L’applicazione del comporto ordinario costituisce “discriminazione indiretta”
Nota a Cass. (ord.) 7 gennaio 2025, n. 170
Fabrizio Girolami
La conoscenza dello stato di disabilità del lavoratore, da parte del datore di lavoro, impone a quest’ultimo di acquisire informazioni sulla correlazione tra le assenze per malattia del dipendente e la disabilità, e di individuare possibili “accorgimenti ragionevoli” per evitare il licenziamento, in linea con l’art. 3, co. 3-bis, D.Lgs. 9.7.2013, n. 216 e con la direttiva 2000/78/CE. La mancata adozione di tali accorgimenti rende il licenziamento discriminatorio.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 170 del 7.1.2025 in relazione a una controversia instaurata da un lavoratore disabile che era stato licenziato dalla società datrice di lavoro per superamento del periodo di comporto, calcolato sul medesimo periodo dei lavoratori privi di disabilità.
La Corte d’Appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, aveva rigettato l’impugnativa del disabile, non condividendo l’assunto del giudice che “l’applicazione del medesimo periodo di comporto tanto ai lavoratori normodotati quanto a quelli disabili costituisce discriminazione indiretta”, in quanto non tiene conto dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili.
La Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha accolto il ricorso per cassazione del lavoratore disabile, precisando quanto segue:
- secondo l’unanime giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 9095/2023, in q. sito, con nota di C. GIAGHEDDU SAITTA, seguita da Cass. n. 11731/2024, in q. sito, con nota di S. GIOIA; Cass. n. 14316/2024, in q. sito, con nota di F. FEDELE; Cass. n. 14402/2024; Cass. n. 15282/2024; Cass. n. 15723/2024; Cass. nn. 24052 e 30095/2024), in tema di licenziamento costituisce “discriminazione indiretta” l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto previsto per il lavoratore non disabile al lavoratore che si trovi in condizione di disabilità secondo il diritto dell’Unione europea, perché la mancata considerazione dei “rischi di maggiore morbilità” dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo dello stesso periodo di comporto “in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione particolare svantaggio”;
- la conoscenza dello stato di disabilità del lavoratore – o la possibilità di conoscerlo secondo l’ordinaria diligenza – “fa sorgere l’onere datoriale (…) di acquisire, prima di procedere al licenziamento, informazioni circa l’eventualità che le assenze per malattia del dipendente siano connesse allo stato di disabilità, al fine di individuare possibili accorgimenti ragionevoli imposti dall’art. 3, co. 3-bis, D.Lgs. n. 216/2003” (su tale disposizione e sulla nozione di “accomodamenti ragionevoli”, si veda l’approfondimento in q. sito di M.N. BETTINI);
- è fondamentale che la contrattazione collettiva disciplini in modo esplicito la questione del comporto per i lavoratori disabili, avendo riguardo alla condizione soggettiva “non risultando di per sé sufficiente il rilievo dato alle ipotesi di assenze determinate dal particolari patologie o connotate da una certa gravità”;
- nel caso di specie, la Corte d’Appello ha accertato che la società datrice di lavoro “era a conoscenza della condizione di disabilità del lavoratore” e ha intimato il licenziamento per superamento del periodo di comporto (computandolo sulla base del medesimo previsto per i lavoratori non disabili) senza procedere “ad acquisire informazioni circa la correlazione tra assenze per malattia del dipendente e stato personale di disabilità, al fine di individuare possibili accorgimenti ragionevoli onde evitare il recesso, non essendo sufficienti le previsioni della contrattazione collettiva riferite ai portatori delle gravi patologie ivi indicate”.
Alla luce di quanto sopra, la Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE (ord.) 7 gennaio 2025, n. 170
Rilevato che
1.la Corte di Appello di Torino, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, in riforma della pronuncia di prime cure, ha respinto le domande di impugnativa del licenziamento intimato il 2 ottobre 2019 da RO.ME. Srl a Ko.No. per superamento del periodo di comporto;
2. la Corte territoriale, in estrema sintesi, accertato che il Ko.No. risultava essere “persona con disabilità” ai sensi degli artt. 1 e ss. D.Lgs. n. 216 del 2003, non ha tuttavia condiviso l’assunto del primo giudice secondo cui l’applicazione del medesimo periodo di comporto tanto ai lavoratori normodotati quanto a quelli disabili costituisse discriminazione indiretta;
3. per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso il soccombente con sette motivi; ha resistito con controricorso l’intimata società;
le parti hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Considerato che
1.i motivi di ricorso possono essere esposti secondo le sintesi formulate in rubrica dalla stessa parte ricorrente: 1.1. il primo motivo denuncia la “violazione/falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c.”, per avere la Corte territoriale riformato la pronuncia di primo grado “sulla base di ragioni che non erano state esplicitamente dichiarate come motivo di gravame nell’atto di reclamo”;
1.2. il secondo motivo denuncia la “violazione e falsa applicazione della direttiva 2000/78/CE”, per avere, la sentenza impugnata, negato che l’applicazione del medesimo periodo di comporto al disabile e a chi tale non è costituisca discriminazione indiretta, anche ai sensi del diritto dell’Unione;
1.3. il terzo motivo denuncia la “violazione e falsa applicazione degli artt. 70, 101, 117 Cost.”, per avere la Corte torinese rifiutato l’applicazione di principi enunciati dalla Corte di Giustizia sulla base di un “bilanciamento di interessi” che “in forza della Costituzione è riservata al legislatore”;
1.4. il quarto motivo denuncia, in via sostanzialmente subordinata, la “violazione e falsa applicazione degli artt. 416, 417, 345 c.p.c., artt. 1, commi 51 e 59 L. n. 92 del 2012”, perché la Corte territoriale avrebbe deciso sulla base di fatti allegati dall’azienda solo nell’atto di reclamo;
1.5. il quinto motivo denuncia la “violazione e falsa applicazione delle direttive 97/80/CE 2006/54/CE e del D.Lgs. 198/2006”, lamentando che i giudici d’appello avrebbero violato il principio secondo cui “un comportamento oggettivamente discriminatorio si presume tale fino a prova contraria”;
1.6. il sesto motivo lamenta la “contraddittorietà della motivazione”, “nella misura in cui ha ritenuto che non vi sia alcuna discriminazione indiretta a carico del disabile, in quanto questi può accedere effettivamente ad una tutela più ampia del lavoratore normodotato, consistente nel periodo di cd. comporto prolungato, mentre poi si è astenuta dal pronunciare circa la domanda di illegittimità del licenziamento fondata proprio sul non aver applicato tale ultimo istituto”;
1.7. il settimo motivo denuncia la “omessa pronuncia sulle molteplici domande proposte”;
2. il primo motivo è infondato, atteso che una volta impugnata la pronuncia di accoglimento del ricorso del lavoratore con l’ampio prospetto devolutivo contenuto nel reclamo della società, non era suscettibile di passare in giudicato qualunque asserzione contenuta nella motivazione della sentenza di primo grado, riferendosi l’art. 329 c.p.v. c.p.c.soltanto alla sequenza logica “fatto – norma – effetto giuridico” attraverso la quale si afferma l’esistenza d’un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (cfr. Cass. n. 14670 del 2015; Cass. n. 4572 del 2013; Cass. n. 16583 del 2012; Cass. n. 16808 del 2011; Cass. n. 27196 del 2006; Cass. n. 10832 del 1998; Cass. n. 6769 del 1998);
3. fondato è, invece, il secondo motivo, esaminabile in connessione col quinto, in quanto la sentenza impugnata non è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, inaugurata da Cass. n. 9095 del 2023 e successivamente ribadita e precisata, oltre che da Cass. n. 11731 del 2024, da Cass. n. 14316 e 14402 del 2024; confermate poi da Cass. n. 15282 del 2024 e Cass. n. 15723 del 2024 e, ancor più di recente, da Cass. n. 24052 e n. 30095 del 2024 (precedenti tutti ai quali si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.per ogni ulteriore aspetto qui non affrontato);
secondo tale condiviso orientamento, in tema di licenziamento, costituisce discriminazione indiretta l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto previsto per il lavoratore non disabile al lavoratore che si trovi in condizione di disabilità secondo il diritto dell’Unione, perché la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo dello stesso periodo di comporto in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione particolare svantaggio;
la conoscenza dello stato di disabilità del lavoratore – o la possibilità di conoscerlo secondo l’ordinaria diligenza – da parte del datore di lavoro fa sorgere l’onere datoriale – a cui non può corrispondere un comportamento ostruzionistico del lavoratore – di acquisire, prima di procedere al licenziamento, informazioni circa l’eventualità che le assenze per malattia del dipendente siano connesse allo stato di disabilità, al fine di individuare possibili accorgimenti ragionevoli imposti dall’art. 3, comma 3-bis, D.Lgs. n. 216 del 2003, la cui adozione presuppone l’interlocuzione ed il confronto tra le parti, che costituiscono una fase ineludibile della fattispecie complessa del licenziamento de quo;
in particolare, si è sostenuta l’esigenza che la contrattazione collettiva, in modo esplicito, disciplini la questione del comporto per i lavoratori disabili avendo riguardo alla condizione soggettiva, non risultando di per sé sufficiente il rilievo dato alle ipotesi di assenze determinate da particolari patologie o connotate da una certa gravità;
nella specie, la Corte territoriale – come ricordato nello storico della lite – ha accertato che la società era a conoscenza della condizione di disabilità del lavoratore ed ha intimato il licenziamento per superamento del periodo di comporto (il medesimo previsto anche per le persone prive di disabilità) senza procedere ad acquisire informazioni circa la correlazione tra assenze per malattia del dipendente e stato personale di disabilità, al fine di individuare possibili accorgimenti ragionevoli onde evitare il recesso, non essendo sufficienti le previsioni della contrattazione collettiva riferite ai portatori delle gravi patologie ivi indicate;
4. pertanto, respinto il primo motivo, il ricorso deve essere accolto nei sensi espressi, con cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure ritenute fondate e rinvio al giudice indicato in dispositivo, che si uniformerà a quanto statuito, provvedendo anche sulle spese; restano assorbiti gli altri motivi, successivi in ordine logico-giuridico;
va, disposta, da ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196/2003 della parte ricorrente;
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e quinto motivo di ricorso, rigetta il primo, dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese.
Ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di Ko.No.