzo motivo sono inammissibili;

19. avendo, nel merito, la Corte di Roma svolto l’accertamento qui posto in discussione, e spiegato ampiamente in fatto le ragioni per cui le attività svolte dalla lavoratrice nei giorni di permesso erano ricollegate alle effettive esigenze del genitore disabile, il motivo finisce con il sollecitare una rivalutazione delle prove raccolte nei gradi precedenti, non consentita in sede di legittimità;

20. parimenti inammissibile si palesa il quarto motivo (peraltro generico e non coltivato nella memoria conclusiva) in presenza di pronuncia di merito cd. doppia conforme, a norma dell’ art. 360, comma 4, c.p.c.;

21. il ricorso deve, in conclusione, essere respinto, con regolazione secondo il regime della soccombenza delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;

22. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000 per compensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13  comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi di parte ricorrente a norma dell’ art. 52 D.Lgs. 196/03.

Modalità di fruizione dei permessi per assistere il familiare disabile
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