Ritorna alla Corte Costituzionale la questione della tutela contro i licenziamenti illegittimi nelle imprese c.d. “sottosoglia”.
Nota a Trib. Livorno 29 novembre 2024
Francesco Belmonte
L’art. 9 del D. LGS. n. 23/2015, escludendo l’applicazione della tutela reale per i licenziamenti intimati nelle “piccole” imprese (nelle ipotesi previste dall’art. 3, co. 2) e circoscrivendo l’indennità risarcitoria all’interno di una forbice alquanto limitata, “non consente di soddisfare i criteri di personalizzazione del risarcimento, di adeguatezza e di congruità dello stesso, nonché di garantire la necessaria portata deterrente che deve accompagnare la tutela indennitaria”.
A stabilirlo è il Tribunale di Livorno (29 novembre 2024), nell’ambito di una controversia concernente la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad una lavoratrice, impiegata in una “piccola impresa”, in ragione di “ripetuti ritardi ed uscite anticipate senza preventive autorizzazioni”, “che avrebbero potuto causare danni economici ed organizzativi alla società” e dovuto a “fatti di particolare gravità ripetuti” negli anni, che non sono stati però oggetto di alcuna contestazione disciplinare, ai sensi dell’art. 7 Stat. Lav.
Il Tribunale osserva in particolare che nel caso di specie il vizio del licenziamento è riconducibile all’ “l’insussistenza del fatto materiale contestato”, sanzionata dall’art. 3, co. 2, D.LGS. n. 23/2015 con la tutela reale c.d. “debole”, ma solo per quei lavoratori impiegati nelle “grandi” imprese; mentre, per i dipendenti delle imprese “minori”, il rimedio predisposto dalla legge consiste unicamente in un indennizzo economico che non può comunque superare le sei mensilità di retribuzione (art. 9, D.LGS., cit.).
Tale disciplina “limitativa”, ad avviso del giudice livornese, contrasta con il dettato costituzionale, poiché non consente di addivenire ad una possibile interpretazione adeguatrice ed è del tutto priva del necessario carattere compensativo e dissuasivo.
Il Tribunale non trascura che la questione è stata già sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 183/2022, in q. sito, con nota di F. BELMONTE), la quale ha affermato che la scelta della soluzione più appropriata per rimediare all’evidente deficit di adeguatezza che caratterizza l’attuale disciplina dei licenziamenti, in relazione alle tutele applicabili nelle grandi e piccole imprese, implica inevitabili valutazioni discrezionali che competono al legislatore e non alla Corte. Tuttavia, “un’ulteriore protrarsi dell’inerzia legislativa non sarebbe tollerabile” ed indurrebbe la Consulta “ove nuovamente investita, a provvedere direttamente”.
In tale quadro, a fronte del silenzio del legislatore protrattosi per ben più di due anni, il giudice livornese ritiene di proporre nuovamente questione di legittimità costituzionale, in relazione all’art. 9, D.LGS. cit., auspicando in un diverso esito, poiché la norma delle c.d. tutele crescenti si pone in contrasto con diversi parametri costituzionali (quali, gli artt.: 3, co. 1 e 2; 4, co. 1; 35, co. 1; 41, co. 2; e 117, co. 1, in relazione all’art. 24 della Carta Sociale Europea).
Il dubbio di legittimità costituzionale muove in due direzioni, dal momento che la disposizione censurata, «prevedendo il dimezzamento e un limite massimo alla responsabilità risarcitoria del datore di lavoro c.d. “sottosoglia”, “finisce per individuare una forbice estremamente ridotta (da tre a sei mensilità) che non consente al giudice di operare una liquidazione rispettosa del principio di uguaglianza, di ragionevolezza e di adeguatezza e, dall’altro, fa dipendere questa limitazione in punto di quantum da un elemento estraneo al rapporto di lavoro, il limite dimensionale costituito dal numero degli occupati, che nell’attuale contesto socio economico risulta anacronistico e non capace di rispecchiare di per sé la concreta forza economica del datore di lavoro».
Si prospetta, inoltre, ad avviso del giudice di primo grado, una notevole ed ingiustificata diversità di trattamento sostanziale tra i lavoratori impiegati nelle “piccole” imprese e quelli al servizio di una “grande” impresa, “atteso che, anche dinanzi ad un vizio gravissimo, la cornice edittale prevista per i primi dall’art. 9, D. Lgs. 23/2015 non consente al giudice di distinguere la tutela in funzione del vizio, anche importante, che inficia l’atto espulsivo, diversamente da quanto avviene per la seconda categoria di lavoratori. In altri termini, se nelle imprese maggiori, a seconda della tipologia e della gravità del vizio, è prevista una tutela diversa e gradata che consente al giudice un intervento adeguato alla fattispecie concreta, nel caso del lavoratore dipendente della c.d. impresa sottosoglia i vizi più gravi sono trattati come i meno gravi e viceversa”, violandosi, per tale via, oltre all’art. 3, co. 1, Cost., anche l’art. 41, co. 2, Cost., “difettando il necessario equilibrato bilanciamento tra valori in gioco, atteso che l’assenza di un indennizzo adeguato a fronte di licenziamenti sostanzialmente illegittimi danneggia la libertà e la dignità umana anche nella piccola impresa e non solo nelle ipotesi di datore di grandi dimensioni”.