In capo al dipendente non è imponibile il rimborso analitico delle spese di viaggio elargito dal proprio datore di lavoro.

Nota a Cass. (ord.) 17 dicembre 2024, n. 32925

Francesco Palladino

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32925/2024, ha ritenuto che i rimborsi di spesa analitici delle spese di viaggio elargiti dal datore di lavoro in favore del proprio lavoratore dipendente, non concorrano a formare la base imponibile di quest’ultimo, attesa la natura squisitamente risarcitoria di esse.

L’art. 51, TUIR, disciplina, ai fini fiscali, diverse tipologie di rimborsi:

a) il rimborso analitico (o piè di lista) che avviene sulla base delle spese effettivamente sostenute per il vitto, l’alloggio ed il viaggio, adeguatamente documentate;

b) il rimborso forfettario, in forza del quale al dipendente viene data una provvista di denaro forfettaria;

c) il rimborso «misto» con cui il datore di lavoro risarcisce le spese lavorative sostenute dal dipendente, sia in modo analitico (come le spese di vitto e alloggio), che in modo forfettario (come le spese di viaggio, ovverosia la trasferta lavorativa).

Nel caso di rimborso analitico, la norma prevede che non emerga alcuna tassazione in capo al dipendente, purché il riconoscimento del rimborso avvenga sulla base di idonea documentazione e non superi la spesa effettivamente sostenuta; invece, nell’ipotesi in cui si utilizzi il metodo forfettario, il citato art. 51, co. 5, del TUIR prevede un limite massimo oltre il quale l’importo (forfettariamente determinato e riconosciuto al dipendente) concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente.

In questo contesto si inserisce la sentenza in commento con cui la Corte ha rigettato il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate secondo la quale l’indennità di trasferta rivestirebbe una duplice funzione, da un lato, risarcitoria, dall’altro, retributiva, sicché, stante il principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente, sancito dall’art. 51 TUIR, incomberebbe sul lavoratore la prova che le somme percepite siano da imputarsi a rimborsi di spese sostenute nell’unico interesse del datore di lavoro.

Sul punto la Cassazione ha ritenuto del tutto ultronee le considerazioni svolte dall’Ufficio e ha confermato la sentenza impugnata laddove riteneva le somme in questione aventi di per sé natura risarcitoria. È stato così ritenuto che i rimborsi di spesa analitici delle spese di viaggio, anche sotto forma di indennità chilometrica e di trasporto, non concorrono in ogni caso a formare il reddito del dipendente, attesa la loro natura risarcitoria in quanto volte ad evitare il depauperamento retributivo del dipendente.

 

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE ORDINANZA 17 dicembre 2024, n. 32925

Svolgimento del processo

1.L’Agenzia delle Entrate ricorre avverso la sentenza della C.T.R. della Sicilia con cui è stata parzialmente riformata, in relazione alle annualità di imposta 1998-1999, la sentenza della C.T.P. di Messina, che, considerato illegittimo il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso IRPEF formulata da Carmelo Teatino, aveva disposto il richiesto rimborso dell’imposta relativa alle somme versate -a titolo di spese di viaggio – dal datore di lavoro, in qualità di sostituto di imposta, per le annualità di imposta 1998-2004.

2. La sentenza della C.T.R. ha ritenuto estranee alla determinazione della base imponibile per il reddito da lavoro dipendente le spese di viaggio, anche nella forma di indennità chilometrica e di trasporto, avuto riguardo alla loro natura risarcitoria, escludendo, tuttavia, le annualità di imposta 1998-1999, in quanto per le medesime l’istanza era stata presentata tardivamente.

3. Il contribuente resiste con controricorso, depositando successivamente memoria illustrativa, con cui ribadisce le ragioni dell’inammissibilità del ricorso.

4. La controversia, già chiamata per la trattazione avanti alla Sesta Sezione Sesta civile, è stata rimessa alla Sezione Quinta civile ed avviata alla trattazione in Camera di consiglio.

Motivi della decisione

1.L’Agenzia delle Entrate formula un unico motivo di ricorso con il quale fa valere, ex  art. 360, comma 1, n.3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 51, commi 1 e 5, D.P.R. n.917/1986. Lamenta che la C.T.R. abbia erroneamente ritenuto che i rimborsi richiesti dal contribuente rientrassero nella categoria dei rimborsi di spesa analitici, laddove, invece, essi vanno qualificati come forfettari. Osserva che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’indennità di trasferta riveste duplice funzione, da un lato, risarcitoria, dall’altro, retributiva, sicché, stante il principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente, sancito ai fini fiscali dall’art. 51D.P.R. 917/1986, incombe sul lavoratore la prova che le somme percepite siano da imputarsi a rimborsi di spese sostenute nell’unico interesse del datore di lavoro. Rileva che l’art. 51, comma 2 lett. d) D.P.R. cit. limita la non imponibilità delle somme ricevute a titolo di rimborso di spese di viaggio alle sole “prestazioni di servizi di trasporto collettivo”, ciò escludendo i rimborsi forfettariamente commisurati alla distanza chilometrica fra il Comune di residenza e quello di svolgimento dell’incarico. Sottolinea che, nel caso di specie, le spese di viaggio dalla residenza alla sede di lavoro sono state sostenute quotidianamente, il che rende evidente che i costi del trasporto non derivavano dalle esigenze del datore di lavoro, ma da quelle del lavoratore, che ben avrebbe potuto spostare la propria dimora nella città ove svolgeva la prestazione lavorativa. Siffatta circostanza renderebbe inconciliabile il caso di specie con la disciplina di cui all’art. 51, comma 5 cit. ed assoggettabili le somme corrisposte alla determinazione del reddito imponibile, con le detrazioni di imposta di cui all’art. 13 TUIR.

2. Con il controricorso il contribuente eccepisce l’inammissibilità del motivo, sotto due distinti profili. In primo luogo, ai sensi dell’art. 360 bis  cod. proc. civ., per avere la sentenza della C.T.R. deciso in conformità con la giurisprudenza di legittimità (in particolare: Sezioni unite n. 27093/2017 e Sez. Lav. 2419/2012). In secondo luogo, per avere l’Agenzia delle Entrate richiamato nel ricorso per cassazione la disciplina dell’art. 51, comma 2, lett. d) e d) bis TUIR, cui non era stato fatto riferimento negli atti difensivi dei giudizi di merito, così introducendo questioni nuove non affrontate né in primo, né in secondo grado.

Rileva, inoltre, che l’Ufficio mai in precedenza aveva contestato che la prestazione svolta nella sede Enel di Misterbianco fosse da qualificarsi come trasferta, posto che era pacifico che il contribuente avesse prestato attività presso la sede Enel di Messina per ventiquattro anni, ricevendo successivamente il comando di prestare attività presso la sede Enel di Misterbianco, con la conseguenza dell’applicabilità dell’art. 51, comma 5 TUIR, trattandosi di trasferta al di fuori del territorio comunale, e non di trasferimento come preteso dalla ricorrente.

3. Per dare soluzione alla controversia, occorre, preliminarmente, sgombrare il campo da alcune affermazioni introdotte dall’Amministrazione ricorrente che non trovano riscontro nella sentenza impugnata. Invero, nella premessa in fatto della decisione si legge che Carmelo Teatino ebbe il comando da parte del suo datore di lavoro di prestare quotidianamente attività presso la sede di Catania. Non può esservi dubbio, pertanto, che il giudice di merito abbia ritenuto che la prestazione lavorativa presso quella sede rientrasse nell’interesse del datore di lavoro. Ne consegue che prive di pregio sono le considerazioni sull’errato inquadramento della prestazione come trasferta, anziché come trasferimento – dovendosi in questo caso considerare volontà del lavoratore quella di non mutare la propria dimora, sobbarcandosi il viaggio quotidiano – perché la volontà datoriale di assegnare il lavoratore solo temporaneamente ad altra sede è dimostrata dall’erogazione di somme a quella collegata. Ma anche perché, ai sensi dell’art. 2103  cod. civ., spetta al datore di lavoro determinare il contenuto della propria scelta organizzativa nel senso della provvisorietà o definitività dell’assegnazione.

Siffatta scelta datoriale se può essere contestata dal lavoratore che lamenti un trasferimento non sorretto dalle ragioni tecniche ed organizzative che lo giustificano, o che lamenti la mancata corresponsione delle indennità o dei rimborsi previsti in caso di temporaneità effettiva della prestazione in altra sede lavorativa, non può, invece, essere diversamente qualificata dall’amministrazione fiscale, laddove siano erogate al lavoratore delle somme corrisposte per la ‘trasferta’, sia che esse costituiscano rimborsi, sia che esse trovino ragione nella maggiore onerosità della prestazione.

3.1. Fatta questa precisazione, e ribadito che la qualificazione dell’assegnazione del prestatore a diversa sede lavorativa come trasferimento o trasferta è riservata al giudice di merito, la cui valutazione costituisce giudizio di fatto, non censurabile in sede di legittimità (cfr. ex multis: Cass., Sez. L, n. 18479 del 01/09/2014), va, altresì, sottolineato che con la doglianza introdotta dall’Ufficio non si contesta -a fronte dell’introduzione di un preciso motivo di appello- l’omessa decisione della C.T.R sulla qualificazione dell’assegnazione alla sede di Catania in termini di trasferta o trasferimento. Ne deriva che le considerazioni svolte con il ricorso -in ordine all’interesse sottostante all’erogazione delle somme (esigenza all’interesse del datore di lavoro di modificare temporaneamente la sede lavorativa, ovvero la scelta del lavoratore di non modificare il luogo di dimora) – appaiono del tutto ultronee.

4. Si tratta, allora, solo di comprendere se le somme percepite dal prestatore di lavoro a titolo di trasferta contribuiscano o no alla determinazione del reddito imponibile.

4.1. Questa Corte ha, anche recentemente, chiarito che “In tema di imposte sui redditi, il rimborso delle spese di trasferta ex art. 51, comma 5, D.P.R. n. 917 del 1986, può essere analitico, se ancorato agli esborsi, per vitto, alloggio e viaggio, effettivamente sostenuti e adeguatamente documentati dal dipendente, ovvero forfettario, se operato attraverso il riconoscimento di una provvista di denaro per sostenere le spese di vitto e alloggio, con la conseguenza che, mentre nel primo caso il rimborso non determina alcuna tassazione in capo al dipendente, nel secondo l’importo che oltrepassi il limite massimo previsto dall’art. 51 cit. concorre alla formazione del reddito di lavoro. (Cass., Sez. 5, n. 8489 del 06/05/2020; cfr. anche: Cass., Sez. 5, n. 2124 del 22/01/2024, che seppure pronunciata in tema di assegno di accesso previsto per i medici ambulatoriali chiarisce la differenza fra l’indennità trasferta ed il rimborso spese).

4.2. Ora, la C.T.R. nell’escludere, nel caso di specie, la concorrenza delle somme percepite a titolo di trasferta nella determinazione del reddito imponibile ha osservato che, in armonia con la giurisprudenza di merito e di legittimità i rimborsi di spesa analitici delle spese di viaggio, anche sotto forma di indennità chilometrica e di trasporto non formano comunque reddito quando le spese siano rimborsate sulla base di idonea documentazione, attesa la natura squisitamente risarcitoria di esse” mentre sono tassati, invece, “i rimborsi di spese in aggiunta all’indennità di trasferta” non ricadendosi tuttavia nell’ipotesi in esame. Se ne trae che la sentenza ha equiparato il rimborso c.d. delle spese di viaggio a piè di lista e il rimborso sotto forma di indennità chilometrica, così negando la natura reddituale delle somme erogate a tale titolo, in ambedue i casi.

4.3. Va, peraltro, ricordato che ai sensi dell’art. 51, comma 5 cit., prima parte dispone che “Le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente Lire 90.000 al giorno, elevate a Lire 150.000 per le trasferte all’estero, al netto delle spese di viaggio e di trasporto”. Solo quella parte di indennità che non costituisce spesa di viaggio o di trasporto, dunque, concorre a formare il reddito imponibile ove essa superi i limiti imposti dalla disposizione.

4.4. La giurisprudenza di legittimità -specificamente affrontando il tema del rimborso delle spese di viaggio nella forma forfettaria- ha ritenuto che “In tema di imposte sui redditi, non ogni somma corrisposta in dipendenza del rapporto di lavoro deve considerarsi di natura retributiva, e perciò assoggettabile, ai sensi tanto dell’art.48  del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, che dell’art.48  del vigente TUIR  del 1986, a ritenuta IRPEF, salve le eccezioni dagli stessi articoli previste. Assumono infatti funzione risarcitoria, e non retributiva, le somme corrisposte al dipendente in relazione all’attribuzione di incarichi che comportino spese superiori a quelle rientranti nella normalità della prestazione lavorativa, e quindi tali da rendere l’incarico in questione depauperativo rispetto alla posizione dei dipendenti che percepiscano pari retribuzione in relazione ad incombenze diverse, non potendosi ravvisare alcuna ragione ostativa all’applicazione del principio nella modalità del rimborso – di tipo forfettario anziché a piè di lista -, quando le prestazioni fuori sede siano state dal dipendente effettivamente rese” (così Sezione 5, Ordinanza n. 6793/2015 del 4/03/2015, in motivazione; cfr. altresì: Sezione 5, Ordinanza n. 19099/2022 del 24/05/2022; Sez. 5, Ordinanza 30264/2021 del 13/07/2021; Sez. 5, Ordinanza; in precedenza Sez. 5, Sentenza n. 9107 del 21/06/2002).

4.5. Anche recentemente questa Corte, affrontando un caso del tutto analogo a quello in esame (si trattava infatti di un dipendente ENEL che operava in trasferta da Messina a Catania), ha ritenuto l’equiparabilità fra i rimborsi per spese di viaggio a piè di lista e quelli riconosciuti forfettariamente e la non assoggettabilità dei medesimi ad imposte sul reddito ex art. 51, comma 5 TUIR  (Cass., Sez. 5, n.26229/2022 del 22/05/2022).

4.6. In entrambi i casi, infatti, si tratta di spese sostenute per rendere la prestazione richiesta, il cui rimborso si impone per evitare il depauperamento retributivo, al di là delle modalità prescelte per ristorare il dipendente dei costi affrontati per eseguirla.

4.7. Ebbene, seppure la sentenza non si occupi di analizzare nel dettaglio le singole voci delle somme riconosciute per la trasferta ed assoggettate a tassazione, vi è che il giudice di secondo grado ha escluso che quanto erogato dal datore di lavoro includesse voci diverse da quelle relative all’indennità chilometrica o comunque correlate ai viaggi. Nondimeno, la doglianza in esame, pur riportando analiticamente nel ricorso introduttivo di questo giudizio le tipologie di rimborso riconosciute dal datore di lavoro per la trasferta (rimborso pendolari superiore a km. 50; equo indennizzo giornaliero, indennità di trasferimento, per gli anni 2000-2003) non si è occupata di indicare né quali di siffatte voci non rientrassero nelle spese di viaggio, né di indicare in quale misura il relativo importo superasse eventualmente i limiti di cui all’art. 51, comma 5 TUIR, al netto delle spese di viaggio e di trasporto. Ciò rende impossibile ogni ulteriore vaglio sulla correttezza della soluzione adottata dalla C.T.R. in relazione al riconoscimento di somme indennitarie della trasferta estranee alle spese di viaggio.

4.8. A ciò va aggiunto che il richiamo dell’art. 51, comma 2 lett. d) del TUIR, posto dall’Ufficio a giustificazione della esclusione delle spese sostenute per il viaggio dalla disciplina dell’esonero di cui al comma 5 del medesimo articolo, appare del tutto fuorviante. Al di là, infatti, dell’assenza di ogni riferimento a siffatta disposizione nella sentenza impugnata (il che depone per la novità della questione, come sottolineato dal contribuente in sede di controricorso), vi è che il disposto del comma 2 lett. d), laddove riconosce che non concorrono a formare reddito “le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti; anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti servizi pubblici” nulla a che vedere con la disciplina che il legislatore dedica ai limiti dell’assoggettamento ad imposta reddituale delle indennità di trasferta di cui al comma 5 del medesimo articolo. La norma, infatti, non solo non contiene nessun riferimento ai commi precedenti, ma neppure limita a specifici mezzi di trasporto l’esclusione delle spese affrontate per il viaggio da parte di coloro che siano chiamati a rendere la prestazione in trasferta.

In particolare, si è affermato che “Per il rimborso delle spese di trasferta l’art. 51, comma 5, del TUIR  distingue due diverse modalità: a) il rimborso analitico (o piè di lista) in cui il rimborso avviene sulla base delle spese effettivamente sostenute per il vitto, l’alloggio ed il viaggio, adeguatamente documentate; b) il rimborso forfettario, in forza del quale al dipendente viene data una provvista di denaro forfettaria con la quale sostiene le spese di vitto e alloggio; è inoltre prevista anche una possibilità di rimborso “misto”, ossia in parte analitico ed in parte forfettario. Nel caso di rimborso analitico non si determina alcun riflesso di tassazione in capo al dipendente, poiché il riconoscimento di detti costi avviene sulla base della documentazione fornita dallo stesso dipendente e non può mai essere superiore alla spesa effettivamente sostenuta; invece, nell’ipotesi in cui si utilizzi il metodo forfettario, il citato art. 51, comma 5, del TUIR  prevede un limite massimo oltre il quale l’importo forfettario riconosciuto al dipendente concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente” (Cass., Sez. 5, n. 8489 del 06/05/2020, in motivazione).

5. Il motivo introdotto dall’Agenzia delle Entrate deve, dunque, ritenersi infondato.

Al rigetto del ricorso consegue il pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità da liquidarsi in Euro 2.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15%, I.V.A. e C.P.A, come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità che liquida in Euro 2000, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15 per cento, I.V.A. e C.P.A, come per legge.

Non imponibile il rimborso analitico delle spese di viaggio
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